Il decesso della parte sostanziale nel corso del giudizio, se non dichiarato ai fini interruttivi dell’articolo 300 c.p.c., non fa venir meno l’efficacia della sentenza nei confronti degli eredi nel caso di specie incorre in errore il giudice d’appello che, nel dichiarare, da un lato irrilevante l’omessa interruzione del giudizio a seguito del decesso della parte sostanziale e processuale, rilevi d’ufficio, per contro, la carenza di legitimatio ad causam dell’altro avvocato costituito .
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza numero 12642, depositata il 18 giugno 2015. La vicenda processuale. Due avvocati, padre e figlio, sia personalmente che quali legali rappresentanti del proprio studio associato, convenivano in giudizio tre clienti per ottenere la condanna al pagamento, in solido tra loro, di una somma di denaro a titolo di compenso professionale. Il primo grado si concludeva favorevolmente con l’accoglimento della tesi attorea. Interposto appello, il giudice del gravame dichiarava però l’inammissibilità della domanda giudiziale proposta a suo tempo dal più anziano degli avvocati. Rilevava infatti la Corte che, nelle more tra la notifica della citazione di primo grado e l’udienza di prima comparizione delle parti, era intervenuto il decesso di uno dei due avvocati senza però che l’altro avesse fatto dichiarare l’estinzione del processo ex articolo 300 c.p.c Ricorreva per cassazione l’avvocato superstite. Il ricorrente si duole in uno dei motivi di impugnazione della violazione dell’articolo 161 c.p.c., per aver la Corte territoriale fatto mal governo dei principi sulla legittimazione ad agire in relazione all’interruzione del processo, ritenendo sussistente la carenza di legittimazione passiva dell’avvocato deceduto nel corso del giudizio di primo grado. Decesso della parte. La Suprema Corte ritiene il motivo fondato. Gli Ermellini spiegano che la Corte d’appello è incorsa in una lampante aporia logico-giuridica. L’errore è consistito nell’aver dichiarato, da un lato, irrilevante l’omessa interruzione del giudizio a seguito del decesso della parte sostanziale e processuale e, al contempo, nell’aver rilevato d’ufficio la carenza di legittimazione ad agire dell’avvocato superstite. Paradosso, questo, ancor più evidente per la circostanza che a tal proposito gli eredi non avevano mosso alcuna contestazione e che, anzi, avevano dimostrato un comportamento concludente teso a voler profittare dell’esito favorevole del giudizio di primo grado. Effetti pratici della sentenza. E’ così che a seguito della cassazione della sentenza d’appello, l’avvocato superstite che ha proseguito il processo, senza far dichiarare l’interruzione del processo, sarà legittimato ad agire non solo per il proprio credito, ma anche per il compenso dovuto alla parte defunta. D’altra parte, occorre rammentare, che l'interruzione del processo per morte o perdita della capacità della parte costituita a mezzo di procuratore si verifica solo nel momento in cui l'evento è dichiarato dall'avvocato stesso. Quest'ultimo, infatti, non è tenuto a fare tale dichiarazione così come ha precisato la Corte di Cassazione con la sentenza numero 204/1987, secondo cui siffatta dichiarazione «non integra un dovere, bensì un diritto potestativo processuale del procuratore costituito».
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 1 aprile – 18 giugno 2015, numero 12642 Presidente Forte – Relatore Bernabai Svolgimento del processo Gli avvocati P.G. e L. , in proprio e quali legali rappresentanti dello studio legale P. - associazione professionale, convenivano dinanzi al Tribunale di Pisa le signore B.M.G. , Bi.Mi. e Gi. , nonché la società Bianchi Ugo s.a.s. per ottenerne la condanna al pagamento della somma di Euro 135.358,98, a titolo di compenso dell'opera professionale prestata, giudiziale ed extragiudiziale, in loro favore. Si costituivano ritualmente le convenute, eccependo l'inesistenza di alcun incarico conferito in nome e per conto della società, di cui le prime tre non avevano la rappresentanza, e chiedevano l'accertamento dell'effettiva obbligazione maturata a carico di queste ultime, tenuto conto dell'attività svolta, dei risultati ottenuti, degli acconti percepiti e del loro credito di lire 85.000, a titolo di corrispettivo della ristrutturazione dell'immobile di proprietà degli attori eseguita dalla società. Con sentenza numero 111/2008 il Tribunale di Pisa condannava le signore B. e Bi.Mi. e Gi. al pagamento di quanto effettivamente accertato, oltre alla rifusione delle spese di giudizio. In accoglimento del successivo gravame la Corte d'appello di Firenze, con sentenza 29 ottobre 2012 dichiarava l'inammissibilità della domanda proposta dall'avv. P.G. e rigettava quella svolta dall'avv. P.L. e dello studio legale P. - associazione professionale, con condanna degli appellati alla restituzione della somma percepita in esecuzione della sentenza di primo grado oltre alla rifusione delle spese processuali. Motivava - che nelle more tra la notifica della citazione di primo grado, eseguita il 21 novembre 2002, e l'udienza di prima comparizione del 13 febbraio 2003 era intervenuto, in data 18 gennaio 2003, il decesso dell’avv. P.G. , che aveva promosso il giudizio con l'avv. P.L. , anche disgiuntamente , in proprio e quale legale rappresentante dello studio legale P. - associazione professionale, e tale evento non era stato dichiarato nelle successive udienze - che il mandato disgiunto doveva intendersi riferito all'associazione professionale, non legittimata peraltro a sostituirsi ai professionisti nei rapporti con la clientela - che quindi l'avv. P.G. rivestiva la duplice veste di parte sostanziale e di difensore di se stesso e sebbene l'omessa interruzione del giudizio, dopo il suo decesso non dichiarato, non potesse essere fatta valere dalle controparti, restava il fatto che l'avv. P.L. - che lo aveva proseguito, senza dichiarare l'evento, ex articolo 300 cod. proc. civ. - era legittimato ad agire solo per il proprio credito e non pure per il compenso dovuto alla parte defunta, per prestazioni professionali da essa rese, in via esclusiva, dal 1996 al maggio 2001 - che neppure poteva avere effetto sanante la costituzione degli eredi, avvenuta in grado d'appello, né era possibile enucleare dalla somma complessiva unitariamente pretesa con l'atto di citazione il compenso dovuto all'avv. P.L. per l'opera professionale da lui effettivamente prestata. Avverso la sentenza, non notificata, P.L. , P.A. , D.M.E. , quali eredi dell'avv. P.G. , e l'associazione professionale studio legale P. proponevano ricorso per cassazione, notificato il 17 gennaio 2013 e articolato in tre motivi. Resistevano con controricorso Bi.Gi. , Bi.Mi. e B.M.G. . All'udienza dell'1 aprile 2015 il Procuratore generale ed il difensore dei ricorrenti precisavano le rispettive conclusioni come da verbale, in epigrafe riportate. Motivi della decisione Con il primo motivo si deduce la nullità della sentenza per omesso contraddittorio, ex articolo 183, quarto comma, cod. proc. civ. sulla questione, rilevata d'ufficio, dell'inammissibilità della domanda proposta dall'avv. P.G. in primo grado. Il motivo è infondato. La sanzione di nullità della c.d. sentenza a sorpresa , o della terza via, è stata introdotta nell'articolo 101 cod. proc. civile, mediante l'aggiunta di un secondo comma, dall'articolo 45, comma 13, della legge 18 giugno 2009 numero 69. Tale disposizione, però, ai sensi dell'articolo 58, primo comma, della medesima legge, si applica ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore e quindi, in epoca successiva alla promozione del presente giudizio. È vero che l'articolo 183, nel testo ratione temporis vigente, contemplava già la doverosità dell'indicazione, da parte del giudice istruttore, delle questioni rilevabili d'ufficio di cui si ritenesse opportuna la trattazione ma si trattava, all'epoca, solo di lex imperfecta , priva di sanzione, pur se rispondente al principio generale di collaborazione, immanente al processo civile. Con il secondo motivo si censura la violazione dell'articolo 161 cod. proc. civ. e dei principi sulla legittimazione ad agire in relazione alla disciplina dell'interruzione, giacché la corte territoriale ha ritenuto la carenza di legittimazione dell'avv. P. , morto nel corso del giudizio di primo grado. Il motivo è fondato. Premesso, in punto di diritto, che il decesso della parte sostanziale nel corso del giudizio, se non dichiarato a fini interruttivi ai sensi dell'articolo 300 cod. proc. civile, non fa venir meno l'efficacia della sentenza nei confronti degli eredi, appare evidente la contraddizione in cui è incorso il giudice d'appello nel dichiarare, da un lato, irrilevante l'omessa interruzione del giudizio a seguito del decesso dell'avv. P. - nel contempo, parte sostanziale e difensore di se stesso - e nel rilevare d'ufficio, per contro, la carenza di legitimatio ad causam dell'altro avvocato costituito, P.L. , nel proseguire il giudizio stante l'assenza di alcuna eccezione al riguardo da parte degli eredi, appellanti, che hanno anzi dimostrato di volersi avvalere della sentenza di primo grado, loro favorevole. Non senza aggiungere che l'avv. P.L. , figlio ed erede della parte defunta, era comunque legittimato a proseguire il giudizio restando sanata l'omessa integrazione del contraddittorio verso gli altri eredi per effetto della loro rinunzia implicita alla relativa eccezione in sede di gravame. L'accoglimento del presente motivo assorbe la disamina di quello successivo, con cui si deduce, in via subordinata, la violazione dell’articolo 1298, secondo comma, cod. civ. nel mancato rilievo della solidarietà attiva fra i due professionisti, che renderebbe superfluo l'accertamento del riparto del credito del compenso nei rapporti interni. Il ricorso è dunque infondato e dev'essere respinto, con la conseguente condanna alla rifusione delle spese di giudizio, liquidate come in dispositivo, sulla base del valore della causa e del numero e complessità delle questioni trattate. P.Q.M. Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d'appello di Firenze, in diversa composizione, anche per le spese della fase di legittimità.