Appaltante responsabile anche penalmente se c’è ingerenza nei lavori edili

Il contratto di appalto determina il trasferimento dal committente all’appaltatore della responsabilità della esecuzione dei lavori tuttavia l’esonero del primo non si verifica se abbia assunto una partecipazione attiva nella conduzione dell’opera.

Il caso. La fattispecie decisa dalla Terza sezione Penale della Corte di Cassazione 9 marzo 2012, numero 9346 riguarda una situazione in occasione della quale un bambino, giocando vicino a materiale destinato a lavori edili, perse l’uso dell’occhio destro essendo venuto a contatto con una sostanza caustica. Sostanza caustica che, in base alle risultanze processuali, in occasione di alcuni lavori edili nell’abitazione di un soggetto, era stata lasciata in luogo accessibile a terzi e, quindi, anche al bambino senza alcuna protezione. La questione concreta giunge per la seconda volta all’attenzione della Suprema Corte perché già una prima volta la quarta sezione con sentenza dell’8 aprile 2010 aveva annullato la sentenza di secondo grado avendo rilevato alcune lacune motivazionali. Il rapporto tra appaltante e appaltatore per individuare le rispettive responsabilità. In particolare, la Suprema Corte aveva rilevato che i giudici di merito non avevano accertato i rapporti tra l’appaltante e l’appaltatore al fine di individuare le rispettive responsabilità non si era saputo, infatti, se l’appaltante si fosse, o no ingerito, se l’appaltatore avesse le capacità tecniche ed organizzative richieste e se l’appaltante fosse o no consapevole della presenza della sostanza caustica sulla pubblica via. In sede di rinvio, la Corte di appello di Caltanissetta aveva ritenuto l’appaltante responsabile del delitto argomentando dalle circostanze che egli si era reso inadempiente alle prescrizioni della concessione edilizia che prevedeva la necessità di una recinzione del cantiere e che si era ingerito nell’esecuzione dell’appalto oltre che era pienamente consapevole del materiale depositato sulla pubblica via. Reato prescritto, ma condanna civile confermata. All’esito del giudizio di rinvio, l’imputato propone ricorso per cassazione lamentando, ancora una volta, insufficiente motivazione in ordine alle competenze tecniche della ditta appaltatrice e alla sua ingerenza che, a suo dire, non ci sarebbe stata. La Corte di Cassazione con la sentenza in esame, dopo aver dichiarato estinto il reato per prescrizione, rigetta il ricorso e, per l’effetto, conferma le statuizioni civili ed in particolare la condanna generica dell’imputato. Quanto al tema del mancato accertamento delle competenze tecniche dell’impresa appaltatrice, la Corte di Cassazione osserva che la lacuna, pur presente, non possiede la rilevanza sperata dal ricorrente «dal momento che l’indagine era stata sollecitata al solo fine di una possibile emersione della culpa in eligendo» poiché quel profilo non era stato evidenziato dalla Corte, quell’indagine era superflua. La responsabilità permane se c’è ingerenza. Viceversa, la seconda circostanza, e cioè, se c’era stata oppure no ingerenza era molto importante nell’economia del giudizio. Ed infatti, la Suprema Corte muove dalla propria consolidata giurisprudenza in base alla quale «il contratto di appalto determina il trasferimento dal committente all’appaltatore della responsabilità della esecuzione dei lavori tuttavia l’esonero del primo non si verifica se abbia assunto una partecipazione attiva nella conduzione dell’opera». Orbene, la Corte di merito ha affermato che l’ingerenza dell’appaltante vi era stata dal momento che egli non aveva provveduto a recintare l’area di cantiere, né a chiedere il permesso di occupare il suolo pubblico, ma solo per il fatto di aver dato indicazione di collocare il materiale in garage. Quell’ingerenza aveva determinato l’obbligo per l’appaltante di «controllare e vigilare al fine di assicurarsi che nulla fosse lasciato incustodito alla portata dei passanti» e ciò anche perché egli aveva acquistato il materiale e ben poteva facilmente riconoscere la situazione di pericolo creata da una collocazione senza protezione dei prodotti pericolosi.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 9 febbraio – 9 marzo 2012, numero 9346 Presidente Petti – Relatore Squassoni Motivi della decisione Durante la esecuzione di lavori edili appaltati alla Ditta C. I. ed effettuati nella abitazione di C.N. dei recipienti contenenti sostanza caustica sono stati lasciati in luogo accessibile a terzi tale situazione ha consentito che un bambino giocando venisse a contatto con il materiale pericoloso riportando lesioni alla cornea con perdita dell'uso dell'occhio destro. La posizione in esame concerne solo la responsabilità del C. per il delitto di lesioni colpose in esito alla sentenza della Cassazione sez. 4 del 8 aprile 2010 con la quale è stata annullata con rinvio la decisione della Corte di Appello 7 ottobre 2007. La Suprema Corte - dopo avere focalizzato le coordinate normative e giurisprudenziali circa i rapporti tra committente ed appaltatore - ha rilevato le seguenti lacune motivazionali nella decisione al suo vaglio. Nulla era stato detto sulle capacità tecniche ed organizzative della ditta C. non risultava accertato se vi fossero state ingerenze del C. nella esecuzione dei lavori non erano state indicate circostanze dalle quali desumere che l'imputato fosse consapevole della presenza dei sacchi sulla pubblica via e del contenuto degli stessi. Decidendo in sede di rinvio dalla Cassazione, la Corte di Appello di Caltanissetta, con sentenza 4 novembre 2010, ha dichiarata estinta per prescrizione la contravvenzione alla normativa sulla sicurezza del lavoro e ritenuto l'imputato responsabile del delitto di lesioni in base ai seguenti rilievi - il C. si è reso inadempiente alla prescrizioni della concessione edilizia che prevedere una recinzione del cantiere per renderlo inaccessibile agli estranei neppure aveva chiesto una autorizzazione per occupare la strada pubblica - l'imputato si era ingerito nelle scelte organizzative dello appaltatore disponendo che i materiali edili fossero ricoverati nel suo garage senza vigilare per impedire che fossero lasciati, al termine dei lavori, sulla strada - l'imputato era consapevole della natura del materiale per averlo acquistato personalmente anche se trasportato in cantiere da altri. Per l'annullamento della sentenza, C. ha proposto ricorso per Cassazione deducendo difetto di motivazione, in particolare, rilevando - che la ditta C. aveva elevata professionalità nel campo della edilizia e questo punto - pur devoluto dalla Cassazione - non è stato affrontato dai Giudici del rinvio - che non vi è stata ingerenza alcuna nei lavori perché l'appaltatore ha utilizzato in modo esclusivo, indipendente, autonomo il garage - che aveva acquistato i materiali solo nel senso che aveva pagato le relative fatture per cui non era edotto del contenuto dei sacchi. Deve, innanzi tutto, rilevarsi come, pur tenendo conto dei periodi di rinvio del processo a richiesta del Difensore o per impedimento dello stesso, si è maturato il termine richiesto dagli articolo 157-160 cod. penumero di conseguenza, la Corte deve dichiarare non doversi procedere nei confronti dell'imputato in merito al delitto perché estinto per prescrizione. La conclusione, essendo stata pronunciata condanna generica al risarcimento dei danni alle parti civili, non esime dal prendere in considerazione le censure del ricorrente ai limitati effetti ed a sensi dell'articolo 578 cod. proc. penumero . Corrisponde al vero che la Corte territoriale non ha esaminato il tema delle capacità organizzative della Ditta C. che pur era stato devoluto dalla Cassazione ai Giudici del rinvio la lacuna non ha la rilevanza attribuita dal ricorrente dal momento che l'indagine era stata sollecitata al solo fine di una possibile emersione della culpa in eligendo. Tale profilo di colpa non è stato evidenziato dalla Corte territoriale e la circostanza rendeva superfluo una indagine sulla efficienza ditta appaltatrice della quale non è mai messa in discussione nella impugnata sentenza la efficienza tecnica e professionale. La seconda circostanza che, per la Cassazione, era da approfondire concerneva la ingerenza dell'imputato nei lavori edili. Sul punto, è appena il caso di rilevare come, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, il contratto di appalto determina il trasferimento dal committente allo appaltatore della responsabilità della esecuzione dei lavori tuttavia l'esonero del primo non si verifica se abbia assunto una partecipazione attiva nella conduzione dell'opera. Una tale ingerenza è stata riscontrata dalla Corte territoriale nella seguente circostanza l'imputato, invece di transennare il cantiere come gli era imposto dalla concessione edilizia o di chiedere l'autorizzazione per l'occupazione del suolo pubblico aveva disposto che i materiali da costruzione fossero collocati in un garage al termine dei lavori. La accertata intromissione nella organizzazione lavorativa dello appaltatore faceva sorgere - come correttamente rilevato dalla Corte territoriale - in capo al C. l'obbligo di controllare e vigilare al fine di assicurarsi che nulla fosse lasciato incustodito alla portata dei passanti. La Corte di merito, ha ritenuto che l'imputato fosse consapevole della giacenza dei materiali sulla via questo giudizio fattuale, congruamente motivato, è insindacabile dalla Cassazione anche perché si pone in sintonia con la circostanza che il C. viveva nello immobile dove erano in corso i lavori. La conclusione in diritto della Corte di Appello, rispettosa delle emergenze processuali e sorretta da logico apparato argomentativo, è condivisibile l'imputato, nel limitato settore in cui aveva dato disposizioni concernente il ricovero dei materiali , era gravato dall'obbligo di controllo per evitare situazioni di pericolo come quella, immediatamente percepibile senza particolari competenze tecniche, che, purtroppo, si è verificata. Circa la conoscenza da parte del C. del contenuto dei sacchi giacenti per la strada, i Giudici di merito hanno risposto positivamente sotto il profilo che era lo stesso imputato ad avere il compito di acquistare i materiali per il cantiere, mentre il C. metteva a disposizione la sola manodopera. Sul punto, il ricorrente propone censure in fatto, tendenti ad una rinnovata ponderazione del coacervo probatorio alternativa a quella correttamente operata dai Giudici di merito in tale modo, solleva problematiche che esulano dai limiti cognitivi del giudizio di legittimità. Per le esposte ragioni, le statuizioni civili della sentenza devono essere confermate. P.Q.M. Annulla senza rinvio la impugnata sentenza perché il residuo reato è estinto per prescrizione. Conferma le statuizioni civili.