Biglietto ritirato all’ingresso, nessun esborso all’uscita ben otto gli episodi contestati. Eppure viene confermata l’assoluzione. L’autocarro guidato è intestato ad un’altra persona, alla quale sono stati inviati i relativi solleciti.
Otto passaggi gratis ai caselli autostradali, per giunta con un veicolo ‘evidente’, un autocarro. Eppure il conducente si salva perché «mai individuato e riconosciuto» negli episodi incriminati Cassazione, sentenza numero 4251/2012, Seconda sezione Penale, depositata l’1 febbraio . Nonostante il pagamento del pedaggio in occasione di un controllo a sorpresa della Polizia e il tentativo di un accordo con Autostrade per l’Italia spa. Solo ingresso. A finire sotto accusa è il conducente di un autocarro, per un comportamento irregolare in autostrada. Secondo la prima ricostruzione, l’uomo «contraeva l’obbligazione di pagamento del pedaggio autostradale, con il proposito di non adempierla, dissimulando il proprio stato d’insolvenza». Il contenzioso, però, a sorpresa, prende una strana piega la Corte d’Appello, riformando la pronuncia di primo grado, assolve l’uomo perché «il fatto non costituisce reato». Alla base di questa decisione, un elemento preciso, per i giudici «in nessuno degli otto passaggi irregolari contestati, l’imputato era stato identificato come il conducente dell’automezzo», che, peraltro, «risultava intestato» ad altra persona. E comunque, sottolineano ancora i giudici, non «risultava provata la volontà» né «il dolo del reato», anche tenendo presente che all’effettivo proprietario dell’autocarro «sono stati inviati i solleciti dei mancati pagamenti». Autostrade in campo. A contestare la pronuncia è, nelle vesti di parte civile, Autostrade per l’Italia spa, che presenta ricorso per cassazione, definendo «illogica» la motivazione della pronuncia d’Appello. Illogica, viene spiegato, perché i giudici hanno utilizzato la formula de «il fatto non costituisce reato» eppure hanno affermato che il conducente «non avesse commesso il fatto addebitatogli» illogica, poi, anche perché l’imputato «dopo essere stato individuato, si recò presso gli uffici di Autostrade per tentare un componimento e, in occasione del controllo di Polizia, pagò il pedaggio, proprio perché sorpreso in quanto utente precedentemente segnalato come insolvente recidivo». Troppi dubbi. Nonostante le potenziali contraddizioni evidenziate nel ricorso, però, i giudici di Cassazione, rigettando il ricorso di Autostrade, mostrano di condividere la posizione assunta in Appello, posizione legata alla considerazione che «gli elementi probatori in atti non avessero una valenza probatoria tale da far ritenere l’imputato colpevole al di là di ogni ragionevole dubbio», anche tenendo presente che il conducente «non era mai stato individuato e riconosciuto negli otto episodi che gli erano stati addebitati». La decisione, espressa con la sentenza di secondo grado, è, secondo la Cassazione, «compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento». E, comunque, legittima certo, «una volta ritenuto che non vi era alcuna prova», si sarebbe dovuto ricorrere alla formula «assolto per non aver commesso il fatto», ma la Corte d’Appello, ha adottato «la doppia motivazione» perché, comunque, si è ritenuto «che non vi fosse neppure la prova della sussistenza dell’elemento soggettivo».
Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 21 dicembre 2011 – 1° febbraio 2012, numero 4251 Presidente Casucci – Relatore Rago Fatto e diritto p. 1. Con sentenza in data 7/01/2010, la Corte di Appello di Roma, in riforma della sentenza pronunciata in data 12/12/2007 dal tribunale di Cassino, assolveva L.M.A. dal reato di cui all'articolo 641 c.p. perché contraeva l'obbligazione di pagamento del pedaggio autostradale con il proposito di non adempierla dissimulando il proprio stato d'insolvenza perché il fatto non costituisce reato. Osservava la Corte che, in nessuno degli otto passaggi irregolari contestati, l'imputato era stato identificato come il conducente dell'automezzo che, peraltro, risultava intestato a tale C.F. . In ogni caso, secondo la Corte territoriale, non risultava provata “la volontà da parte del soggetto che ha posto in essere la condotta contestata, il dolo del reato consistente nella volontà di dissimulare il proprio stato d'insolvenza e di assumere l'obbligazione col proposito di non adempierla, tanto più che l'auto in esame era intestata ad altra persona, C.F. , alla quale sono stati inviati i solleciti dei mancati pagamenti”. p. 2. Avverso la suddetta sentenza, ha proposto ricorso per cassazione la parte civile Autostrade per l'Italia spa deducendo i seguenti motivi 1. Illogicità della motivazione per avere la Corte territoriale assolto l'imputato con la formula perché il fatto non costituisce reato nonostante avesse ritenuto che non avesse commesso il fatto addebitatogli. Obietta la ricorrente che gli argomenti addotti dalla Corte territoriale sarebbero illogici. Infatti, la circostanza che il veicolo era intestato a terzi, “era argomento logico di tenore contrario a quello ritenuto dalla Corte di Appello” che “si lega logicamente anche con il fatto che il L.M. , solo dopo essere stato individuato, si recò presso gli uffici di Autostrade per tentare un componimento [ ] e, in occasione del controllo di Polizia del 8/09/2006, pagò il pedaggio proprio perché era stato sorpreso dalla polizia in quanto utente precedentemente segnalato come insolvente recidivo”. 2. violazione dell'articolo 597 c.p.p. per avere la Corte territoriale assolto l'imputato per mancanza dell'elemento psicologico laddove lo stesso imputato aveva chiesto l'assoluzione per non aver commesso il fatto e, quindi, solo sotto il profilo oggettivo e cioè per non esservi la prova che fosse proprio lui il conducente dell'autocarro. p. 3. Il ricorso è manifestamente infondato. Infatti, nella motivazione addotta dalla Corte territoriale non è ravvisabile alcuna illogicità o contraddittorietà avendo la Corte ritenuto che gli elementi probatori in atti non avessero una valenza probatoria tale da far ritenere l'imputato colpevole al di là di ogni ragionevole dubbio. La Corte territoriale, ha preso in esame tutti gli elementi probatori ed ha concluso, dopo averli analizzati e valutati, che i medesimi non consentivano la condanna dell'imputato che, infatti, non era mai stato individuato e riconosciuto negli otto episodi che gli erano stati addebitati. La Corte ha anche valutato gli elementi valorizzati dalla ricorrente in questa sede, ma ha ritenuto che i medesimi fossero privi di alcuna valenza accusatoria. Le censure, quindi, riproposte con il presente ricorso, vanno ritenute null'altro che un modo surrettizio di introdurre, in questa sede di legittimità, una nuova valutazione di quegli elementi fattuali già ampiamente presi in esame dalla Corte di merito la quale, con motivazione logica, priva di aporie e del tutto coerente con gli indicati elementi probatori, ha puntualmente disatteso la tesi difensiva. Pertanto, non avendo la ricorrente evidenziato incongruità, carenze o contraddittorietà motivazionali, la censura, essendo incentrata tutta su una nuova rivalutazione di elementi fattuali e, quindi, di mero merito, va dichiarata inammissibile. In altri termini, le censure devono ritenersi manifestamente infondate in quanto la ricostruzione effettuata dalla Corte e la decisione alla quale è pervenuta deve ritenersi compatibile con il senso comune e con “i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento” infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune Cass. numero 47891/2004 rv 230568 Cass. 1004/1999 rv 215745 Cass. 2436/1993 rv 196955. Sul punto va, infatti ribadito che l'illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, dev'essere percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze ex plurimis SSUU 24/1999. È vero che la Corte, una volta ritenuto che non vi era alcuna prova che il L.M. si fosse reso responsabile del reato ascrittogli, avrebbe dovuto, coerentemente, assolverlo con la formula per non aver commesso il fatto, ma è anche vero che la Corte, in realtà, ha adottato la doppia motivazione nel senso che ha ritenuto che, comunque, non vi fosse neppure la prova della sussistenza dell'elemento soggettivo. In ogni caso, si tratta di una questione sulla quale la ricorrente non ha os ad eloquendum essendo, con tutta evidenza, priva di alcun interesse a far rilevare l'imprecisione nella formula assolutoria. Quanto detto, assorbe il secondo motivo dedotto. p. 4. In conclusione, l'impugnazione deve ritenersi inammissibile a norma dell'articolo 606/3 c.p.p., per manifesta infondatezza alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell'articolo 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.000,00. P.Q.M. Dichiara Inammissibile il ricorso e CONDANNA la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.