Spese processuali, la compensazione rientra tra i poteri discrezionali del giudice

di Elisa Ceccarelli

di Elisa Ceccarelli *La sentenza della seconda sezione della Corte di Cassazione del 22 febbraio 2011, numero 4278 si è pronunciata su due rilevanti temi il primo, relativo al diritto di ritenzione della caparra confirmatoria ed il secondo relativo alla condanna alle spese processuali. Anzitutto è, però, necessario ricostruire la controversia giudiziaria e i suoi sviluppi processuali nei due gradi di merito.La fattispecie. Tutto parte dall'avvenuta stipulazione tra le parti di un contratto di opzione con riserva di concludere il definitivo di vendita relativo ad una partita di animali [nel caso di specie tratta vasi di bufaline] ed una trattrice con precisazione dei prezzi e delle modalità dell'eventuale acquisto all'esito dei controlli sanitari degli animali mai esibiti dal convenuto i certificati sanitari richiesti e del controllo meccanico e funzionale della trattrice, rilasciando [il futuro acquirente] a titolo di deposito fiduciario e per garantire la serietà dei propri intenti un assegno bancario per la somma di Lire 50.000.000 con l'intesa che il titolo, avendo funzione di garanzia, non venisse incassato . Era, poi, accaduto che il contratto definitivo di vendita sempre restando alla prospettazione dell'attore non venisse concluso e che il futuro acquirente incamerasse la somma ricevuta a titolo di garanzia.Ognuna delle parti, però, ritiene l'altra inadempiente. E così mentre il titolare dell'opzione agisce in giudizio per ottenere la restituzione della somma portata dall'assegno in garanzia sul presupposto che l'altro è stato inadempiente all'obbligo di fornire la documentazione medica della salute degli animali, l'originario proprietario degli animali e della trattrice rectius i di lui eredi resistono proponendo domanda riconvenzionale di risoluzione del contratto che per loro non era di opzione bensì di vendita per colpa dell'attore e chiedendo, altresì, che venisse accertata la legittimità dell'avvenuto incameramento dell'assegno a garanzia.In primo grado il Tribunale, ritenendo che il contratto concluso tra le parti fosse un contratto di compravendita, accoglie la tesi dei convenuti.La Corte di appello conferma, poi, nel merito la sentenza di primo grado ed infatti, non soltanto il contratto aveva tutti gli elementi di una vendita ma l'acquirente aveva rilasciato un acconto e assegni post datati per un ammontare complessivo di Lire 125.000.000 così eliminando ogni margine di dubbio limitandosi a riformare il capo di sentenza con il quale l'attore veniva condannato alla spese di giudizio. Capo di sentenza rispetto al quale l'attore soccombente aveva lamentato che la quantificazione dei diritti e degli onorari era stata fatta in violazione delle tariffe applicabili alla controversia .Ed infatti, la Corte ha riconosciuto che le spese del giudizio di primo grado erano state liquidate non in perfetta aderenza alla tariffe professionali e comunque con riferimento ai massimi edittali, che non si conciliavano con la modestia della controversia sia se rapportata al suo valore sia se rapportata alle questioni prospettate sia se rapportata alle questioni prospettate che erano di agevole soluzione .Entrambe le parti del giudizio censurano la sentenza d'appello il soccombente sia lamentando un'erronea ricognizione della fattispecie contrattuale e, cioè, l'avere la corte del merito ritenuto concluso un contratto di vendita anziché di opzione sia una violazione delle regole in ordine alla garanzia per vizi di vendita di animali sia, infine, per aver ritenuto legittima la ritenzione della caparra da parte della parte non inadempiente che ha agito per la risoluzione.Dichiarata la risoluzione del contratto. La parte soccombente sulle spese, dal canto suo, ha lamentato invece l'erroneità della riforma del capo di sentenza sulla ripartizione e quantificazione delle spese di giudizio.Con riferimento al capo di merito la Corte di Cassazione accoglie il motivo di ricorso relativo alla ritenzione della caparra.Ed infatti, la Suprema Corte ha affermato che non è conforme a diritto ritenere che, accertato l'inadempimento di una parte e dichiarata la risoluzione del contratto, con la conseguente cessazione del vincolo contrattuale, la parte ritenuta non inadempiente possa trattenere la somma recepita a titolo di caparra confirmatoria [numero d.r. nel nostro caso i 50.000.000 di vecchie lire], ancorché non abbia provato il danno, allorché sia stata la medesima parte adempiente ad avere richiesto - come nella specie - la declaratoria di risoluzione .Chi si riserva la domanda di danni non può ritenere la caparra confirmatoria. Peraltro, la Corte osserva che nel giudizio dinnanzi ad essa pendente il giudice dichiarata la risoluzione del contratto aveva riservato ad un separato giudizio la liquidazione del danno. Ne deriva che la ritenzione della caparra non può essere consentita neanche in funzione di garanzia dell'obbligazione risarcitoria in quanto essendo la liquidazione del danni disposta in altro giudizio il relativo credito non può dirsi determinato e/o determinabile .Spese processuali compensazione rimessa alla discrezionalità del giudice. E così per effetto dell'accoglimento del motivo di ricorso, ed in applicazione dell'articolo 384 c.p.c. che consente la decisione nel merito della causa, la Suprema Corte condanna alla restituzione della caparra comprensiva di interessi dal giorno della domanda.Resta, infine, da dire del motivo di ricorso relativo alle spese del giudizio. Ed infatti, a tal proposito la Corte ritiene infondato quel motivo in quanto il giudizio di appello aveva visto una soccombenza reciproca che determina in capo al giudice il potere discrezionale non sindacabile in sede di legittimità di compensare le spese ovvero di valutare il quantum della compensazione potendo egli non tener conto del differente grado di soccombenza delle parti in relazione al diverso valore delle loro domande o in conseguenza della fondatezza delle argomentazioni da esse prospettate .Ma v'è di più. Ed infatti, la Corte di Cassazione afferma che quando la parte non allega la propria nota spese il giudice del merito non è onerato dell'indicazione specifica delle singole voci delle spese, dei diritti e degli onorari in quanto così, sostanzialmente, verrebbe a sostituirsi all'attività procuratoria della parte .* Dottoranda di ricerca in diritto dell'economia nell'Università di Pisa

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 13 dicembre 2010 - 22 febbraio 2011, numero 4278Presidente Oddo - Relatore FalaschiSvolgimento del processoCon atto di citazione notificato il 28 febbraio 1992 R.G. evocava in giudizio, dinanzi al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, R D.F. e premesso di avere concluso con quest'ultimo contratto di opzione, con riserva di concludere il definitivo di vendita, relativo ad una partita di animali ed una trattrice, con precisazione dei prezzi e delle modalità dell'eventuale acquisto all'esito dei controlli sanitari degli animali mai esibiti dal convenuto i certificati sanitari richiesti e del controllo meccanico e funzionale della trattrice, rilasciando a titolo di deposito fiduciario e per garantire la serietà dei propri intenti un assegno bancario per la somma di L. 50.000.000 con l'intesa che il titolo, avendo funzione di garanzia, non venisse incassato , chiedeva che venisse dichiarato indebito il pagamento della predetta somma, con condanna del convenuto alla sua restituzione, maggiorata degli interessi e della svalutazione dal 27.9.1992.Instauratosi il contraddittorio, intervenuti volontariamente nel giudizio S D.F. , D D.F. e D.M.C. nella loro qualità di coeredi di M D.F. , nella resistenza del convenuto, che peraltro, unitamente agli intervenienti, proponeva domanda riconvenzionale volta all'accertamento della risoluzione del contratto per colpa dell'attore, con condanna di quest'ultimo al risarcimento dei danni da liquidarsi in separato giudizio, previa declaratoria di legittimità dell'incameramento della somma di L. 50.000.000, all'esito dell'istruzione della causa, il Tribunale adito, sul rilievo che le trattative tra le parti erano sfociate in un contratto di vendita, la cui esecuzione non aveva avuto luogo solo per il comportamento del R. , dichiarava la risoluzione del contratto del 25.9.1992 per inadempimento di parte attrice e in accoglimento della domanda riconvenzionale, accertava la legittimità della ritenzione della caparra, con condanna del R. al pagamento dei danni da determinarsi e liquidarsi in separata sede, oltre alla rifusione delle spese del giudizio. In virtù di rituale appello interposto dal R. - con il quale lamentava l'erroneità della sentenza del giudice di prime cure per non avere tenuto conto che a le trattative tra le parti non avevano portato al perfezionamento del contratto di vendita, ma solo ad una opzione, cui era stato dato un connotato di serietà con il rilascio di un assegno di L. 50.000.000 b le risultanze processuali evidenziavano una illiceità dell'oggetto dell'eventuale contratto di vendita per mancato controllo sui bovini, per cui l'inadempimento era da addebitare a parte convenuta per non avere rilasciato i certificati sanitari nel tempo prestabilito c la quantificazione dei diritti e degli onorari era stata fatta in violazione delle tariffe applicabili alla controversia de qua - la Corte di Appello di Napoli, nella resistenza degli appellati, respingeva l'appello sui motivi di merito, mentre riformava la sentenza di primo grado sul punto liquidazione delle spese processuali.A sostegno dell'adottata sentenza, la corte territoriale evidenziava che dalle risultanze processuali emergeva evidente che tra il R. ed il D.F. era stato concluso contratto di compravendita di bovini e di trattrice e non già una semplice opzione, sussistendone tutti gli elementi, quali l'oggetto, la determinazione del corrispettivo ed il suo pagamento, frazionato con la dazione di un acconto ed il rilascio di assegni post-datati. Infatti non vi sarebbe stato alcun motivo, se non la conclusione della vendita, per il rilascio da parte dell'acquirente delle cambiali per un ammontare complessivo di L. 125.000.000.Aggiungeva, inoltre, che la censura relativa alla nullità del contratto per illiceità dell'oggetto, rappresentato da animali affetti da malattie infettive e contagiose, non aventi i requisiti di cui al regolamento sanitario, era stata smentita dalla documentazione sanitaria prodotta da parte convenuta, la quale escludeva la sussistenza di malattie nei capi di bestiame opportunamente controllati, con conseguente attestazione di uno stato di salute conforme alle prescrizioni del regolamento sanitario.Di converso la Corte distrettuale riconosceva la fondatezza della contestazione dell'appellante per quanto concerneva la statuizione sulla quantificazione delle spese del giudizio di primo grado per essere state liquidate non in perfetta aderenza alle tariffe professionali e comunque con riferimento ai massimi edittali, che non si conciliavano con la modestia della controversia sia se rapportata al suo valore sia se rapportata alle questioni prospettate, che erano di agevole soluzione.Avverso l'indicata sentenza della Corte di Appello di Napoli hanno proposto ricorso per cassazione i D.F. e la D.M. , che risulta articolato sostanzialmente su un unico motivo, cui ha resistito il R. , il quale ha anche proposto ricorso incidentale con quattro motivi di doglianza, al quale hanno replicato le parti ricorrenti.Motivi della decisioneIl ricorso principale ed il ricorso incidentale vanno preliminarmente riuniti, a norma dell'articolo 335 cpc, concernendo la stessa sentenza.Ciò posto, ritiene questa corte che vada preliminarmente esaminato il ricorso incidentale, giacché i quattro motivi con esso proposti attengono al merito della vicenda contrattuale e l'eventuale accoglimento potrebbe incidere anche sull'unica questione posta con il ricorso principale in punto di liquidazione delle spese processuali.Con il primo motivo il ricorrente in via incidentale contesta la interpretazione dei giudici di appello sulla natura dell'accordo intercorso fra le parti. Più specificamente la decisione del giudice distrettuale sarebbe affetta da vizio di insufficiente motivazione sul punto relativo alla conclusione del contratto di compravendita delle bufaline in quanto il giudice penale, nel procedimento instaurato a suo carico per avere simulato lo smarrimento di assegni, lo aveva mandato assolto dalle accuse affermando che risultava del tutto pacifico che il perfezionamento del contratto era subordinato al rilascio della documentazione sanitaria inoltre, la circostanza che i titoli di credito fossero stati tutti consegnati dall'acquirente al D.F. era stata smentita sia in primo sia in secondo grado.Richiamando il proprio costante insegnamento - secondo il quale la ricerca e la individuazione della comune volontà dei contraenti sono operazioni che costituiscono espressione dell'attività del giudice di merito, il cui risultato, concretando un accertamento di fatto, non è sindacabile in sede di legittimità se non sotto il profilo della inadeguatezza della motivazione e della patente violazione delle regole legali di ermeneutica - osserva la Corte che la interpretazione data dal giudice distrettuale alle disposizioni contrattuali peraltro confermando quella del Tribunale , delle quali si assume la violazione, non è censurabile sotto alcuno degli indicati profili, perché congruamente argomentata e conforme ai criteri di cui agli articolo 1362 e ss. c.c Infatti il giudice di appello ha esposto l'iter argomentativo da cui ha desunto che la volontà dei contraenti era stata manifestata con chiarezza esemplare nei senso della conclusione del contratto di vendita di bovini e di trattrice, proprio per avere l'acquirente corrisposto l'intero prezzo dei beni al momento della stipula del negozio.La motivazione sulla interpretazione della comune volontà delle parti, conseguente alla manifestazione del reciproco consenso delle parti in ordine al programma contrattuale, appare del tutto congrua rispetto alle circostanze di fatto poste a fondamento delle stesse argomentazioni. Del contratto definitivo di vendita, che si forma allorché vi è corrispondenza fra proposta ed accettazione, ricorrono tutti gli elementi, in particolare l'oggetto e la determinazione del relativo corrispettivo, nonché la sua contestuale dazione, in esecuzione del negozio appena concluso.La fattispecie in esame non ha nulla in comune con il legame strutturale che intercorre tra proposta ed accettazione nel fenomeno della formazione progressiva del contratto, in quanto nel caso di opzione gli effetti finali si producono in virtù della semplice dichiarazione unilaterale di accettazione della parte non obbligata Cass. 14 novembre 1978 numero 5236 . L'opzione, infatti, si sostanzia in una convenzione in base alla quale una delle parti si obbliga a rimanere vincolata alla propria dichiarazione, mentre l'altra ha facoltà di esercitarla o meno. Nel patto di opzione - che è un vero e proprio contratto per cui una delle parti rimane vincolata alla propria proposta contrattuale, completamente determinata nel contenuto, per un certo tempo, durante il quale l'altra ha facoltà di manifestare l'accettazione e di determinare così il perfezionamento di un ulteriore contratto, senza necessità di una nuova dichiarazione di volontà dell'autore dell'offerta - la irrevocabilità della proposta dipende da una convenzione tra le parti in tal senso articolo 1331 c.c. , le cui volontà devono, quindi, essere espresse ed incontrarsi.I giudici di merito hanno ritenuto incompatibile con la formazione progressiva del contratto la corresponsione, contestuale alla conclusione del contratto, dell'intero prezzo pattuito da parte dell'acquirente, avvenuta con la consegna dell'importo di L. 50.000.000 a titolo di acconto e di assegni post-datati, concordato fra le parti il pagamento rateizzato del corrispettivo.Né il concreto accertamento delle risultanze probatorie compiute dal giudice di merito è suscettibile di esame in questa sede, essendo fermo il principio che il motivo di ricorso con il quale si facciano valere vizi della sentenza impugnata, a norma dell'articolo 360 numero 3 c.p.c., deve essere articolato sotto il profilo della erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa.Viceversa, l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze istruttorie di causa - come nel caso di specie - è esterna all'esatta interpretazione della norma di legge, rientrando nella tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l'aspetto del vizio di motivazione.Infine, la censura del ricorrente incidentale relativa all'incongruenza della decisione impugnata con riferimento all'esito del procedimento penale a suo carico difetta dell'autosufficienza, in quanto il richiamo della sentenza penale di assoluzione è stato fatto riportando solo uno stralcio della motivazione in cui si ipotizza un inammissibile errore di fatto laddove viene fatto riferimento a tutti gli assegni rilasciati per il pagamento del prezzo allegati agli atti.Va, inoltre, aggiunto che l'accertamento promosso in sede penale a seguito della denuncia di smarrimento dei titoli di credito de quibus presentata dal ricorrente, era volto ad altri fini e dunque appare ininfluente in questa sede.Con il secondo e con il terzo motivo lo stesso R. si duole che, pur accedendo alla individuazione della fattispecie contrattuale operata dalla corte di merito, la sentenza impugnata sarebbe incorsa nel vizio di erronea applicazione delle norme di diritto di cui al combinato disposto delle leggi numero 33/1964 e numero 33/1968, dei DD.MM. 3.6.1978, 28.3.1989 e 5.2.1991 e delle circolari della Regione Campania nnumero 3331 e 3332 del 13.9.1991, per avere il preteso venditore prodotto certificazione sanitaria, relativa al rispetto delle norme concernenti l'obbligatorietà della profilassi tubercolare bufalina, rilasciata il giorno 23 marzo 1992 e dunque ben oltre la data di notifica dell'atto introduttivo del presente giudizio di merito avvenuta il 28.2.1992 e quelle di diffida ad adempiere inoltrate dalla stessa parte venditrice rispettivamente il 5.11.1991 ed il 7.3.1991. Errore quest'ultimo che avrebbe comportato, altresì, violazione e falsa applicazione degli articolo 1454 e 1460 c.c. in relazione all'articolo 360 nnumero 3 e 5 cpc.Si tratta di censure che vanno esaminate congiuntamente per la loro evidente connessione. Trattandosi di vendita di animali, disciplinata, ai sensi dell'articolo 1496 c.c., per quanto riguarda la garanzia per vizi, in primo luogo dalle leggi speciali, poi dagli usi locali ed ove entrambi non provvedano, dalle norme del codice civile.Va precisato, inoltre, che è pacifico che nella specie i giudici di merito si siano richiamati alla certificazione sanitaria prodotta dagli stessi venditori, che esclude la sussistenza di malattie dei capi di bestiame, con conseguente attestazione di uno stato di salute conforme alle prescrizioni del regolamento sanitario.Ciò posto, per consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte, salva diversa previsione contrattuale, nella specie non invocata, nella vendita di animali non sussiste alcun obbligo di consegna della certificazione veterinaria di sanità, non rientrando detto obbligo in quello generale della consegna dei titoli e dei documenti relativi alla proprietà e all'uso della cosa venduta di cui all'articolo 1477, ultimo comma, c.c. v. Cass. Sez. II, 28 giugno 1993, numero 7134 . La circostanza, perciò, che si tratti di documentazione redatta in epoca successiva alla introduzione della lite è del tutto ininfluente. Del resto, in difetto di una esplicita previsione normativa, solo se l'animale è affetto da una delle malattie contagiose per le quali è previsto l'isolamento od il sequestro si può ipotizzare una sua incommerciabilità v. Cass., Sez. II, 10 agosto 1977, numero 3690 .Va aggiunto che relativamente alla censura di omessa motivazione sull'inadempimento del compratore, a norma degli articolo 1454 e 1460 c.c., sul presupposto della sua costituzione in mora giacché solo dopo la domanda giudiziale di risoluzione è stata rilasciata la certificazione sanitaria , il motivo si presenta privo di autosufficienza, in quanto la doglianza attiene ad una questione che non risulta esaminata nella sentenza impugnata e non sono riportati i termini con i quali il ricorrente t'avrebbe proposta in grado di appello. Inoltre, si osserva che essendo l'inadempimento una condizione dell'azione di risoluzione, è sufficiente che esista al momento della pronuncia della sentenza v. Cass., Sez. I, 20 febbraio 2004, numero 3378 . Le doglianze vanno pertanto rigettate stante la loro infondatezza.Con il quarto ed ultimo motivo il controricorrente, ricorrente incidentale, denunzia la violazione e falsa applicazione dell'articolo 1385 c.c. ai sensi dell'articolo 360 nnumero 3 e 5 c.p.c., in ordine alla eccepita illiceità della ritenzione della caparra confirmatoria, giacché la caparra può essere trattenuta solo in caso di recesso e non anche di risoluzione del contratto per inadempimento. La censura è fondata.Invero la questione non è stata esaminata dal giudice distrettuale che sul punto si è limitato ad affermare che il giudice di primo grado ha con fondamento pronunciato la risoluzione del contratto di compravendita ed ha dichiarata legittima la ritenzione della somma di £. 50.000.000 di cui l'assegno versato in atti ed incamerata come caparra confirmatoria . Tutto ciò a fronte di una sentenza di primo grado che dichiarava risolto il contratto per inadempimento del R. e in accoglimento della domanda riconvenzionale dichiarava legittima la ritenzione della caparra, con condanna dello stesso R. al pagamento dei danni da accertarsi e liquidarsi in separata sede.È noto che la caparra confirmatoria, ai sensi dell'articolo 1385 c.c., assume la funzione di liquidazione convenzionale del danno da inadempimento qualora la parte non inadempiente abbia esercitato il potere di recesso conferitole dalla legge, e, in tal caso, è legittimata a ritenere la caparra ricevuta o ad esigere il doppio di quella versata. Qualora, invece, detta parte abbia preferito domandare la risoluzione o l'esecuzione dei contratto, il diritto al risarcimento del danno rimane regolato dalle norme generali, onde il pregiudizio subito dovrà in tal caso essere provato nell'an e nel quantum, giacché la caparra conserva solo la funzione di garanzia dell'obbligazione risarcitoria.Pertanto non è conforme a diritto ritenere che, accertato l'inadempimento di una parte, e dichiarata la risoluzione del contratto, con la conseguente cessazione del vincolo contrattuale, la parte ritenuta non inadempiente possa trattenere la somma recepita a titolo di caparra confirmatoria, ancorché non abbia provato il danno v. Cass., Sez. II 23 agosto 2007, n, 17923 , allorché sia stata la medesima parte adempiente ad avere richiesto - come nella specie - la declaratoria di risoluzione. Peraltro la sentenza di primo grado sulla contestuale domanda di condanna al risarcimento dei danni proposta da parte convenuta, ritenuta adempiente, ha pronunciato disponendone l'accertamento e la liquidazione in separato giudizio, per cui la ritenzione della caparra non può essere consentita neanche in funzione di garanzia dell'obbligazione risarcitoria in quanto essendo la liquidazione dei danni disposta in altro giudizio, il relativo credito non può dirsi determinato e/o determinabile. Ne discende che il ricorso incidentale su detto motivo va accolto, dovendosi cassare la pronuncia relativa alla declaratoria di legittimità della ritenzione della caparra confirmatoria per avere chiesto la parte non inadempiente la risoluzione del contratto.Passando ora all'esame dell'unico motivo di ricorso proposto da parte venditrice con il ricorso principale, con il quale è stata denunciata la violazione e falsa applicazione dell'articolo 91 cpc e vizio di motivazione, i D.F. e la D.M. criticano la sentenza di appello nella parte in cui ha riformato la decisione del giudice di prime cure, assumendo che la motivazione addotta, con applicazione dei massimi previsti in tariffa, era da ritenersi ingiustificata alla luce della semplicità delle questioni trattate, non sarebbe corretta per avere il giudice di secondo grado compensato le spese del giudizio di appello e ridotto immotivatamente quelle di primo grado, liquidando le stesse in modo globale, indicando solo separatamente gli onorari, i diritti e le spese, pur in assenza di una nota spese.Quanto al primo argomento di doglianza, occorre osservare che la compensazione delle spese del giudizio di secondo grado trova fondamento nell'accoglimento del motivo di appello relativo all'eccessività delle spese liquidate dal giudice di prime cure. Per orientamento consolidato di questa corte, in caso di soccombenza reciproca, al giudice è attribuito il potere discrezionale, non sindacabile in sede di legittimità, sia in ordine alla pronuncia di compensazione sia in ordine alla valutazione circa il quantum della compensazione, potendo egli non tener conto del differente grado di soccombenza delle parti in relazione al diverso valore delle loro domande o in conseguenza della fondatezza delle argomentazioni da esse prospettate v. Cass., Sez. II, 5 ottobre 2001, numero 12295 Cass., 25 settembre 1974, numero 2522 .Relativamente alla seconda censura, premesso che i ricorrenti non deducono una violazione delle tariffe, questa corte ha già affermato che in tema di spese processuali il giudice - pur dovendo sempre mettere le parti in condizione di controllare l'osservanza dei limiti indicati dalle tariffe - legittimamente liquida le spese, i diritti e gli onorari in un'unica somma se ha cura di specificare la voce degli onorari che concorre a formare tale somma, dato che tale specificazione consente anche di determinare gli importi della somma liquidata per i diritti e le spese. Del resto non si può ammettere che il giudice del merito sia onerato, in mancanza del deposito della nota delle spese, ex articolo 75 disp. att. c.p.c., dell'indicazione specifica delle singole voci delle spese, dei diritti e degli onerari, in quanto così, sostanzialmente, verrebbe a sostituirsi all'attività procuratoria della parte v. Cass., Sez. L, 3 ottobre 2005, numero 19269 .Le censure mosse con il ricorso principale non possono, pertanto, essere accolte. Da quanto sopra esposto deriva che il ricorso principale va respinto, mentre quello incidentale va accolto per quanto di ragione e la sentenza impugnata va cassata in relazione al quarto motivo di ricorso incidentale accolto.L'accertamento che ha comportato la cassazione della sentenza impugnata non determina però automaticamente il rinvio della sentenza impugnata ad altra sezione della corte distrettuale. Nella giurisprudenza della corte, a seguito della modifica dell'articolo 384 cpc, avvenuta già con la riforma di cui alla legge numero 353 del 1990 e della costituzionalizzazione del principio della ragionevole durata del processo, si è osservato che è configurabile il potere di decidere nel merito la causa, senza disporre conseguentemente il rinvio, fermi restando i limiti della non necessità di indagini di fatto e del rispetto del principio dispositivo. Orbene nel caso di specie, essendo stata affermata l'erronea applicazione di un principio, al quale è conseguito il trattenimento illegittimo della somma originariamente versata dal controricorrente ricorrente in via incidentale a titolo di caparra, vanno condannati i ricorrenti principali in solido al pagamento della somma di Euro 25.822,00 pari a L. 50.000.000 , debito di valuta, corrispondente all'importo percepito, oltre agli interessi legali dal di della domanda. Infine, ai sensi dell'articolo 385 cpc, si deve provvedere sulle spese dell'intero giudizio di appello, che possono essere regolate negli stessi termini in cui le aveva regolate il giudice distrettuale quanto al primo ed al secondo grado, giacché la domanda relativa alla ritenzione della somma versata è da ritenere marginale rispetto allo svolgimento dell'intera vicenda mentre vanno interamente compensate fra le parti per quanto attiene al giudizio di cassazione in considerazione dell'esito del giudizio.P.Q.M.La Corte riunisce i ricorsi, accoglie il quarto motivo del ricorso incidentale e rigetta gli altri motivi, nonché il ricorso principale cassa la decisione impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta la domanda riconvenzionale di ritenzione della caparra e per l'effetto dispone la restituzione della somma di Euro, 25.822,00, oltre ad interessi dalla domanda.Dichiara interamente compensante fra le parti le spese del giudizio di cassazione e conferma la liquidazione delle spese processuali degli altri gradi del giudizio effettuata dal giudice del gravame.