La responsabilità processuale aggravata ex articolo 96, comma 2, c.p.c., con riferimento all'iscrizione dell'ipoteca giudiziale sussiste quando è inesistente il diritto per il quale l'iscrizione è avvenuta, avendo come presupposto l'ingiustizia dell'iscrizione e non la semplice sua illegittimità.
Ne consegue che detta responsabilità si deve escludere quando il diritto sussista e ciò anche se il titolo in base al quale si è proceduto all'iscrizione sia stato formato illegittimamente. Con la sentenza del 15 novembre 2016, numero 23271, la Cassazione interviene in ordine alla qualificazione della responsabilità ex articolo 96 c.p.c., che viene inquadrata, anche qualora sia relativa alla illegittima iscrizione ipotecaria, nell’ambito della responsabilità aquilina ex articolo 2043 c.c La fattispecie. Il caso risolto dalla Cassazione con la sentenza in commento prende avvio dall’azione risarcitoria promossa contro una banca per errata iscrizione di ipoteca. La banca, infatti, aveva iscritto l’ipoteca su beni che non appartenevano più al debitore per essere stati trasferiti ed in forza di una sentenza emessa all’esito di un giudizio di revocatoria ordinaria sentenza non esecutiva e non – all’epoca – passata in giudicato. Accolta in primo grado e parzialmente rigattata in appello, avverso la sentenza della Corte territoriale vengono mosse più censure da parte della società della quale il debitore era amministratore, per asserito danno di immagine, e da parte della Banca, in ragione della liquidazione del danno disposta in favore del debitore. Illegittima ipoteca e risarcimento del danno come e perché. Nella sentenza in esame, per cominciare, viene ribadito il principio, pacificamente riconosciuto dalla giurisprudenza, in base al quale alla mancata cancellazione – o alla illegittima iscrizione - dell'ipoteca consegue il diritto del debitore al risarcimento del danno, il quale è “in re ipsa” e trova la sua causa diretta ed immediata nella situazione illegittima posta in essere dal creditore. Tale risarcimento si riferisce, però, soltanto all'”an debeatur”, che presuppone soltanto l'accertamento di un fatto potenzialmente dannoso, in base ad una valutazione anche di probabilità o di verosimiglianza, mentre la prova di un concreto pregiudizio economico è riservata alla fase successiva di determinazione e liquidazione, che non preclude al giudice di negare la sussistenza stessa del danno. Nel caso di specie, l’illegittimità dell’ipoteca è stata accertata pur sussistendo il debito per il quale era stato avviato il procedimento. Risarcimento e danno in favore di persona giuridica. Accertata, alla stregua di quanto in precedenza esposta, la sussistenza di un danno derivante da mancata cancellazione o illegittima iscrizione di ipoteca, è del pari consequenziale affermare la diminuzione della considerazione che, attraverso i suoi organi, è riferibile alla persona giuridica o all'ente e tale diminuzione, concretandosi in una incidenza negativa sull'agire delle persone fisiche che ricoprono gli organi della persona giuridica o dell'ente collettivo. Tale danno è di natura non patrimoniale e non si identifica nella lesione dell'immagine in sé, ma ne rappresenta una conseguenza a detta lesione ricollegata da un nesso causale, da liquidarsi in via equitativa avendosi riguardo a tutte le circostanze del caso concreto. Tale domanda viene accolta in primo grado ma rigettata in appello, in assenza della prova del pregiudizio subito dalla società. Risarcimento per lite temeraria ed illegittima iscrizione di ipoteca. Le premesse di cui sopra costituiscono quindi il passaggio preliminare per affrontare il nucleo giuridico della pronuncia, relativo alla ammissibilità del risarcimento in favore del soggetto che, erroneamente, si vede iscritta ipoteca. Il caso è certamente da ricondursi nell’ambito dell’articolo 96 c.p.c., che, al riguardo, disciplina tutti i casi di responsabilità risarcitoria per atti o comportamenti processuali. In particolare, l'articolo 96 c.p.c. fissa una completa disciplina della responsabilità risarcitoria per fatti e comportamenti processuali delle parti, esaurendone tutte le ipotesi, sicché resta preclusa ogni possibilità di invocare i principi generali della responsabilità per fatto illecito ai sensi dell'articolo 2043 c.c., rispetto al quale l'articolo 96 si pone come norma speciale. Illegittima iscrizione di ipoteca e risarcimento del danno ex articolo 2043 c.c.? Nel caso in esame, la Corte territoriale aveva riconosciuto al debitore una risarcimento in ragione della illegittima iscrizione effettuata dalla Banca, sul rilievo che l’iscrizione stessa era stata effettuata sulla base di una sentenza non passata in giudicato e su beni non di proprietà del debitore. Il S.C., per contro, cassa tale profilo la sentenza sul rilievo che, in ogni caso, la responsabilità è da ricondursi nell’ambito dell’articolo 96 c.p.c. e che, nel caso di specie, non sussiste alcuna prova del pregiudizio subito dal debitore. Sul punto, infatti, deve precisarsi che la responsabilità ex articolo 96 c.p.c. si pone con carattere di specialità rispetto all'articolo 2043 c.c., di modo che la responsabilità processuale aggravata, pur rientrando concettualmente nel genere della responsabilità per fatti illeciti, ricade interamente, in tutte le sue ipotesi, sotto la disciplina dell'articolo 96 c.p.c. cit Responsabilità ex articolo 96 c.p.c. ed ex articolo 2043 c.c. è ammissibile il cumulo? Secondo la giurisprudenza dominante, la fattispecie di cui all'articolo 96 c.p.c. si pone con carattere di specialità rispetto a quella di cui all'articolo 2043 c.c., di modo che la responsabilità processuale aggravata, ad integrare la quale è sufficiente la colpa lieve come per la comune responsabilità aquiliana ricade in ogni caso, in ciascuna delle sue ipotesi, sotto la disciplina, di cui al citato articolo 96 c.p.c., senza possibilità che si configuri un concorso, nemmeno alternativo, delle due figure di responsabilità.
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 18 maggio – 15 novembre 2016, numero 23271 Presidente Dogliotti – Relatore Mercolino Svolgimento del processo 1. - R.L. e la R.L. & amp C. S.numero c. convennero in giudizio la Banca Antoniana Popolare Veneta S.p.a., per sentirla condannare al risarcimento dei danni cagionati da un’ipoteca giudiziale erroneamente iscritta il 24 dicembre 2002 su alcuni immobili ritenuti di proprietà del R. , ma in realtà trasferiti alla Ed.Dis. S.r.l. con atto di compravendita dell’8 gennaio 1991. Premesso che l’iscrizione, effettuata in virtù di un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo emesso il 26 marzo 1991 dal Presidente del Tribunale di Udine in favore della Banca Popolare di Gemona, dante causa della Banca Antoniana Popolare Veneta, aveva avuto luogo a seguito di una sentenza emessa il 5 marzo 2002, con cui il medesimo Tribunale aveva accolto l’azione revocatoria proposta dalla Banca nei confronti dell’atto di compravendita, affermarono che tale sentenza era priva di efficacia esecutiva, non recando una pronuncia di condanna e non essendo ancora passata in giudicato. Aggiunsero che la notizia dell’iscrizione aveva arrecato pregiudizio alla reputazione personale e commerciale del R. ed all’immagine della società, nei confronti della quale altre banche avevano immediatamente disposto la revoca degli affidamenti concessi. Si costituì la convenuta, e resistette alla domanda, chiedendone il rigetto. 1.1. - Con sentenza del 5 aprile 2006, il Tribunale di Udine accolse la domanda, dichiarando l’illegittima l’iscrizione ipotecaria, condannando la Banca al pagamento della somma di Euro 20.000,00 in favore del R. e della somma di Euro 200.000,00 in favore della R.L. , ed ordinando la cancellazione dell’ipoteca. 2. Le impugnazioni separatamente proposte dalla R.L. nei confronti della Banca Antonveneta e da quest’ultima nei confronti del R. sono state riunite dalla Corte d’Appello di Trieste, che con sentenza del 21 settembre 2011 le ha rigettate, accogliendo invece il gravame incidentale proposto dalla Banca nei confronti della società, rigettando la domanda proposta da quest’ultima e condannandola alla restituzione della somma riscossa in esecuzione della sentenza di primo grado. A fondamento della decisione, la Corte ha dichiarato innanzitutto l’inammissibilità dei documenti prodotti dalle parti in appello, in quanto anteriori alla sentenza di primo grado e non accompagnati dalla specificazione delle ragioni d’indispensabilità della loro produzione. Nel merito, pur osservando che la banca era pacificamente creditrice nei confronti del R. , in virtù di un decreto ingiuntivo non opposto emesso nel 1991, ha rilevato che l’iscrizione ipotecaria, effettuata su beni di proprietà di un soggetto diverso dal debitore, aveva avuto luogo a seguito della pronuncia di una sentenza emessa in primo grado e non passata in giudicato, né suscettibile di esecuzione provvisoria. Ha ritenuto pertanto che, nonostante l’avvenuta trascrizione dell’azione revocatoria, l’iscrizione dell’ipoteca, alla quale non aveva fatto seguito alcun tentativo di porre rimedio all’errore, avesse arrecato un danno all’immagine del R. , accreditando l’impressione di un debitore in difficoltà ed aggravando la sua posizione anche nei confronti di soggetti diversi dalle banche, che non hanno a disposizione i canali d’informazione di cui possono avvalersi queste ultime. Ha reputato inoltre condivisibile, anche alla stregua del tempo trascorso tra la trascrizione di un precedente atto di citazione e l’iscrizione, la misura del risarcimento liquidato dalla sentenza di primo grado, genericamente contestata dalla Banca Antonveneta. Quanto invece alla R.L. , pur dando atto della rilevanza preponderante della persona dell’amministratore, nei confronti del quale era stata iscritta l’ipoteca, ha escluso la possibilità di ricollegare un danno alla revoca degli affidamenti bancari, rilevando che, nonostante l’apprezzamento non proprio positivo riscosso dal R. sotto il profilo economico-commerciale, la società aveva continuato ad operare anche a seguito della predetta decisione, senza subire esecuzioni o istanze di fallimento e senza dover fare ricorso a prestiti. Ha quindi escluso che il pregiudizio subito dalla persona dell’amministratore potesse essersi riverberato anche sulla società, reputando comunque non condivisibile la liquidazione equitativa del danno compiuta dal Giudice di primo grado, per l’impossibilità di trarre indicazioni dal bilancio della società e per la mancata specificazione delle occasioni economiche dalla stessa perse a seguito della chiusura dei conti bancari. Precisato infine che dall’unico bilancio preso in esame dalla sentenza di primo grado emergeva il positivo andamento delle vendite rispetto agli acquisti, ha negato qualsiasi rilievo anche alle dichiarazioni rese dai testi, i quali si erano limitati a riferire voci riguardanti la persona del R. , senza fornire elementi concreti. 3. Avverso la predetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione la R.L. , per tre motivi, e la Banca Antonveneta, per quattro motivi, illustrati anche con memoria. Hanno resistito con controricorsi la Banca Antonveneta ed il R. . Motivi della decisione 1.- In via pregiudiziale, dev’essere disposta, ai sensi dell’articolo 335 cod. proc. civ., la riunione dei ricorsi, proposti separatamente, ma aventi ad oggetto l’impugnazione della medesima sentenza. 2.- Va inoltre rigettata l’eccezione d’inammissibilità del ricorso proposto dalla R.L. , sollevata dalla Banca Antonveneta in riferimento all’articolo 366 numero 3 cod. proc. civ., per carenza dell’esposizione sommaria dei fatti di causa, che, in quanto non recante la ricostruzione delle posizioni assunte dalle parti nelle precedenti fasi processuali e delle ragioni sottese alla decisione impugnata non consentirebbe di cogliere il senso e la portata dei motivi d’impugnazione. L’illustrazione dei motivi di ricorso risulta infatti preceduta da un’ampia premessa, comprendente sia un riassunto dei fatti posti a fondamento della domanda, con la precisazione delle conclusioni rassegnate in primo grado ed in appello, che la trascrizione del dispositivo delle sentenze di merito, le cui motivazioni sono poi riportate, nelle parti salienti, a corredo dell’illustrazione dei motivi, recanti anche puntuali riferimenti alle difese svolte, in modo da consentire un immediato confronto con le censure proposte. Tale modalità di redazione del ricorso, in quanto idonea a garantire la regolare e completa instaurazione del contraddittorio, deve ritenersi sufficiente a soddisfare il requisito prescritto dall’articolo 366 numero 3 cod. proc. civ., ai fini del quale occorre che dal contesto dell’atto di impugnazione possano desumersi gli elementi indispensabili per fornire al giudice di legittimità una chiara e completa visione dell’oggetto dell’impugnazione, dello svolgimento del processo e delle posizioni in esso assunte dalle parti, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti del processo, ivi compresa la sentenza impugnata cfr. Cass., Sez. Unumero , 18 maggio 2006, numero 11653 Cass., Sez. III, 24 luglio 2007, numero 16315 19 ottobre 2006, numero 22385 . 3.- Con il primo motivo d’impugnazione, la R.L. denuncia la violazione e/o la falsa applicazione dell’articolo 2059 cod. civ. e dell’articolo 112 cod. proc. civ., sostenendo che, nell’escludere la sussistenza del danno da essa lamentato, la sentenza impugnata ha fatto ricorso ad argomentazioni inconferenti, avendone affermato il carattere meramente patrimoniale, senza tener conto dell’oggetto della domanda proposta nell’atto di citazione, che consisteva nel risarcimento non solo dei danni provocati dalla revoca degli affidamenti bancari, ma anche di quello subito dalla sua reputazione commerciale per effetto dell’iscrizione. Premesso che quest’ultima le aveva impedito di operare nelle normali forme dell’impresa commerciale, ovverosia avvalendosi del credito bancario ed utilizzando i mezzi bancari di pagamento, afferma che, in quanto riguardante la sua immagine, il pregiudizio aveva carattere non patrimoniale, e poteva quindi essere liquidato in via equitativa, tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto. 3.1.- Il motivo è infondato. Il rigetto della pretesa risarcitoria avanzata dalla ricorrente non trova infatti giustificazione nell’esclusiva considerazione del pregiudizio di carattere patrimoniale asseritamente cagionato dall’ipoteca illegittimamente iscritta dalla Banca sui beni dell’amministratore, avendo la Corte di merito esteso il proprio apprezzamento anche alle ripercussioni che la lesione dell’immagine di quest’ultimo, ricollegabile al discredito determinato dalla divulgazione d’informazioni negative in ordine alla sua capacità di far fronte regolarmente alle proprie obbligazioni, poteva avere avuto anche sull’opinione corrente tra il pubblico relativamente alla società di cui egli era socio e legale rappresentante. La sentenza impugnata ha posto infatti in risalto la rilevanza preponderante che, nell’ambito di una società commerciale di persone, dev’essere riconosciuta all’elemento personale, facendo specificamente riferimento al ruolo svolto dall’amministratore ed all’inclusione del suo nome nella ragione sociale, quali possibili mezzi di comunicazione del predetto discredito dalla sfera del singolo a quella dell’ente, ma escludendo nella specie la configurabilità di un pregiudizio sociale a carico di quest’ultima, in virtù dell’osservazione che, nonostante il peggioramento della reputazione goduta dal R. sotto il profilo economico-commerciale, non era stata dedotta la perdita di alcun affare, né da parte dello stesso, né da parte della società. Pur non richiamandolo espressamente, la Corte di merito si è pertanto attenuta sostanzialmente al principio, più volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità in tema di danno all’immagine, secondo cui nei confronti delle persone giuridiche ed in genere degli enti collettivi il danno non patrimoniale derivante dalla lesione della reputazione dev’essere individuato nella diminuzione della considerazione di cui i predetti soggetti godono, sia sotto il profilo della proiezione negativa che tale diminuzione comporta sull’agire delle persone fisiche che rivestano la qualità di organi della persona giuridica o dell’ente, e quindi sull’agire di quest’ultimo, sia sotto il profilo dell’incidenza sull’apprezzamento dei consociati in genere o di settori o categorie di essi con i quali il soggetto interagisca cfr. Cass., Sez. lav., 1 ottobre 2013, numero 22396 Cass., Sez. I, 25 luglio 2013, numero 18082 Cass., Sez. III, 4 giugno 2007, numero 12929 . 4.- Con il secondo motivo, la società ricorrente deduce l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso che il danno subito dall’amministratore potesse essersi riverberato anche sulla società, ritenendo conseguentemente che il risarcimento liquidato in favore del primo fosse comprensivo del danno relativo ad ogni attività nella quale la sua persona fosse coinvolta, senza considerare che era stato proprio lo strettissimo rapporto esistente tra la società e la persona fisica dell’amministratore a giustificare l’immediata interruzione dei rapporti con gl’istituti di credito. 5.- Con il terzo motivo, la R.L. lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, sostenendo che, nell’escludere la sussistenza del danno dedotto da essa ricorrente, la sentenza impugnata ha compiuto una superficiale valutazione delle deposizioni rese dai testimoni escussi in primo grado, non avendo tenuto conto che gli stessi avevano espressamente confermato le conseguenze negative prodotte dall’iscrizione ipotecaria nei rapporti tra la società e le banche. 6.- I predetti motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto riflettenti la medesima questione, sono in parte infondati, in parte inammissibili. Nella parte in cui ha ritenuto esaustiva la liquidazione effettuata in favore del R. , escludendo la possibilità di pervenire ad una liquidazione equitativa del danno subito dalla società, in ragione della mancata allegazione di un pregiudizio concreto da parte di quest’ultima, al di fuori della chiusura dei rapporti decisa dalle banche, e della genericità delle deposizioni rese dai testi, riguardanti per lo più la persona fisica dell’amministratore, la sentenza impugnata risulta infatti perfettamente conforme all’orientamento consolidato di questa Corte, secondo cui, anche in caso di violazione di diritti fondamentali, il danno non patrimoniale non può essere considerato sussistente in re ipsa, configurandosi come un danno conseguenza, di cui la lesione può costituire un mero indizio, di per sé insufficiente ai fini della liquidazione, la quale richiede invece la prova della gravità della lesione e della non futilità del danno, che può essere fornita anche mediante il ricorso a presunzioni semplici, fermo restando a carico del danneggiato l’onere di allegare gli elementi di fatto dai quali possano desumersi l’esistenza e l’entità del pregiudizio cfr. ex plurimis, Cass., Sez. I, 11 ottobre 2013, numero 23194 Cass., Sez. VI, 24 settembre 2013, numero 21865 Cass., Sez. III, 16 febbraio 2012, numero 2226 . Nel contestare l’affermata inidoneità dell’interruzione dei rapporti bancari e l’insufficienza delle deposizioni rese dai testi a dimostrare la sussistenza del danno lamentato, la ricorrente non è d’altronde in grado di evidenziare lacune argomentative o carenze logiche del ragionamento seguito dalla Corte di merito, ma si limita ad insistere sullo stretto rapporto tra la società e la persona dell’amministratore e sul discredito gettato sulla prima dall’ipoteca illegittimamente iscritta sui beni del secondo, già prese in esame dalla sentenza impugnata, in tal modo dimostrando di voler sollecitare, attraverso l’apparente deduzione del vizio di motivazione, un nuovo apprezzamento del materiale probatorio, non consentito a questa Corte, alla quale non spetta il compito di procedere ad un riesame del merito della controversia, ma solo quello di controllare la correttezza giuridica e la coerenza logica delle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata cfr. tra le più recenti, Cass., Sez. I, 23 maggio 2014, numero 11511 Cass., Sez. III, 24 maggio 2013, numero 12988 Cass., Sez. lav., 7 gennaio 2009, numero 42 . 7.- Con il primo motivo del suo ricorso, la Banca Antonveneta denuncia la violazione e la falsa applicazione degli articolo 2043 e 2059 cod. civ. e dell’articolo 345 cod. proc. civ., osservando che, nell’affermare l’ingiustizia del danno derivante dall’iscrizione ipotecaria illegittima, la sentenza impugnata ha omesso di rilevare da un lato che il R. , oltre ad essere debitore di un ingente importo in virtù di un decreto ingiuntivo non opposto risalente a circa un decennio prima, versava effettivamente in condizioni economico-finanziarie pessime, dall’altro che all’epoca dell’iscrizione non solo non sussisteva alcun divieto normativo di rendere noti a terzi e finanche di pubblicare provvedimenti giudiziari di condanna al pagamento, ma era prevista la segnalazione alla Centrale dei Rischi interbancaria, non disciplinata dalla legge ma regolata da direttive del Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio. La Corte di merito non ha considerato che i provvedimenti di condanna emessi in favore delle banche non godono di alcuna riservatezza, essendo destinati per loro natura ad essere comunicati agli altri operatori del settore, al pari delle notizie riguardanti l’affidabilità economico-finanziaria dei debitori, la cui circolazione, volta a consentire ai terzi di regolarsi nei loro affari, trova copertura nel principio di solidarietà sancito dall’articolo 2 Cost. La sentenza impugnata ha omesso infine di rilevare che l’ipoteca non era nulla, ma semplicemente inefficace, in quanto l’iscrizione, pur avendo avuto luogo su immobili formalmente appartenenti ad un soggetto diverso dal debitore, era stata effettuata in virtù di un titolo idoneo ai sensi dell’articolo 655 cod. proc. civ 7.1.- Il motivo è fondato. Non può infatti condividersi la sentenza impugnata, nella parte in cui, pur dando atto che il R. era pacificamente debitore della Banca Antonveneta, in virtù del decreto ingiuntivo emesso dal Presidente del Tribunale di Udine il 26 marzo 1991, avverso il quale non era stata proposta opposizione, ha affermato la responsabilità della Banca per l’ipoteca iscritta in virtù del medesimo decreto, ricollegandola all’avvenuta effettuazione dell’iscrizione su beni all’epoca non appartenenti al patrimonio del debitore, in quanto trasferiti ad un terzo con atto di compravendita la cui dichiarazione d’inefficacia, pronunciata ai sensi dell’articolo 2901 cod. civ., aveva avuto luogo con sentenza non ancora passata in giudicato. La condanna al risarcimento dei danni per l’iscrizione d’ipoteca giudiziale è infatti prevista dall’articolo 96 cod. proc. civ., il quale, contemplando tutte le ipotesi di responsabilità per atti o comportamenti processuali, detta una disciplina avente carattere di specialità rispetto a quella generale della responsabilità per fatti illeciti, regolata dall’articolo 2043 cod. civ., con la conseguenza che la responsabilità processuale aggravata, pur rientrando concettualmente nel genus della responsabilità aquiliana, ricade interamente, in tutte le sue ipotesi, sotto la predetta disciplina cfr. Cass., Sez. Unumero , 6 febbraio 1984, numero 874 Cass., Sez. I, 23 marzo 2004, numero 5734 Cass., Sez. III, 12 gennaio 1999, numero 253 . Ciò, oltre ad escludere la configurabilità di un concorso tra le due forme di responsabilità, e quindi la possibilità di fondare alternativamente la pretesa risarcitoria su ciascuna di esse cfr. Cass., Sez. III, 24 luglio 2007, numero 16308 18 gennaio 1983, numero 477 Cass., Sez. Il, 12 marzo 2002, numero 3573 , comporta che, ai fini dell’individuazione dei presupposti per l’affermazione della responsabilità processuale aggravata, occorre fare riferimento esclusivamente alla disciplina dettata dall’articolo 96 cit., la quale, in riferimento all’ipoteca giudiziale, richiede, prima ancora della mancata adozione della normale prudenza da parte di chi abbia proceduto all’iscrizione, l’inesistenza del diritto per cui la stessa è stata effettuata, in tal modo individuando, quale condizione primaria per la condanna al risarcimento, l’ingiustizia, e non la mera illegittimità dell’iniziativa cfr. Cass., Sez. I, 14 settembre 1999, numero 9803 Cass., Sez. II, 22 giugno 1990, numero 6349 . Tale condizione non è ovviamente configurabile quando, come nella specie, l’esistenza del diritto risulti definitivamente accertata, avendo l’iscrizione come titolo un provvedimento emesso in un procedimento del quale sia stato parte il debitore, e passato in giudicato per mancata impugnazione o per intervenuto esaurimento delle possibilità d’impugnazione. È pur vero che il caso in cui l’iscrizione abbia avuto luogo in virtù di un provvedimento provvisoriamente esecutivo non ancora passato in giudicato, che venga successivamente annullato o revocato in un giudizio tra il debitore ed il creditore, non è molto dissimile da quello in cui, come nella specie, l’ipoteca, pur avendo come titolo un provvedimento definitivo, sia stata iscritta nei confronti di un soggetto diverso dal debitore, e non ancora tenuto a rispondere per la sua obbligazione in tal caso, tuttavia, unico legittimato a dolersene è il terzo titolare del bene sottoposto a vincolo, che per effetto dell’iscrizione vede ingiustamente limitate le proprie facoltà di disposizione, laddove, anche a voler ipotizzare un pregiudizio concreto ed attuale a carico del debitore, quanto meno in termini di lesione dell’immagine, deve ritenersi che lo stesso trovi giustificazione nell’oggettiva esistenza del diritto definitivamente accertato nei suoi confronti. 8.- La sentenza impugnata va pertanto cassata, nella parte in cui ha rigettato l’appello nei confronti di R.L. , restando assorbiti gli altri tre motivi del ricorso proposto dalla Banca Antonveneta, con cui quest’ultima ha dedotto la violazione e la falsa applicazione degli articolo 183, sesto comma, numero 2 e 345, terzo comma, cod. proc. civ. e degli articolo 1226, 2043, 2056 e 2059 cod. civ., censurando la sentenza impugnata per aver dichiarato inammissibili i documenti prodotti in sede di gravame e per aver ricollegato l’esistenza del danno alla mera illegittimità dell’iscrizione ipotecaria, senza tener conto della disastrosa situazione economico-finanziaria dell’attore. Non risultando necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’articolo 384, ultimo comma, cod. proc. civ., con il rigetto della domanda proposta dal R. . 9.- Le spese processuali seguono la soccombenza, e si liquidano come dal dispositivo, per i tre gradi di giudizio a carico di R.L. , nei confronti del quale la cassazione della sentenza impugnata impone un nuovo regolamento anche per le fasi di merito, e per il solo giudizio di legittimità a carico della R.L. , nei confronti della quale il rigetto dell’impugnazione comporta la conferma del regolamento risultante dalla sentenza impugnata. P.Q.M. La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta quello proposto dalla R.L. & amp C. S.numero c., accoglie il primo motivo di quello proposto dalla Banca Antonveneta S.p.a., cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e, decidendo nel merito, rigetta la domanda proposta da R.L. condanna R.L. al pagamento delle spese processuali in favore della Banca Antonveneta S.p.a., che si liquidano per il giudizio di primo grado in complessivi Euro 3.500,00, ivi compresi Euro 3.200,00 per compensi ed Euro 300,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, per il giudizio d’appello in complessivi Euro 3.500,00, ivi compresi Euro 3.200,00 per compensi ed Euro 300,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, e per il giudizio di legittimità in complessivi Euro 3.200,00, ivi compresi Euro 3.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge condanna la R.L. & amp C. S.numero c. al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore della Banca Antonveneta S.p.a., che si liquidano in complessivi Euro 7.200,00, ivi compresi Euro 7.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.