Solo sbadigli per il lavoratore licenziato, sarebbe stato meglio cercare un’occupazione …

Il soggetto licenziato senza giusta causa deve collocare sul mercato la propria attività lavorativa per ridurre il pregiudizio patito lo impone il dogma dell’ordinaria diligenza. Il dipendente al centro della vicenda non si è adoperato durante i tre anni della vertenza per cercare una nuova occupazione, dimenticandosi l’iscrizione alle liste. Ecco il perché di un risarcimento complessivo piuttosto magro.

Questa la situazione affrontata dalla sezione Lavoro nella sentenza n, 16076/12 del 21 settembre scorso. A casa senza spirito di iniziativa. Un dipendente veniva licenziato per insubordinazione. Ne scaturiva una serie di ricorsi e controricorsi, sia per la reintegra nel posto sia per il pagamento delle retribuzioni maturate dalla data di cessazione del rapporto. Dapprima il Tribunale di Roma contentava a pieno le istanze del dipendente reintegra e pagamento, in misura altisonante, delle retribuzioni medio tempore maturate. Dopo la Corte d’Appello, adita dalla società, riduceva il quantum, detraendo l’aliunde perceptum in applicazione dell’articolo 1227 c.c., tenendosi conto delle condizioni del mercato del lavoro e di quelle soggettive del lavoratore, doveva ritenersi che nell’arco di tempo l’interessato avrebbe potuto trovare un’altra occupazione se si fosse attivato diligentemente il soggetto né si era iscritto alle liste di collocamento né in quelle di disoccupati aspiranti a un nuovo impiego. L’interpretazione della Suprema Corte. Come ribadito dalla sentenza numero 5862/2010, l’elaborazione giurisprudenziale circa il dettato dell’articolo 1227 c.c., quanto al contenuto dell’ordinaria diligenza esigibile, il comma 2 non si limita a prescrivere al danneggiato un comportamento meramente negativo consistente nel non aggravare con la propria attività il danno già prodottosi , ma richiede un intervento attivo e positivo, volto a limitare ed evitare le conseguenze dannose. Evitabilità del danno. È un concetto che va a stretto contatto con i dogmi della buona fede oggettiva e della correttezza – contenuti nell’articolo 1175 c.c. – applicabile ad entrambe le parti del rapporto obbligatorio e non solo al debitore. Il limite alla esigibilità del comportamento attivo è costituito dalla ordinaria diligenza non da quella straordinaria esulano del primo campo gli esborsi apprezzabili di denaro, l’assunzione di rischi, iniziative fuori dai canoni. Di sicuro però il soggetto «licenziato senza giusta causa deve collocare sul mercato la propria attività lavorativa per ridurre il pregiudizio subito» ex multis, numero 1208/1980, numero 15838/2002, numero 12352/2003 . Le ragioni del risarcimento “in forma ridotta”. In relazione al quantum a cui è tenuto il datore di lavoro in conseguenza del licenziamento illegittimo e con riferimento alla limitazione dello stesso ex articolo 1227 c.c., comma 2, l’onere della diligenza ordinaria nella ricerca di una nuova occupazione deve ritenersi assolto dal lavoratore con l’iscrizione nelle liste di collocamento, mentre spetta al debitore provare ulteriori elementi significativi. Il ricorso viene rigettato, con buona pace del lavoratore un po’ troppo pigro.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 19 giugno – 21 settembre 2012, numero 16076 Presidente Vidiri – Relatore Napoletano Svolgimento del processo Con lettera dell'10 dicembre 1995 la società Delta Italia licenziava per insubordinazione il suo dipendente C.I. e con ricorso del maggio 1996 chiedeva al Tribunale di Roma dichiarasi la legittimità del recesso. Il Tribunale di Roma con sentenza del 9 giugno 2000 rigettava la domanda e tale pronuncia veniva confermata dalla Corte di Appello di Roma con decisione del 3 settembre 2002 non impugnata. Contemporaneamente il C. con ricorso del gennaio 2001 adiva il Tribunale di Roma chiedendo la reintegra nel posto di lavoro e la condanna di controparte al pagamento delle retribuzioni maturate dalla data del licenziamento. Il relativo procedimento veniva sospeso in attesa dell'esito definitivo di quello instaurato dalla società ai fini della declaratoria della legittimità del licenziamento. Il C. nel luglio 2003 provvedeva a riassumere il processo e con sentenza del luglio 2005 il Tribunale di Roma ordinava la reintegra del lavoratore nel posto di lavoro e condannava la società al pagamento delle retribuzioni medio tempore maturate liquidando la somma di Euro 132.870,70. La Corte di appello di Roma, su impugnazione della società Delta, la quale reiterava l'istanza di riduzione ex articolo 1277 cc del danno risarcibile, riduceva il relativo quantum alla somma di Euro 35.498,18 pari alle retribuzioni maturate, detratto l'aliunde perceptum, dalla data del licenziamento sino a quella del 31 dicembre 1998. A fondamento di tale decisum la Corte del merito poneva il rilievo secondo il quale, in applicazione del secondo comma dell'articolo 1227 cc, tenendosi conto delle condizioni del mercato del lavoro e di quelle soggettive del lavoratore non ancora trentaduenne al momento del licenziamento doveva ritenersi che nell'arco di tempo di tre anni dall'intervenuta risoluzione del rapporto di lavoro il C. avrebbe potuto trovare un'altra occupazione se si fosse diligentemente attivato in tal senso. Né, precisava la predetta Corte, il lavoratore aveva offerto in contrario alcuna prova in ordine alla continuativa permanenza del suo stato di assoluta disoccupazione, né risultava che, dopo il licenziamento, il lavoratore si fosse iscritto nelle liste di collocamento ovvero nelle liste dei disoccupati aspiranti ad un posto di lavoro, né che, adoperandosi per la ricerca di esso, era rimasto nondimeno privo di occupazione . Avverso questa sentenza il C. ricorre in cassazione sulla base di tre censure. La società intimata non svolge attività difensiva. Motivi della decisione Con il primo motivo il ricorrente, deducendo violazione dell'articolo 18 della legge numero 300 del 1970 nonché degli articolo 1227 e 2697 ed insufficienza della motivazione, assume che la Corte del merito ha violato il principio secondo il quale, ai fini della riduzione del danno conseguente al licenziamento illegittimo, grava sul datore di lavoro l'onere di provare la dedotta mancata diligenza nel reperimento di altra occupazione. Né è sufficientemente motivata, secondo il ricorrente, la sentenza impugnata laddove afferma che avuto riguardo alle condizioni di mercato ed a quelle soggettive del lavoratore che un soggetto di oltre trenta anni dovrebbe sempre e comunque trovare un occupazione nell'arco di tre anni. Con la seconda censura il ricorrente, denunciando violazione dell'articolo 1227 cc e dell'articolo 18 della legge numero 300 del 1970, prospetta che la Corte del merito, riducendo il quantum alle retribuzioni spettanti per tre anni dalla data del licenziamento, non tiene conto del principio secondo il quale tale riduzione non può essere effettuata in relazione al tempo necessario per l'esercizio della relativa tutela giurisdizionale da parte del lavoratore, nel senso che poiché il giudizio di primo grado si è protratto fino al luglio 2005 il danno risarcibile non può essere ridotto al solo periodo 1995/1998. Con l'ultima critica il ricorrente, allegando violazione dell'articolo 112 cpc, prospetta che la Corte del merito è andata ultra petita in quanto non ha tenuto conto che la società aveva chiesto una limitazione del danno al solo periodo dicembre 1995/giugno 2000. Le prime due censure, che vanno trattate unitariamente essendo strettamente connesse dal punto di vista logico-giuridico, sono infondate. Al riguardo va rimarcato che, come ribadito di recente da Cass. 11 marzo 2010 numero 5862, l'elaborazione giurisprudenziale di questa Corte sulla interpretazione dell'articolo 1227 cc è pervenuta ad affermare i seguenti principi 1 tale articolo contiene ai commi 1 e 2 due distinte norme che regolano fattispecie diverse Cass. 14 gennaio 1992 numero 320 Cass. 22 agosto 2003 numero 12352 il comma 1 regola il concorso del danneggiato nella produzione del fatto dannoso ed ha come conseguenza una ripartizione di responsabilità, rappresentando un'ipotesi particolare della più generale previsione del concorso di più autori del fatto dannoso articolo 2055 c.c. , nel quale uno dei coautori è lo stesso danneggiato. Il comma 2 contempla una situazione, del tutto diversa, di danno causato dal solo debitore, e quindi non concerne problemi di nesso causale, ma solo di estensione o di evitabilità del danno si tratta di conseguenze dannose che si sono effettivamente verificate, ma che il creditore avrebbe potuto evitare, usando la ordinaria diligenza. 2 Quanto al contenuto dell'ordinaria diligenza esigibile, l'articolo 1227 c.c., comma 2, non si limita a prescrivere al danneggiato un comportamento meramente negativo, consistente nel non aggravare con la propria attività il danno già prodottosi, ma richiede un intervento attivo e positivo, volto non solo a limitare, ma anche ad evitare le conseguenze dannose. La norma che onera il danneggiato ad uniformarsi ad un comportamento attivo ed attento dell'altrui interesse, rientra tra le fonti di integrazione del regolamento contrattuale, per cui la stessa evitabilità” del danno è coordinata con i principi di correttezza e di buona fede oggettiva, contenuti nell'articolo 1175 c.c., applicabile ad entrambe le parti del rapporto obbligatorio e non al solo debitore, nel senso che costituisce onere sia del debitore che del creditore di salvaguardare l'utilità dell'altra parte nei limiti in cui ciò non comporti un'apprezzabile sacrificio a suo carico Cass. 7 aprile 1983 numero 2468 Cass. 14 gennaio 1992 numero 320 cit. . 3 Il limite alla esigibilità del comportamento attivo è costituito dalla ordinaria e non straordinaria diligenza, nel senso che le attività che il creditore avrebbe dovuto porre in essere al fine dell'evitabilità del danno, non siano gravose o straordinarie, come esborsi apprezzabili di denaro, assunzione di rischi, apprezzabili sacrifici Cass. 15 luglio 1982 numero 4174 Cass. 14 novembre 1978 numero 5243 Cass. 25 gennaio 1975 numero 304 Cass. 6 luglio 2002 numero 9850 . In applicazione degli esposti principi alla materia in oggetto, questa Corte ha affermato che il lavoratore, licenziato senza giusta causa, deve collocare sul mercato la propria attività lavorativa per ridurre, ex articolo 1127 c.c., il pregiudizio subito ex multis Cass. 18.2.1980 numero 1208 Cass. 11 novembre 2002 numero 15838 Cass. 22 agosto 2003 numero 12352 . La Corte di Appello ha fatto corretta applicazione di tale principio,in quanto ha basato il proprio decisum sul rilievo secondo il quale non era risultato che, dopo il licenziamento, il lavoratore si era iscritto nelle liste di collocamento ovvero nelle liste dei disoccupati aspiranti ad un posto di lavoro, né che, adoperandosi per la ricerca di esso, era rimasto nondimeno privo di occupazione. Siffatta argomentazione è conforme al principio secondo cui, in tema di risarcimento del danno cui è tenuto il datore di lavoro in conseguenza del licenziamento illegittimo e con riferimento alla limitazione dello stesso ex articolo 1227 cc, comma 2, l'onere della ordinaria diligenza nella ricerca di una nuova occupazione deve ritenersi assolto dal lavoratore con l'iscrizione nelle liste di collocamento, mentre spetta al debitore provare ulteriori elementi significativi della mancanza dell'ordinaria diligenza. Cass. 11 maggio 2005 numero 9898 e Cass. 11 marzo 2010 numero 5862 cit. . Né sotto diverso profilo risulta incongrua la motivazione della sentenza impugnata laddove avuto riguardo alle condizioni di mercato ed a quelle soggettive del lavoratore ed in particolare alla giovane età del lavoratore la Corte del merito ritiene che nell'arco di tempo di tre anni dall'intervenuta risoluzione del rapporto di lavoro il C. avrebbe potuto trovare un'altra occupazione se si fosse diligentemente attivato in tal senso. Relativamente all'ultima censura, con la quale si deduce la violazione dell'articolo 112 cpc, osserva il Collegio che avuto riguardo alle stesse conclusioni assunte della società nel giudizio di appello, riportate nella sentenza impugnata, cui l'attuale ricorrente fa riferimento a supporto della propria critica, risulta insussistente la denunciata violazione. Invero da tali conclusioni si evince che l’allora società appellante chiedeva in primis di ridurre il danno in via equitativa nella misura che sarà ritenuta di giustizia e, solo in via subordinata, comunque di limitare l'entità del danno risarcibile al periodo compreso tra dicembre 1995 e giugno 2000. Sulla base delle esposte considerazioni il ricorso va rigettato. Nulla deve disporsi per le spese del giudizio di legittimità non avendo parte intimata svolto attività difensiva. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese del giudizio di legittimità.