L’obbligo della motivazione, imposto al giudice dall’articolo 111 Cost. e articolo 125 c.p.p., comma 3, per tutte le sentenze, opera anche rispetto a quelle di applicazione della pena su richiesta delle parti, ma in tal caso esso deve essere rapportato alla particolare natura giuridica della sentenza di patteggiamento ed all’esistenza dell’atto negoziale sulla pena, sicché anche una valutazione sintetica del fatto, operata in sentenza, deve considerarsi sufficiente a giustificare la ratifica dell’accordo raggiunto dalle parti.
È quanto stabilito dalla Suprema Corte con la sentenza numero 19425/21, depositata il 17 maggio. Il Tribunale di Catania condannava alla pena di due anni di reclusione un imputato per i reati di furto in abitazione e possesso di arnesi da scasso. L’accusato ricorre quindi in Cassazione chiedendo l’annullamento di tale pronuncia in quanto il giudice di merito sarebbe venuto meno al proprio dovere motivazionale, non escludendo la peculiarità del rito. Il ricorso è inammissibile poiché proposto per ragioni esterne al perimetro di quelle consentite dal legislatore al fine di ricorrere per cassazione nei confronti della sentenza di patteggiamento. Infatti, l’articolo 448, comma 2-bis c.p.p. prevede che il P.M. e l’imputato possono ricorrere per cassazione contro la sentenza di patteggiamento solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato stesso, al difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza. Anche la Corte di Cassazione ha già avuto modo di affermare che «in tema di patteggiamento, pertanto, è inammissibile il ricorso per cassazione avverso la sentenza applicativa della pena con cui si deduca il vizio di violazione di legge per la mancata verifica dell’insussistenza di cause di proscioglimento ex articolo 129 c.p., atteso che l’articolo 448, comma 2-bis, citato limita l’impugnabilità della pronuncia, come poc’anzi precisato, alle sole ipotesi di violazione di legge in esso tassativamente indicate» Cass. numero 1032/2019 e numero 28742/2020 e che «la sentenza del giudice di merito che applichi la pena su richiesta delle parti, escludendo che ricorra una delle ipotesi di proscioglimento previste dall’articolo 129 c.p.p., può essere oggetto di controllo di legittimità, sotto il profilo del vizio di motivazione, soltanto se dal testo della sentenza impugnata appaia evidente la sussistenza di una causa di non punibilità ex articolo 129 c.p.p.» Cass. numero 39159/2019, numero 31250/2013, numero 30867/2011 e numero 6455/2011 . Nel caso di specie il ricorrente non deduce alcuna delle ragioni di ricorso consentite ma si lamenta genericamente della mancanza di motivazione inerente la sua responsabilità. Ma nel provvedimento impugnato, il giudice ha descritto brevemente i fatti, condividendone la loro qualificazione giuridica, ed ha escluso la sussistenza di una delle condizioni di proscioglimento ai sensi dell’articolo 129 c.p.p., valutando inoltre la congruità della pena. Tutto ciò seguendo i canoni essenziali e necessari richiesti dalla giurisprudenza di legittimità. Per questi motivi la Suprema Corte afferma il seguente principio di diritto «l’obbligo della motivazione, imposto al giudice dall’articolo 111 Cost. e articolo 125 c.p.p., comma 3, per tutte le sentenze, opera anche rispetto a quelle di applicazione della pena su richiesta delle parti, ma in tal caso esso deve essere rapportato alla particolare natura giuridica della sentenza di patteggiamento ed all’esistenza dell’atto negoziale sulla pena, sicché anche una valutazione sintetica del fatto, operata in sentenza, deve considerarsi sufficiente a giustificare la ratifica dell’accordo raggiunto dalle parti».
Corte di Cassazione, sez. V Penale, ordinanza 19 aprile – 17 maggio 2021, numero 19425 Presidente Palla – Relatore Brancaccio Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento impugnato, il Tribunale di Catania, in data 18.9.2020, ha applicato a C.C. , ai sensi dell’articolo 444 c.p.p., la pena di anni due di reclusione ed Euro 600 di multa per i reati di furto in abitazione e possesso di arnesi da scasso, reati entrambi aggravati. 2. Ricorre l’imputato personalmente, chiedendo che sia annullata la sentenza per violazione di legge per essere venuto meno il giudice al proprio dovere motivazionale, non escluso dalla peculiarità del rito. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile perché proposto per ragioni che si pongono fuori dal perimetro di quelle consentite dal legislatore al fine di ricorrere per cassazione avverso la sentenza di patteggiamento, ragioni, peraltro, anche manifestamente infondate. 2. Come noto, secondo quanto previsto dall’articolo 448 c.p.p., comma 2-bis, disposizione introdotta con la L. 23 giugno 2017, numero 103 -, il pubblico ministero e l’imputato possono ricorrere per cassazione contro la sentenza di patteggiamento solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato stesso, al difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza. In tema di patteggiamento, pertanto, è inammissibile il ricorso per cassazione avverso la sentenza applicativa della pena con cui si deduca il vizio di violazione di legge per la mancata verifica dell’insussistenza di cause di proscioglimento ex articolo 129 c.p., atteso che l’articolo 448, comma 2-bis, citato limita l’impugnabilità della pronuncia, come poc’anzi precisato, alle sole ipotesi di violazione di legge in esso tassativamente indicate cfr., tra le tante, Sez. 6, numero 1032 del 7/11/2019, dep. 2020, Pierri, Rv. 278337 Sez. F, ord. numero 28742 del 25/8/2020, Messnaoui, Rv. 279761 . Orbene, il ricorrente non deduce alcuna delle ragioni di ricorso consentite, ma si limita a dolersi, molto genericamente e senza tener conto dei contenuti della pronuncia impugnata, della mancanza di motivazione sulla responsabilità del ricorrente. Il giudice del patteggiamento, peraltro, ha spiegato sinteticamente la sussistenza di un quadro probatorio adeguato e idoneo ad escludere una pronuncia ai sensi dell’articolo 129 c.p.p. e tanto è sufficiente ai fini del sindacato positivo sulla legittimità della decisione dal punto di vista di eventuali, proposti vizi di motivazione. Invero, la sentenza del giudice di merito che applichi la pena su richiesta delle parti, escludendo che ricorra una delle ipotesi di proscioglimento previste dall’articolo 129 c.p.p., può essere oggetto di controllo di legittimità, sotto il profilo del vizio di motivazione, soltanto se dal testo della sentenza impugnata appaia evidente la sussistenza di una causa di non punibilità ex articolo 129 c.p.p. Sez. 2, numero 39159 del 10/9/2019, Hussain Tasawar, Rv. 277102 Sez. 5, numero 31250 del 25/06/2013, Rv. 256359 Sez. 4, numero 30867 del 17/06/2011, dep. 03/08/2011, Rv. 250902 Sez. 2, numero 6455 del 17/11/2011, dep. 2012, Rv. 252085 . Ebbene, il motivo è privo di specificità al riguardo, poiché non indica elementi favorevoli all’imputato acquisiti in atti e non considerati, o mal considerati, ai fini di un proscioglimento esso, comunque, è manifestamente infondato, dal momento che il giudice, nell’applicare la pena concordata, si è adeguato all’accordo intervenuto tra le parti, escludendo motivatamente, sulla base degli atti, che ricorressero i presupposti di cui all’articolo 129 c.p.p., e ritenendo la correttezza della proposta qualificazione giuridica dei fatti contestati. Tali argomentazioni, come ha condivisibilmente sottolineato la citata sentenza numero 39159 del 2019, appaiono del tutto corrispondenti ai parametri motivazionali richiesti per le decisioni di patteggiamento, avuto riguardo alla rinunzia alla contestazione delle prove e della qualificazione giuridica dei fatti costituenti oggetto di imputazione, che è implicita nella domanda di applicazione pena ai sensi dell’articolo 444 c.p.p., nonché tenuto conto della speciale natura dell’accertamento devoluto al giudice del merito in tale tipologia peculiare di rito alternativo previsto dal legislatore cfr., tra le altre, Sez. U, numero 5777 del 27/3/1992, Di Benedetto, Rv. 191135 Sez. U, numero 10372 del 27/9/1995, Serafino, Rv. 202270 Sez. U, numero 20 del 27/10/1999, Fraccari, Rv. 214637 cfr. Sez. 6, numero 56976 del 11/9/2017, Sejdaras, Rv. 271671 . La sentenza Di Benedetto ha ricostruito l’archetipo dei contenuti della sentenza che applica la pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 c.p.p., comma 2, secondo uno schema di delibazione ad un tempo positiva e negativa. Positiva quanto all’accertamento a della sussistenza dell’accordo delle parti sull’applicazione di una determinata pena b della correttezza della qualificazione giuridica del fatto nonché della applicazione e della comparazione delle eventuali circostanze c della congruità della pena patteggiata, ai fini e nei limiti di cui all’articolo 27 Cost., comma 3 d della concedibilità della sospensione condizionale della pena, solo qualora l’efficacia della richiesta sia stata subordinata alla concessione del beneficio. Negativa quanto alla esclusione della sussistenza di cause di non punibilità o di non procedibilità o di estinzione del reato. Le delibazioni positive debbono essere necessariamente sorrette dalla concisa esposizione dei relativi motivi di fatto e di diritto, mentre, per quanto riguarda il giudizio negativo sulla ricorrenza di alcuna delle ipotesi previste dall’articolo 129 c.p.p., l’obbligo di una specifica motivazione sussiste, per la natura stessa della delibazione, soltanto nel caso in cui dagli atti o dalle dichiarazioni delle parti risultino elementi concreti in ordine alla non ricorrenza delle suindicate ipotesi. In caso contrario, è sufficiente la semplice enunciazione, anche implicita, di aver effettuato, con esito negativo, la verifica richiesta dalla legge e cioè che non ricorrono gli estremi per la pronuncia di sentenza di proscioglimento ex articolo 129 c.p.p La successiva sentenza Serafino ha poi chiarito come l’obbligo della motivazione, imposto al giudice dall’articolo 111 Cost. e articolo 125 c.p.p., comma 3, per tutte le sentenze, operi, sì, anche rispetto a quelle di applicazione della pena su richiesta delle parti, ma che, tuttavia, in caso di pronuncia ex articolo 444 c.p.p., esso deve essere conformato alla particolare natura giuridica della sentenza di patteggiamento, rispetto alla quale, pur non potendo ridursi il compito del giudice a una funzione di semplice presa d’atto del patto concluso tra le parti, lo sviluppo delle linee argomentative della decisione è necessariamente correlato all’esistenza dell’atto negoziale con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di provare i fatti dedotti nell’imputazione. Tanto premesso, la giurisprudenza successiva ha affermato condivisibilmente che l’accordo sulla pena esonera il giudice dall’obbligo di motivazione sui punti non controversi della decisione Sez. 2, 12/10/2005, Scafidi, Rv. 232844 . Il principio merita di essere riaffermato e da esso discende che anche una valutazione sintetica del fatto, operata in sentenza, deve considerarsi sufficiente a giustificare la ratifica dell’accordo raggiunto dalle parti così la citata sentenza Sez. 6, numero 56976 del 2017 in motivazione . Esattamente questo è accaduto nel caso del provvedimento impugnato dal ricorrente, in cui il giudice ha descritto brevemente i fatti, ha condiviso la loro qualificazione giuridica, ha escluso la sussistenza di una delle condizioni di proscioglimento dettate dall’articolo 129 c.p.p. ed ha valutato la congruità della pena. Tutto secondo i canoni contenutistici essenziali e necessari richiesti dalla giurisprudenza di legittimità. Da qui l’inammissibilità del ricorso, premesso il seguente principio di diritto l’obbligo della motivazione, imposto al giudice dall’articolo 111 Cost. e articolo 125 c.p.p., comma 3, per tutte le sentenze, opera anche rispetto a quelle di applicazione della pena su richiesta delle parti, ma in tal caso esso deve essere rapportato alla particolare natura giuridica della sentenza di patteggiamento ed all’esistenza dell’atto negoziale sulla pena, sicché anche una valutazione sintetica del fatto, operata in sentenza, deve considerarsi sufficiente a giustificare la ratifica dell’accordo raggiunto dalle parti. 4. Alla declaratoria d’inammissibilità segue, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente che lo ha proposto al pagamento delle spese processuali nonché, ravvisandosi profili di colpa relativi alla causa di inammissibilità cfr. sul punto Corte Cost. numero 186 del 2000 , al versamento, a favore della Cassa delle Ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 4.000. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro quattromila in favore della Cassa delle ammende.