Il contratto giornalistico concluso con un redattore non iscritto all’albo dei professionisti è nullo, con la conseguenza che il redattore ha diritto soltanto alla giusta retribuzione, ma non può invocare il trattamento economico previsto dal Ccnl.
Per l’esercizio dell’attività giornalistica di redattore ordinario, non limitata alla mera trasmissione di notizie, ma estesa alla elaborazione, analisi e valutazione delle stesse, è necessaria l’iscrizione nell’albo dei giornalisti professionisti. Il redattore pubblicista ha diritto ad una giusta retribuzione, ma non può pretendere il trattamento economico previsto dal ccnl. E’ questo il principio espresso dalla Corte di Cassazione, con la sentenza numero 1425 del 1° febbraio. Il caso. Un giornalista, iscritto all’albo dei pubblicisti, si vedeva riconoscere dal Tribunale il diritto al trattamento economico spettante al redattore ordinario, in forza di un rapporto di lavoro subordinato giornalistico, intercorso per un decennio con un quotidiano nazionale i giudici condannavano la società editrice al pagamento delle differenze retributive e la Corte d’appello confermava tale decisione. Il datore di lavoro proponeva ricorso per cassazione. Redattore ordinario serve l’iscrizione all’albo dei professionisti. La società ricorrente lamenta che la Corte territoriale ha riconosciuto al lavoratore la qualifica di redattore ordinario, attribuendogli, quindi, il corrispondente trattamento economico previsto dal contratto collettivo, senza però considerare che il dipendente non risultava iscritto all’albo dei professionisti. Si tratta di un rilievo fondato, secondo la S.C., poiché secondo pacifica giurisprudenza è richiesta l’iscrizione nell’albo dei giornalisti professionisti per l’esercizio dell’attività giornalistica di redattore ordinario, intendendosi per tale un’attività «caratterizzata dall’autonomia nella prestazione, non limitata alla mera trasmissione di notizie, ma estesa all’elaborazione, analisi e valutazione delle stesse». Nullo il contratto stabilito col pubblicista. Di conseguenza, deve ritenersi che il contratto giornalistico concluso con il redattore non iscritto nell’albo dei professionisti è nullo per violazione di norme imperative. Il pubblicista, quindi, ha diritto esclusivamente ad una giusta retribuzione, ex articolo 36 Cost., per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, ma non può pretendere il trattamento economico previsto dal C.c.numero l. Sul punto, quindi, il ricorso merita accoglimento e la causa viene rinviata alla Corte d’appello per una nuova decisione nel merito.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 14 dicembre 2011 – 1° febbraio 2012, numero 1425 Presidente Lamorgese – Relatore Balestrieri Svolgimento del processo Il Messaggero s.p.a. impugnava le sentenze non definitiva e definitiva, con cui il Tribunale di Frosinone dichiarò che il rapporto di lavoro intrattenuto con lo I. , iscritto all'albo dei pubblicisti, dal 21 gennaio 1988 al 31 marzo 1998, era un rapporto di lavoro subordinato giornalistico, con diritto di quest'ultimo al trattamento economico spettante al redattore ordinario, condannando la società al pagamento delle conseguenti differenze retributive, quantificate in complessivi Euro 308.524,36, oltre accessori. La Corte d'appello di Roma, con sentenza depositata il 2 luglio 2009, respingeva il gravame della società editrice. Riteneva la corte che dalle testimonianze escusse risultava provato lo stabile inserimento dello I. presso la redazione di Frosinone, ove si recava quotidianamente con l'osservanza di un orario di lavoro, assicurando la copertura giornalistica della cronaca nera respingeva la riproposta eccezione di prescrizione e confermava la pronuncia del Tribunale. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la società Il Messaggero, affidato a tre motivi, poi illustrati con memoria. Resiste lo I. con controricorso. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia una insufficiente motivazione in ordine alla sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato e della connessa manifestazione di una volontà novativa rispetto al rapporto di collaborazione autonoma ed occasionale inizialmente instaurata. Lamenta che lo I. era dipendente della Provincia di Frosinone che in tale contesto venne instaurato un rapporto di collaborazione autonoma, come evincevasi dalla forma dei compensi in parte formalmente versati alla moglie, ancorché all'insaputa della società che una più attenta valutazione delle risultanze istruttorie avrebbe dovuto indurre la corte territoriale a ritenere insussistente la subordinazione di cui non erano emerso gli indici rivelatori. Il motivo è inammissibile per sottoporre alla Corte un riesame dei fatti di causa. Il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall'articolo 360, comma primo, numero 5 cod. proc. civ., non equivale infatti alla revisione del ragionamento decisorio , ossia dell'opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione, in realtà, non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe sostanzialmente in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall'ordinamento al giudice di legittimità ne consegue che risulta del tutto estranea all'ambito del vizio di motivazione ogni possibilità per la Corte di cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l'autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti di causa. Del resto, il citato articolo 360, comma primo, numero 5 , c.p.c. non conferisce alla Corte di cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione operata dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, e, in proposito, valutarne le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza, scegliendo, tra le varie risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione. Cass. 6 marzo 2006 numero 4766 Cass. 25 maggio 2006 numero 12445 Cass. 8 settembre 2006 numero 19274 Cass. 19 dicembre 2006 numero 27168 Cass. 27 febbraio 2007 numero 4500 . Inoltre è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 360 numero 5 cod. proc. civ., qualora esso intenda far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, prospetti un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all'ambito di discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell'apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione citata Cass. 26 marzo 2010 numero 7394 . Nella specie la corte capitolina ha congruamente e logicamente motivato che, prevalendo l'effettivo atteggiarsi del rapporto rispetto alla iniziale qualificazione formale, dalle prove raccolte era emerso lo stabile inserimento dello I. nella redazione di Frosinone, ove operava quotidianamente e con il rispetto di un orario di lavoro, assicurando la copertura giornalistica della cronaca nera, circostanza nota all'editore, essendo i suoi articoli pubblicati regolarmente sulla cronaca locale e nazionale del giornale. 2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia contraddittorietà della motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio e cioè il riconoscimento allo I. della qualifica di redattore ordinario e la conseguente attribuzione allo stesso del corrispondente trattamento economico previsto dal c.c.numero l.g Lamenta la società editrice che la corte territoriale non aveva adeguatamente valutato l'inserimento dello I. nella redazione di Frosinone, la realizzazione di servizi riguardanti particolari avvenimenti, la partecipazione all'attività organizzativa, di programmazione e formazione del prodotto finale, essendo irrilevante il numero di articoli pubblicati. Lamenta ancora la contraddittorietà della sentenza impugnata laddove da una parte aveva accertato la maggiore affidabilità dei giornalisti professionisti all'interno della redazione, e d'altro canto aveva parimenti riconosciuto allo I. il trattamento economico collettivo spettante al redattore ordinario. Si duole inoltre che il rapporto di lavoro giornalistico con chi non risulta iscritto all'albo dei giornalisti professionisti deve intendersi nullo, con diritto del lavoratore, ex articolo 2126 c.c., unicamente ad una equa retribuzione ex articolo 36 Cost. senza possibilità di applicazione integrale del trattamento economico previsto dal c.c.numero l Mentre le prime due censure risultano inammissibili per sottoporre al giudice di legittimità un riesame delle circostanze di causa e delle risultanze istruttorie attraverso un diretto apprezzamento delle stesse da parte della Corte di cassazione, l'ultima censura risulta fondata. Come è stato più volte affermato da questa Corte, per l'esercizio dell'attività giornalistica di redattore ordinario è necessaria l'iscrizione nell'albo dei giornalisti professionisti Cass. 22 novembre 2010 numero 23638 Cass. 1 luglio 2004 numero 12095 . Ne consegue che il contratto giornalistico concluso con il redattore - intendendosi per tale il giornalista professionista stabilmente inserito nell'ambito di una organizzazione editoriale o radiotelevisiva, la cui attività è caratterizzata dall'autonomia della prestazione, non limitata alla mera trasmissione di notizie, ma estesa alla elaborazione, analisi e valutazione delle stesse - che non sia iscritto nell'albo dei giornalisti professionisti, è nullo non già per illiceità della causa o dell'oggetto, ma per violazione di norme imperative, con la conseguenza che, a norma dell'articolo 2126 c.c., detta nullità non produce effetti per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, periodo in relazione al quale il redattore ha diritto, ex articolo 36 Cost., alla giusta retribuzione, la cui determinazione spetta al giudice del merito ex plurimis, Cass. 22 novembre 2010 numero 23638 Cass. 10 marzo 2004 numero 4941 . Tali principi vanno qui riaffermati ex articolo 384 c.p.c., e tanto basta per accogliere in parte qua il secondo motivo e cassare con rinvio l'impugnata sentenza. 3. Con il terzo motivo la società denuncia la violazione dell'articolo 2948 c.c. per avere la corte territoriale escluso la decorrenza della prescrizione in costanza di rapporto, pur lavorando lo I. per una impresa avente più di quindici dipendenti, il cui rapporto lavorativo era dunque assistito dalla stabilità reale, che peraltro derivava anche dalla circostanza che lo I. era anche dipendente dall'amministrazione provinciale di Frosinone. Il motivo è infondato. Questa Corte ha più volte affermato che la decorrenza o meno della prescrizione in corso di rapporto va verificata con riguardo al concreto atteggiarsi del medesimo in relazione alla effettiva esistenza di una situazione psicologica di metus del lavoratore e non già alla stregua della diversa normativa garantistica che avrebbe dovuto astrattamente regolare il rapporto ex plurimis, Cass. 13 dicembre 2004 numero 23227 Cass. 23 agosto 2007 numero 17935 Cass. 19 gennaio 2011 numero 1147 . Proprio con riferimento all'attività giornalistica da parte di soggetto iscritto nell'elenco dei pubblicisti, comportante la nullità del contratto e il riconoscimento della prestazione di fatto, questa Corte ha affermato che, ai sensi dell'articolo 2948, numero 4, cod. civ. nel testo risultante dalle sentenze della Corte costituzionale , la prescrizione quinquennale resta sospesa durante l'esecuzione del rapporto di lavoro non assistito da garanzia di stabilità, e che nelle ipotesi di prestazioni di fatto con violazione di legge - incompatibili con il licenziamento, ma comportanti la più assoluta libertà del datore di lavoro di rifiutare la prestazione - è radicalmente esclusa la situazione di stabilità, sicché i relativi crediti, spettanti ex articolo 2126 cod. civ., restano sospesi durante il rapporto Cass. 12 novembre 2007 numero 23472 . Per tali ragioni deve anche escludersi il rilievo dell'esistenza di altro rapporto di lavoro stabile intrattenuto con altro datore di lavoro. 4. In conclusione deve accogliersi il secondo motivo di ricorso inerente la quantificazione del credito dello I. , la sentenza impugnata conseguentemente cassarsi in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche per le spese, alla Corte d'Appello di Roma in diversa composizione, che si atterrà ai principi di cui sopra. P.Q.M. La Corte accoglie parzialmente il secondo motivo di ricorso e rigetta gli altri cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'appello di Roma in diversa composizione.