Valido il contratto di mutuo, non l’ipoteca concessa: la finalità era di avere una prelazione

Qualora venga stipulato un mutuo con concessione di ipoteca al solo fine di garantire, attraverso l’acquisto di titoli dati poi in pegno al mutuante, una precedente esposizione dello stesso soggetto o di terzi, c’è un collegamento funzionale tra mutuo ipotecario e costituzione di pegno. Il motivo illecito perseguito è la costituzione di un’ipoteca per debiti preesistenti non scaduti.

Con la sentenza numero 1807, depositata il 28 gennaio 2013, la Corte di Cassazione ha confermato le statuizioni dei giudici di merito. Mutuo e ipoteca. Una società di gestione di crediti subentra nel mutuo di una banca. Le due donne mutuatarie vendono ad una loro s.r.l. l’immobile, dal valore di quasi 1 miliardo di lire. Subito dopo la s.r.l. stipula un contratto di ipoteca con la società di gestione crediti. La s.r.l. fallisce. La società di gestione crediti si oppone allo stato passivo del Fallimento, perché il suo credito derivante dal mutuo non è stato ammesso in via ipotecaria. L’opposizione viene rigettata sia dal Tribunale che dalla Corte d’Appello. La società ricorre quindi per cassazione. Ritiene di non aver commesso atti finalizzati alla violazione della par condicio creditorum. Inoltre la sentenza avrebbe considerato opponibile al fallimento il contratto di mutuo e allo stesso tempo, in maniera illogica, avrebbe ritenuto inefficace l’ipoteca concessa sul bene a garanzia della restituzione della somma. La norma sulla revocatoria. L’articolo 67 della legge fallimentare stabilisce quali atti debbano essere revocati in corso di fallimento, tra cui anche i pegni, le anticresi e le ipoteche giudiziali o volontarie costituite nell’anno anteriore alla dichiarazione del fallimento per debiti preesistenti non scaduti. L’ultimo comma prevede delle esenzioni dalla revocatoria per le operazioni di credito su pegno e di credito fondiario. La Corte d’Appello ha ritenuto irrilevante la questione della qualifica fondiaria del mutuo, come sollevata dal ricorrente, perché sussiste comunque una violazione del principio fondante del regime fallimentare. Il tentativo di avere un’illecita prelazione. La S.C. respinge il ricorso. Richiamando la sua giurisprudenza afferma, infatti, che «qualora venga stipulato un mutuo con concessione di ipoteca al solo fine di garantire, attraverso l’acquisto di titoli dati poi in pegno al mutuante, una precedente esposizione dello stesso soggetto o di terzi, è configurabile fra i due negozi - mutuo ipotecario e costituzione di pegno - un collegamento funzionale, ed è individuabile il motivo illecito perseguito, rappresentato dalla costituzione di un’ipoteca per debiti preesistenti non scaduti». Se l’ipoteca integra «garanzia costituita per un debito preesistente, resta soggetta a revocatoria ai sensi dell’articolo 67, comma 1, l. fall. qualora venga dichiarato il fallimento dell’obbligato». La corte territoriale ha motivato in maniera ampia e completa. Mutuo e ipoteca vanno considerati distintamente. Circa la sua dedotta illogicità, la Cassazione ribadisce che «la revoca dell’ipoteca non necessariamente comporta l’esclusione dell’ammissione al passivo del mutuo». Tale ammissione deve «ritenersi incompatibile con le sole fattispecie della simulazione e della novazione, e non anche con quella del negozio indiretto, poiché, in tal caso, la stessa revoca dell’intera operazione – e, quindi, anche del mutuo – comporterebbe pur sempre al necessità di ammettere al passivo la somma realmente erogata in virtù del mutuo revocato, atteso che, all’inefficacia del contratto, conseguirebbe pur sempre la necessità di restituzione, sia pure in moneta fallimentare».

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 10 – 28 gennaio 2013, numero 1807 Presidente Vitrone – Relatore Ragonesi Svolgimento del processo Con ricorso depositato presso la Cancelleria del Tribunale di Parma e notificato il successivo 15.9.2000, Intesa Gestione Crediti s.p.a proponeva opposizione allo stato passivo del fallimento G. s.r.l. perché a il proprio credito di L. 2.105.624.481 non era stato ammesso in via ipotecaria con la motivazione che il mutuo non poteva ritenersi fondiario per mancanza dei requisiti di cui all'articolo 38 d.lgs. 385/93 e l'ipoteca era stata concessa per un debito chirografario preesistente non scaduto b l'ulteriore credito di L. 500.000.000, derivante da avallo su cambiale agraria, era stato escluso. Si costituiva il curatore del fallimento, che contestava le affermazioni attoree e chiedeva il rigetto della opposizione. La causa veniva istruita attraverso produzioni documentali ed una consulenza tecnica d'ufficio. Con sentenza numero 21, pubblicata in data 17.10.2003, il Tribunale di Parma rigettava l'opposizione rilevando che a l'importo rinveniente dal mutuo era stato impiegato per circa L. 1.500.000.000 per ripianare il passivo del conto corrente acceso dalla società fallita e per il residuo era stato utilizzato in tempi brevissimi b contrariamente alla tesi dell'opponente, era ipotizzabile un collegamento negoziale volto al conseguimento di un risultato diverso da quello apparentemente perseguito da ogni singolo contratto e, nel caso di specie, era accaduto che attraverso il mutuo si era perseguito il risultato di munire di garanzia ipotecaria un preesistente debito chirografario c irrilevante era la natura di mutuo fondiario del contratto in questione posto che i benefici previsti dall'ultimo comma dell'articolo 67 l.f. non possono certo assistere un'operazione in violazione del principio fondante del regime fallimentare d relativamente a tale ultimo aspetto, comunque, ai sensi dell'articolo 38 del T.U. in materia bancaria, l'ammontare massimo dei finanziamenti, doveva corrispondere ad una percentuale e non ad un multiplo del valore del bene, mentre nel caso di specie era emerso dalla consulenza esperita che il valore dei beni era di sole L. 961.000.000 e quanto poi all'avallo, andava rilevato che esso era stato sottoscritto da Z.G. che rivestiva la qualità di amministratore delegato della società garante G. e della garantita Serenissima Carni s.c.r.l. a nulla rilevando che l’obbligazione fosse assunta dalla controllante in favore della controllata, dovendosi viceversa ritenere necessaria la prova dell'utilità, anche indiretta, conseguita dalla società poi fallita. Avverso detta sentenza proponeva impugnazione Intesa Gestione Crediti s.p.a., mentre l'appellato contestava la fondatezza del gravame. La Corte d'appello di Bologna, con sentenza numero 41/05 rigettava il gravame. Avverso detta sentenza ricorre per cassazione la Castello gestione crediti spa sulla base di un solo articolato motivo cui resiste con controricorso la curatela fallimentare. Entrambe le parti hanno depositato memorie. Motivi della decisione Con l'unico motivo di ricorso la società ricorrente censura la pronuncia della Corte d'appello laddove ha ritenuto di escludere il privilegio. Il motivo contiene le seguenti censure secondo le quali la Corte d'appello 1 avrebbe erroneamente ritenuto che sussistesse un collegamento funzionale tra il negozio stipulato e il motivo illecito con esso perseguito in violazione della par condicio collegamento che può essere ravvisato quando il mutuo venga stipulato al solo fine di garantire una precedente esposizione dello stesso soggetto o di terzi ed in tal caso il motivo illecito è rappresentato dalla costituzione di una ipoteca per debiti preesistenti non scaduti articolo 67 comma 1 numero 3 L.F. contrariamente a tale erroneo assunto nella fattispecie si dovrebbe ritenere pacifica, secondo la ricorrente, la totale insussistenza del collegamento negoziale finalizzato all'illecito risultato di violare la par condicio creditorum 2 erroneamente e senza adeguata motivazione ha considerato, da un lato, valido ed opponibile al fallimento il contratto di mutuo concesso dalla ricorrente alla S.r.l. G. per finanziare l'acquisto dell'immobile e, dall'altro lato, ha ritenuto inefficace l'ipoteca concessa sul bene a garanzia della restituzione della somma mentre avrebbe dovuto affermare l'impossibilità di negare il beneficio di cui all'articolo 67 u.comma L.F. non essendo il mutuo ipotecario affetto da simulazione o da nullità 3 ancora erroneamente avrebbe ritenuto che il mutuo di che trattasi non potesse ritenersi fondiario per mancanza del requisiti di cui all'articolo 38 d.lgs. 385/93. Vanno preliminarmente esaminate le eccezioni di inammissibilità del ricorso sollevate dalla curatela resistente. Con la prima di tali eccezioni si deduce la carenza di legittimazione attiva all'impugnazione da parte della Castello Gestioni spa poiché nelle precedente fase di giudizio era stata parte la mandante Intesa SCI gestione crediti e che, nel caso di rappresentanza volontaria discendente da mandato, la legittimazione primaria sostanziale e processuale spetta al mandante rappresentato. L'eccezione è infondata risultando dalla procura speciale notarile del 16.12.05, in atti, che la Intesa gestione crediti spa ha conferito alla Castello gestioni spa il potere di rappresentanza in tutti gli atti giudiziali e stragiudiziali aventi ad oggetto ogni posizione di credito ed ogni rapporto attivo e passivo di cui la mandante sia titolare o in relazione ai quali sia a qualunque titolo legittimata conferendo a tal fine tutti i necessari poteri anche di rappresentanza sostanziale . La seconda eccezione di inammissibilità si basa sull'assunto che la dimidiazione del termine per proporre opposizione allo stato passivo di cui all'articolo 99 l.f dovrebbe applicarsi anche nel caso del termine annuale di cui all'articolo 327 c.p.c Tale assunto è infondato,avendo questa Corte già affermato che la riduzione alla metà dei termini per l'impugnazione, stabilita dall'articolo 99, quinto comma, legge fall., si riferisce solo al termine breve previsto dall'articolo 325 cod. procomma civ. e non al termine annuale di impugnazione stabilito dall'articolo 327 cod. procomma civ., per il quale deve tenersi altresì conto della sospensione dei termini processuali nel periodo feriale Cass. 4606/94 . Venendo all'esame della prima doglianza contenuta nel motivo di ricorso se ne rileva l'inammissibilità. La Corte d'appello in ordine alla questione della esistenza di meccanismo negoziale in violazione della par condicio creditorum, volto a munire di garanzia ipotecaria un precedente credito della Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza, cui era subentrata Intesa Gestione Crediti, nei confronti della G. s.r.l. ha svolto la motivazione che segue. Su tale tema l'appellante si è limitata a rilevare come la sentenza impugnata non abbia considerato che il complesso immobiliare oggetto della garanzia fosse stato venduto pochi giorni prima della accensione della garanzia stessa alla G. da O.A. ed A G. , cosicché la banca avrebbe potuto conseguire il risultato a lei imputato fornire di garanzia un credito, della società, che in precedenza ne era sfornito con uno strumento molto più facile e diretto iscrivendo una ipoteca volontaria o, in ipotesi, giudiziale sui beni di tali terzi. L’argomentazione non convince, soprattutto se valutata nel contesto in cui si è inserita l'operazione, che rende evidente il fine perseguito dalla parti e consistente proprio nel munire di prelazione ipotecaria la esposizione della società, che di una garanzia di tal genere non era munita. Risulta in particolare incontestato che le venditrici, madre e figlia, intervenivano all'atto di vendita in proprio e in qualità di procuratrice della figlia, la prima, e in qualità di legale rappresentante della G., la seconda, essendo entrambe comunque sode e facenti parte del consiglio di amministrazione di tale società, il cui terzo socio ed amministratore, con funzioni di consigliere delegato, era G Z. marito convivente di A G. il certificato camerale indica la medesima residenza cfr. docomma 8 del fallimento . Inoltre è pacifico e comunque documentato cfr. docomma 14 che nessun assegno, relativamente al prezzo di L. 1.220.000.000 che figura a rogito, è transitato dalla società alle venditrici. A distanza di pochissimo tempo, su tale immobile - il cui valore reale è stato stimato in L. 961.000.000.dal consulente tecnico d'ufficio nominato nel corso del giudizio di primo grado, e comunque era indicato a rogito in somma di poco superiore — la società acquirente ha iscritto una ipoteca per un credito indicato in L. 4.000.000.000 L. 2.000.000.000 per il mutuo ed una eguale somma per interessi e spese senza che l'assegno relativo alla somma mutuata entrasse mai nella disponibilità del mutuatario l'importo è rimasto alla Cassa quale deposito cauzionale e lo stesso giorno, 15.3.1999, figura sul conto corrente della società . Come si accennava, a fronte di tale situazione in fatto, appare per la verità sterile indagare le ragioni che hanno indotto le parti a scegliere la via della cessione del bene immobile alla società anziché altre strade. In proposito pare sufficiente osservare, da un lato, come non risulti provata in causa l'esistenza di un titolo idoneo a consentire una iscrizione giudiziale sui beni degli amministratori non v'è traccia della prestazione di garanzie personali e, dall'altro, che le ragioni che possono aver escluso la dazione volontaria di ipoteca da parte delle originarie proprietarie, possono essere state le più varie, che vanno da esigenze proprie delle venditrici — la cui volontà era ovviamente, rilevante - quali la necessità di evitare ogni rischio di un coinvolgimento personale nell'imminente fallimento delle società di capitali o il desiderio di favorire i creditori delle società rispetto a creditori personali e cosi via, sino alla opportunità per la banca di rinegoziare interamente il conto degli effetti della declaratoria di inefficacia del negozio in presenza di quella che è una effettiva erogazione di denaro, sia pure destinata a coprire una precedente passività che viene estinta - sia e soprattutto sotto il profilo sostanziale, perché elide in radice la possibilità che un creditore contrattualmente forte ed avveduto possa nuocere per cifre rilevanti alla par condicio creditorum attraverso strumenti specificamente rivolti a creare situazioni per lui vantaggiose”. Trattasi di motivazione ampia e completa, basata su ben precisi accertamenti derivanti dall'esame della documentazione processuale che appare conforme a criteri di logica ed ai principi di diritto. Quanto a questi ultimi è appena il caso di ricordare il costante orientamento giurisprudenziale di questa Corte secondo cui, ai fini della revocatoria fallimentare di cui all'articolo 67, primo comma, numero 3, legge fall., qualora venga stipulato un mutuo con concessione di ipoteca al solo fine di garantire, attraverso l'acquisto di titoli dati poi in pegno al mutuante, una precedente esposizione dello stesso soggetto o di terzi, è configurabile fra i due negozi - mutuo ipotecario e costituzione di pegno - un collegamento funzionale, ed è individuabile il motivo illecito perseguito, rappresentato dalla costituzione di un'ipoteca per debiti preesistenti non scaduti. ex plurimis Cass. 17200/12 Cass. numero 15690 del 2011 Cass. 14757/2010 Cass. 12/04 Cass. 20 marzo 2003 numero 4069 Cass. numero 9520/1997 . Le censure che la ricorrente muove alla riportata motivazione sono, in parte, basate su circostanze non corrispondenti alla realtà,mentre, in parte, tendono a proporre una diversa interpretazione degli elementi probatori acquisiti in giudizio, in tal modo investendo il merito della decisione, e sotto altri profili non censurano le effettive argomentazioni svolte dalla sentenza. In particolare, la ricorrente si duole che la Corte d'appello abbia ignorato che, con rogito del 26.2.99, la O. e la C. avevano venduto alla società G. l'immobile per cui è causa. Tale doglianza non corrisponde alla realtà ed a tal fine è sufficiente leggere il periodo iniziale della motivazione della sentenza poco sopra riportato ove la predetta questione viene esaminata. La ricorrente, inoltre, ripropone la tesi secondo cui, se la banca avesse voluto costituire una ipoteca a garanzia dell'esposizione nei suoi confronti, avrebbe potuto chiederla alla persone fisiche G. e O. tramite la costituzione di ipoteca volontaria sui loro beni personali. Trattasi di una diversa valutazione di merito peraltro puramente ipotetica, che pone un sindacato inammissibile nei confronti della decisione della Corte territoriale. Inoltre, la censura in esame non investe la motivazione della sentenza laddove ha osservato che le ragioni per cui si era addivenuto alla decisione di cedere il complesso immobiliare potevano essere le più varie come la volontà delle venditrici di non essere esposte ad un coinvolgimento nel prevedibile fallimento, o la volontà di favorire i creditori societari anziché quelli personali ovvero la possibilità per la banca di rinegoziare interamente il conto degli effetti della declaratoria di inefficacia del negozio in presenza di quella che è una effettiva erogazione di denaro etc Sotto tale profilo l'inammissibilità del motivo risulta dalla mancata censura della intera ratio decidendi contenuta nella motivazione. Infondata è anche la seconda doglianza secondo cui la Corte territoriale, erroneamente e senza adeguata motivazione, ha considerato, da un lato, valido ed opponibile al fallimento il contratto di mutuo concesso dalla ricorrente alla S.r.l. G. per finanziare l'acquisto dell'immobile e, dall'altro lato, ha ritenuto inefficace l'ipoteca concessa su bene a garanzia della restituzione della somma. Questa Corte ha - come già ricordato - affermato che, nel caso in cui l'ipoteca integra garanzia costituita per un debito preesistente, resta soggetta a revocatoria ai sensi dell'articolo 67, comma 1, l. fall. qualora venga dichiarato il fallimento dell'obbligato, Cass. 12/04 Cass. numero 9520/1997 Cass. 12342/1992 . Questa Corte ha poi chiarito che la revoca della ipoteca non necessariamente comporta l'esclusione dall'ammissione al passivo del mutuo. L'ammissione al passivo della somma mutuata deve, infatti, ritenersi incompatibile con le sole fattispecie della simulazione e della novazione, e non anche con quella del negozio indiretto, poiché, in tal caso, la stessa revoca dell'intera operazione - e, quindi, anche del mutuo - comporterebbe pur sempre la necessità di ammettere al passivo la somma realmente erogata in virtù del mutuo revocato, atteso che, all'inefficacia del contratto, conseguirebbe pur sempre la necessità di restituzione, sia pure in moneta fallimentare. Cass. 20 marzo 2003 numero 4069 Cass. 899/73 . La censura non può pertanto trovare accoglimento. La terza doglianza, secondo cui la sentenza erroneamente avrebbe ritenuto che il mutuo di che trattasi non possa ritenersi fondiario per mancanza del requisiti di cui all'articolo 38 d.lgs 385/93, è inammissibile. Invero la sentenza impugnata ha ritenuto che la questione della configurabilità nel caso di specie di un mutuo fondiario era superata e resa irrilevante dall'affermato principio della revocabilità della garanzia anche in caso di ammissione al passivo della somma mutuata e della illiceità del motivo posto a base del negozio indiretto attuato dalle parti sulla base dei principi già affermati da questa Corte proprio in un caso di mutuo fondiario. La società ricorrente non censura siffatta motivazione, ma prospetta una serie di censure su questioni ammontare massimo del finanziamento in rapporto al valore dei beni ipotecati, valutazione del bene in base alla perizia del geom. N. , destinazione delle somme ricevute a titolo di mutuo fondiario che non si rinvengono nella sentenza impugnata. Nella sentenza impugnata è presente,poi, una ulteriore motivazione basata sulla constatazione che il Tribunale si era limitato ad osservare che le somme ricevute a titolo di mutuo erano state destinate a ripianare preesistenti debiti ai fini dell'applicazione dell'articolo 67 comma 1, nnumero 3 e 4, e che su tale punto non vi era stata impugnazione, senza in alcun modo affermare che le somme predette dovevano essere utilizzate a miglioramento del fondo, per cui anche il motivo di appello sul punto era infondato. La ricorrente non coglie la effettiva ratio di tale motivazione e continua a ribadire che nel caso di mutuo fondiario non è necessario che sia prevista la destinazione delle somme erogate a miglioramento del fondo affermazione, come si è visto, che la Corte d'appello ha escluso che fosse stata fatta dal Tribunale. Il ricorso va pertanto respinto. La ricorrente va di conseguenza condannato al pagamento delle spese processuali liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 7000,00 oltre Euro 200,00 per esborsi ed oltre accessori di legge.