Con la risoluzione numero 98/E di lunedì 10 novembre 2014, l'Agenzia delle Entrate, recependo le indicazioni della Corte di Giustizia UE sulle cessioni all'esportazione, ha chiarito che il regime di non imponibilità di cui all'articolo 8, comma 1, lett. b d.P.R. numero 633/1972, si applica anche nel caso in cui la cessione sia avvenuta oltre il termine di 90 giorni, purché venga fornita la prova dell'avvenuta esportazione, e che è ammesso il rimborso dell'imposta già versata in sede di regolarizzazione.
Possibile la non imponibilità. Recependo le indicazioni della Corte di Giustizia UE, che si era pronunciata sulle cessioni all'esportazione nella sentenza del 19 dicembre 2013 emessa nel procedimento C-563/12, l'Agenzia delle Entrate, nella risoluzione numero 98/E pubblicata ieri, ha chiarito che il regime di non imponibilità di cui all'articolo 8, comma 1, lett. b , d.P.R. numero 633/1972, si applica sia nel caso in cui la cessione sia avvenuta nel termine di 90 giorni stabilito dalla norma, ma la prova sia stata fornita solo nei 30 giorni successivi termine concesso dall'articolo 7, comma 1, d.lgs. numero 471/1997 per la procedura di regolarizzazione , sia nel caso in cui la cessione sia avvenuta oltre il termine di 90 giorni, purché venga fornita la prova dell'avvenuta esportazione. Prova dell’esportazione. Secondo l'Agenzia, infatti, la negazione del beneficio della non imponibilità anche quando sia possibile dimostrare l’uscita dei beni dal territorio doganale dell’Unione, seppur dopo lo scadere del predetto termine, non è in linea con la decisione della Corte, come pure non lo è - sempre che l'avvenuta esportazione sia provata - la mancata previsione del recupero dell’IVA corrisposta in sede di regolarizzazione. Inoltre, laddove la merce risulti esportata oltre i 90 giorni ma entro il termine di 30 giorni previsto, ai fini della regolarizzazione, dal citato articolo 7, co. 1, D.Lgs. numero 471/1997, il contribuente che fornisca la prova dell’avvenuta esportazione può omettere il versamento dell'imposta senza incorrere in alcuna sanzione. La pronuncia europea. La Corte di Giustizia UE, lo ricordiamo, ha stabilito - in riferimento alla legislazione ungherese in materia di cessioni all'esportazione, molto simile alla normativa italiana - che, sebbene l'articolo 146, paragrafo 1, lett. b della Direttiva 2006/112 non preveda, come condizione per fruire del regime di non imponibilità delle cessioni all'esportazione, che la merce debba lasciare il territorio dell'Unione entro un termine preciso, è «consentito agli Stati membri stabilire un termine ragionevole per le esportazioni [ ] al fine di verificare se un bene oggetto di una cessione all’esportazione sia effettivamente uscito dall’Unione», e che, tuttavia, una normativa nazionale che non consenta al soggetto passivo «di dimostrare, al fine di beneficiare di tale esenzione, che la condizione è stata soddisfatta dopo lo scadere di tale termine» e che non preveda il «diritto del soggetto passivo al rimborso dell’IVA già corrisposta in ragione del non rispetto del termine, qualora fornisca la prova che la merce ha lasciato il territorio doganale dell’Unione», viola il principio di proporzionalità, eccedendo quanto necessario per il conseguimento dell'obiettivo della lotta all'evasione e all'elusione. Doppia possibilità. Quanto alle modalità di recupero dell’imposta versata in sede di regolarizzazione, l'Agenzia, nel documento di prassi in esame, indica due possibili strade al contribuente • emettere una nota di credito ai sensi dell'articolo 26, comma 2, d.P.R. numero 633/1972, entro il termine per la presentazione della dichiarazione annuale relativa al secondo anno successivo a quello in cui è avvenuta l’esportazione • azionare la richiesta di rimborso ai sensi dell'articolo 21, d.lgs. numero 546/1992, entro il termine di due anni dal versamento o dal verificarsi del presupposto del rimborso. fonte www.fiscopiu.it
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