E’ errore sulla legge penale inescusabile sia quello che cade sulla struttura del reato sia quello che incide su norme, nozioni e termini propri di altri settori del diritto, introdotti nella disposizione penale in via di integrazione della fattispecie criminosa astratta.
Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza numero 25941 depositata il 19 giugno 2015. Il fatto. La Corte d’appello di Lecce riformava la sentenza di primo grado e affermava la responsabilità penale dell’imputato in ordine al reato di rifiuto di atti d’ufficio poiché, in qualità di dirigente del settore urbanistico di un Comune, aveva consentito la sola lettura e non l’estrazione di copia di alcuni documenti inerenti a procedimenti amministrativi con riferimento ai quali un cittadino aveva presentato istanza di accesso. Il ricorrente ricorre per la cassazione di detta sentenza lamentando la violazione delle norme in tema di accesso agli atti dei procedimenti amministrativi, in particolare dell’articolo 10, l. numero 241/1990 che riconosce agli interessati, dopo l’avvio del procedimento, il diritto di prendere visione degli atti ma non di estrarne copia. Adduce inoltre il ricorrente che non poteva pretendersi una sua conoscenza puntuale delle disposizioni in tema di procedimenti amministrativi, con particolare riferimento all’articolo 25, l. numero 241/1990, posto che il suo insediamento all’ufficio di dirigente tecnico risaliva ad appena 11 giorni prima, circostanza che a suo dire escluderebbe il dolo del reato contestatogli. Norme extrapenali integratrici e nonumero Le doglianze così articolare vengono considerate dalla S.C. manifestamente infondate. Richiamando la costante giurisprudenza, gli Ermellini ribadiscono la distinzione tra norme extrapenali non integratrici del precetto, destinate a regolare rapporti giuridici non penali, non richiamate neppure implicitamente dalla disposizione penale, e norme extrapenali integratrici del precetto ed incorporate in esso che sono da considerarsi quali legge penale. L’errore su queste ultime non è scusabile, come prescrive l’articolo 5 c.p., salvo che di tratti di errore inescusabile Corte Cost. numero 364/88 . Soltanto l’errore che cada sulle norme non integratrici esclude il dolo poiché si tratta di errore sul fatto. Le norme integratrici invece, inserendosi nel precetto penale e integrando la fattispecie criminosa concorrono a formare l’obiettività giuridica del reato, conseguentemente l’errore su di esse non può avere efficacia scusante, così come l’errore sulla legge penale vera e propria. I doveri dei pubblici ufficiali. Si è poi costantemente affermato in giurisprudenza che le disposizioni normative che disciplinano l’operato e i doveri dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio hanno natura di norme extrapenali integratrici e che l’errore su di esse non ha alcuna efficacia scriminante, risolvendosi in ignoranza di legge si tratta, in conclusione, di un errore sull’antigiuridicità della condotta. Il reato di omissione di atti d’ufficio risulta dunque integrato dalle norme che stabiliscono i doveri dei pubblici ufficiali e alla loro erronea interpretazione non può essere applicata la disciplina dell’errore scusabile. Tra queste ultime norme rientra indubbiamente il disposto dell’articolo 25, l. numero 241/90 in tema di diritto di accesso ai documenti amministrativi, la cui ignoranza costituisce un’ipotesi di ignoranza della legge penale, alla quale non può rimettersi alcuna efficacia esimente. Per questi motivi, la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 31 marzo – 19 giugno 2015, numero 25941 Presidente Agrò – Relatore Di Salvo Ritenuto in fatto 1. Ceppaglia Simone ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte d'appello di Lecce-Sez. dist. di Taranto, in data 28-4-2014, con la quale, in riforma della sentenza assolutoria di primo grado, è stata affermata la penale responsabilità dell'imputato in ordine al reato di cui all'articolo 328 cod. penumero perché, nella sua qualità di dirigente del settore urbanistico del Comune di Martina Franca, a seguito di istanza di prendere visione e di estrarre copia dei documenti inerenti ai procedimenti amministrativi relativi alla società Itacasa Immobiliare, presentata da L.A., consentiva la lettura ma non l'estrazione di copia di una relazione, non ottemperando nemmeno al sollecito in tal sensoe neppure giustificando le ragioni dei ritardo. 2. II ricorrente deduce violazione dell'articolo 328 cod. penumero e vizio di motivazione, poiché l'articolo 10 della I. 241/1990 riconosce agli interessati, una volta avviato il procedimento, il diritto di prendere visione degli atti ma non di estrarne copia. Il Ceppaglia si è dunque attenuto a tale disposizione,consentendo all'interessato di prendere visione degli atti dopo appena quattro giorni dalla ricezione dell'istanza, ritenendo che il diritto ad ottenere copia degli atti sorga soltanto a seguito dell'adozione del provvedimento conclusivo del procedimento, come era stato riconosciuto dallo stesso L., nella missiva inviata al Comune di Martina Franca, il 17 marzo 2010. Peraltro la relazione in questione era stata accantonata dai vari dirigenti succedutisi nella direzione dell'ufficio, che non ne condividevano il contenuto. Né poteva pretendersi da un dirigente dell'ufficio tecnico comunale, ad appena 11 giorni dal suo insediamento, la conoscenza dell'articolo 25 I. 241/90. Di talchè non è ravvisabile il dolo del reato di cui all'articolo 328 cod. penumero , in quanto Il Ceppaglia non aveva alcuna coscienza e volontà di tenere una condotta contra ius, potendosi, al più, riscontrare,nel suo comportamento, una mera inerzia e non un rifiuto. Si chiede pertanto annullamento della sentenza impugnata. Considerato in diritto 11e doglianze formulate sono manifestamente infondate. Si distingue, infatti, in giurisprudenza, tra norme extrapenali non integratrici del precetto, ossia disposizioni destinate,in origine, a regolare rapporti giuridici di carattere non penale, non richiamate, neppure implicitamente, dalla norma penale, e norme extrapenali integratrici dei precetto, che, essendo in esso incorporate, sono da considerarsi legge penale, per cui l'errore su di esse non scusa, ai sensi dell'art 5 cod. penumero , salvo che si tratti di errore inevitabile , conformemente al dictum di Corte cost. 24-3-1988, numero 364. Vi sono infatti leggi extrapenali integratrici, che concorrono, con la norma incriminatrice, alla definizione del singolo tipo di illecito, integrandone la descrizione legale, mediante l'aggiunta o la specificazione di elementi da intendere come essenziali o che contribuiscono, in vario modo e in diversa misura, a determinare il contenuto dei comando o dei divieto Cass., Sez 5, 1°-7-1975,Saia,Rv. 132026 o che, anche se non richiamate espressamente da una norma penale, la integrano logicamente Cass. Sez 3,30-6 1972, Lovatelli,Rv. 122205 o, infine, che vengono attratte nell'ambito di una norma penale,per effetto di un rinvio recettizio Cass., Sez 6, 11-12-1970, Funaro, Rv.116579 .E vi sono invece leggi extrapenali non integratrici, le quali non aggiungono o specificano nulla al tipo di illecito, non lo arricchiscono di alcun contenuto, non contribuiscono ad esprimere il senso del divieto. Soltanto l'errore che cade sulle norme non integratrici esclude il dolo,trattandosi di errore sul fatto, a norma dell'articolo 47, comma 3, cod. penumero ex piurimis, Cass. , Sez 5, 20-2-2001, Martini Sez 5, 11-1-2000, Di Patti Sez 6. , 18-11-1998, Benanti , non anche quello che cade su norme integratrici. Queste ultime, infatti, inserendosi nel precetto, ad integrazione della fattispecie criminosa,concorrono a formare l'obiettività giuridica dei reato, con la conseguenza che l'errore che ricade su di esse non può avere efficacia scusante, al pari dell'errore sulla legge penale vera e propria Cass., Sez. 4,30-10-2003, numero 14819, Rv. 227875 . Si è quindi precisato, in giurisprudenza, che deve essere considerato errore sulla legge penale-e quindi inescusabile-sia quello che cade sulla struttura del reato sia quello che incide su norme, nozioni e termini propri di altre branche dei diritto, introdotti nella norma penale in via di integrazione della fattispecie astratta Cass., Sez. 3, 15-5-1985, Tauro . In quest'ottica, si è, in giurisprudenza, ritenuto che le disposizioni legislative che disciplinano l'operato e i doveri dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio hanno natura di norme extrapenali integratrici Cass., Sez 6, 18-11-1998, Benanti , onde l'errore su di esse non assume efficacia scriminante, risolvendosi in ignoranza di legge che, pur non avendo carattere penale,è richiamata e recepita dalla legge penale e, in definitiva, in un errore sull'antigiuridicità della condotta Cass., Sez. 4, 20-4-1983, Bruno, Rv.160995 . Poiché dunque le leggi che stabiliscono i doveri dei pubblici ufficiali integrano il precetto della norma che prevede il reato di omissione di atti d'ufficio, alla loro erronea interpretazione non può essere applicata la disciplina dettata dall'articolo 47, comma 3, cod. pen, poiché l'articolo 328 cod. penumero recepisce ogni violazione delle regole riguardanti l'attività dei singoli pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio Cass., Sez 6, 28-6-1989,Giordano,Rv. 181944 . 2.Non vi è alcun dubbio che tra le norme che disciplinano l'attività dei pubblici ufficiali rientri il disposto dell'articolo 25 I. 241/90, che, stabilendo che il diritto di accesso si esercita mediante l'esame e l'estrazione di copia dei documenti amministrativi,costituisce, in capo ai pubblici ufficiali, il dovere di consentire sia l'uno che l'altra. L'ignoranza del contenuto precettivo della suddetta norma si risolve pertanto in ignoranza della legge penale, alla quale non può in alcun modo annettersi efficacia esimente, non trattandosi certamente, in considerazione della chiarezza della norma e della qualificazione tecnico-professionale di un pubblico ufficiale,per di più con funzioni dirigenziali, di una disposizione la cui ignoranza possa essere considerata inevitabile. 2. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile, a norma dell'articolo 606, comma 3, cod. proc. penumero , con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro mille, determinata secondo equità , in favore della Cassa delle ammende, nonché a rifondere alla parte civile le spese sostenute, che si ritiene congruo liquidare in euro duemilacinquecento, oltre IVA e CPA. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di e. 1000,00 in favore della cassa delle ammende nonchè a rifondere le spese sostenute dalla parte civile che liquida in euro 2.500,00 oltre IVA e CPA.