Lecito attribuire al lavoratore mansioni inferiori se l’unica alternativa è il licenziamento

Deve ritenersi valido il patto di demansionamento che, ai soli fini di evitare un licenziamento, attribuisca al lavoratore mansioni, e, conseguentemente, retribuzione, inferiori a quelle per le quali era stato assunto o che aveva successivamente acquisito in tal caso, infatti, prevale l’interesse del lavoratore a mantenere il posto di lavoro su quello tutelato dall’articolo 2103 c.c

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza numero 22029/15, depositata il 28 ottobre. Il caso. Due dipendenti di Poste Italiane convenivano in giudizio la società datrice di lavoro per vederla condannata a reintegrarli nelle precedenti mansioni tecniche o ad assegnare loro altre mansioni tecniche di contenuto equivalente, e a risarcire il danno derivante dal demansionamento consistito nell’essere stati adibiti a mansioni di sportello o comunque ad altre gestionali dell’area operativa in cui erano inquadrati. Di segno diametralmente opposto le decisioni dei giudici di merito nonostante la richiesta avesse trovato accoglimento in primo grado, infatti, la decisione veniva completamente riformata in appello. Tale ultima pronuncia viene quindi impugnata davanti al Supremo Collegio dai due dipendenti. È valido il demansionamento finalizzato ad evitare il licenziamento. Gli Ermellini hanno preliminarmente ribadito che, secondo la costante giurisprudenza di legittimità,è valido il patto di demansionamento che ai soli fini di evitare un licenziamento, attribuisca al lavoratore mansioni, e, conseguentemente, retribuzione inferiori a quelle per le quali era stato assunto o che aveva successivamente acquisito, prevalendo in tal caso l’interesse del lavoratore a mantenere il posto di lavoro su quello tutelato dall’articolo 2103 c.c Il patto di demansionamento, in tal caso, è valido non solo laddove sia promosso dalla richiesta del lavoratore – che deve manifestare il suo consenso non affetto da vizi della volontà –, ma anche quando l’iniziativa venga presa dal datore di lavoro, purché vi sia il consenso del lavoratore e sussistano le condizioni che avrebbero legittimato il licenziamento in mancanza dell’accordo. Nel caso di specie, la Corte di merito, secondo i Giudici di Piazza Cavour, ha positivamente accertato, con motivazione congrua e logica, che il demansionamento rappresentava l’unica alternativa praticabile ad un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, con la conseguenza che nessuna censura può essere mossa alla pronuncia impugnata.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 16 settembre – 28 ottobre 2015, numero 22029 Presidente Stile – Relatore Manna Svolgimento del processo Con sentenza depositata il 22.12.09 la Corte d'appello di Genova, in totale riforma della sentenza numero 2249/08 del Tribunale della stessa sede, rigettava la domanda di G.C. e G.M. intesa ad ottenere la condanna di Poste Italiane S.p.A. a reintegrarli nelle precedenti mansioni tecniche di addetti alla manutenzione dei macchinari del Centro di Meccanizzazione Postale CMP di Genova e Aeroporto - che erano state esternalizzate - o ad assegnare loro altre mansioni tecniche di contenuto equivalente, e a risarcire il danno derivante dal demansionamento consistito nell'essere stati adibiti a mansioni di sportello o comunque ad altre gestionali anziché tecniche dell'area operativa in cui erano inquadrati in base al CCL di Poste Italiane. Per la cassazione della sentenza ricorrono G.C. e G.M. affidandosi ad un solo articolato motivo. Poste Italiane S.p.A. resiste con controricorso, poi ulteriormente illustrato con memoria ex articolo 378 c.p.c. Motivi della decisione 1- Con unico articolato motivo di ricorso si denuncia violazione e/o falsa applicazione degli articolo 2103 e 1362 e ss. c.c. in connessione con gli articolo 43 e 46 CCL 26.11.94 per i dipendenti di Poste Italiane S.p.A. recanti la clausola di fungibilità di mansioni equivalenti e degli accordi 23.5.95 e 20.3.98 sull'alternanza delle predette mansioni equivalenti e dell'articolo 5 legge numero 604/66, oltre che vizio di motivazione lamentano i ricorrenti che la sentenza impugnata, malamente interpretando un precedente di questa Corte Cass. numero 8596/07 , ha trascurato che, se è vero che è legittima una clausola di cd. fungibilità funzionale tra mansioni diverse, è tuttavia necessario che fra di esse permanga un nucleo di omogeneità e affinità inoltre - prosegue il ricorso - è vero che un patto di demansionamento può essere legittimo se costituisce l'unica alternativa al licenziamento in caso di impossibilità di allocare diversamente la professionalità del lavoratore , ma il relativo onere probatorio incombe sul datore di lavoro e non sul lavoratore, mentre la sentenza impugnata ha affermato che i ricorrenti non avrebbero dedotto alcunché in ordine alla possibilità di essere adibiti, dopo l'estemalizzazione, a mansioni di carattere tecnico equivalenti a quelle precedentemente espletate. 2- Il ricorso è infondato. È noto che è valido il patto di demansionamento che, ai soli fini di evitare un licenziamento, attribuisca al lavoratore mansioni, e conseguente retribuzione, inferiori a quelle per le quali era stato assunto o che aveva successivamente acquisito, prevalendo in tal caso l'interesse del lavoratore a mantenere il posto di lavoro su quello tutelato dall'articolo 2103 c.c. tale patto è valido non solo ove sia promosso dalla richiesta del lavoratore - il quale deve manifestare il suo consenso non affetto da vizi della volontà - ma anche allorquando l'iniziativa sia stata presa dal datore di lavoro, purché vi sia il consenso del lavoratore e sussistano le condizioni che avrebbero legittimato il licenziamento in mancanza dell'accordo cfr., ex aliis, Cass. numero 11395/14 Cass. numero 25074/13 Cass. numero 2375/05 . Nel caso di specie la Corte territoriale, lungi dal decidere la controversia in base alla mera ripartizione dell'onere probatorio, ha - invece - positivamente accertato che tale demansionamento ha costituito l'unica alternativa praticabile ad un licenziamento per giustificato motivo oggettivo v. pag. 9 della sentenza impugnata , anche perché la società convenuta si è trovata di fronte alla necessità di ricollocare ben 513 unità adibite all'esercizio tecnico di manutenzione, di guisa che il rilievo della mancata allegazione - da parte degli odierni ricorrenti - di altre collocazioni lavorative con mansioni di carattere tecnico equivalenti a quelle svolte in precedenza si risolve in un'argomentazione meramente rafforzativa, non già in una autonoma ratio decidendi basata su un'errata inversione dell'onere della prova. Si tratta, in altre parole, d'una motivazione in punto di fatto esposta senza illogicità o contraddittorietà di sorta in quanto tale incensurabile in sede di legittimità e sull'esatto presupposto giuridico della possibilità di demansionare il lavoratore ove ciò costituisca l'unica alternativa praticabile ad un licenziamento per giustificato motivo oggettivo e ciò anche al di là dell'esistenza di apposite clausole di fungibilità funzionale. 3- In conclusione il ricorso è da rigettarsi. La natura della controversia suggerisce di compensare per intero fra le parti le spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte, rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità