Quando l’assegno con data in bianco … dissimula lo stato di insolvenza

In tema di insolvenza fraudolenta, la prova del preordinato proposito di non adempiere alla prestazione dovuta sin dalla stipula del contratto, può essere desunta anche dal pagamento effettuato con un assegno privo di data, ove si accerti che, già al momento della consegna del titolo, l’agente era insolvente e che aveva dissimulato tale stato al venditore.

Questo il principio di diritto che è stato sancito dalla Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione con la sentenza numero 3012/2016,depositata il 22 gennaio scorso. Rilevanza dell’uso dell’assegno e truffa. Il diffuso utilizzo, nella prassi commerciale, dell’assegno come mezzo di pagamento ed il suo conseguente uso, in molte occasioni, improprio, da lungo tempo hanno interrogato la giurisprudenza sulla possibile rilevanza penale di siffatte condotte. Corposa è l’elaborazione giurisprudenziale in tema di truffa contrattuale. Secondo un consolidato e risalente orientamento di legittimità, l'emissione di un assegno postale privo di copertura ben può integrare il reato di truffa se tale condotta si accompagni ad un comportamento dell'agente idoneo ad indurre in inganno chi riceve il titolo, vincendone le resistenze mediante rassicurazioni sulle proprie intenzioni di pagare, atte ad ingenerare fiducia nella propria solvibilità. Secondo l’impostazione più risalente, dunque, il semplice pagamento di merci effettuato mediante assegni di conto corrente privi di copertura non era, di regola, sufficiente a costituire raggiro idoneo a trarre in inganno il soggetto passivo e a indurre alla conclusione del contratto. Detta condotta, per concorrere a realizzare la materialità del delitto di truffa, doveva essere accompagnata da un quid pluris , da un malizioso comportamento dell'agente, e dunque da fatti e circostanze idonei a determinare nella vittima un ragionevole affidamento sull'apparente onestà delle intenzioni del soggetto attivo e sul pagamento degli assegni Cass. Penumero , Sez. II, 15/05/2012, numero 20966/2012, in Cass. Penumero , sez. VI, 2341/2013 . Evoluzione giurisprudenziale. Secondo un più recente orientamento giurisprudenziale, per integrare il delitto di truffa, è sufficiente la consegna in pagamento, all'esito di una transazione commerciale, di un assegno di conto corrente bancario postdatato, qualora vengano contestualmente fornite al prenditore rassicurazioni circa la disponibilità futura della necessaria provvista finanziaria Cass. Penumero , sez. II, numero 33441/2015 . Infatti, secondo tale impostazione, consegnare in pagamento un assegno di conto corrente bancario postdatato, con contestuali rassicurazioni al beneficiario sulla disponibilità futura della necessaria provvista finanziaria, induce in errore il prenditore sulla consistenza patrimoniale ed economica della controparte, determinandolo, proprio per tale motivo, a concludere il contratto Cass. Penumero , sez. II, numero 52021/2014 . Utilizzo di assegno “scoperto” e insolvenza fraudolenta. Sicuramente assai meno significativa è l’elaborazione giurisprudenziale in ordine ai rapporti tra l’utilizzo improprio di assegni e il delitto di insolvenza fraudolenta. Solo di recente, infatti, la Cassazione è giunta ad affermare che il tacere in modo preordinato le proprie condizioni economiche ai fini della capacità di assolvimento di un'obbligazione, costituisce violazione del principio di buona fede contrattuale e vale ad integrare la dissimulazione cioè il nascondimento della propria condizione di insolvenza quale elemento costitutivo del delitto di cui all'articolo 641 c.p Nel caso suddetto, gli Ermellini avevano confermato la condanna nei confronti dell'imputato che aveva consegnato al titolare di una autofficina, per il pagamento di prestazioni fornite, un assegno bancario privo della relativa copertura monetaria Cass. Penumero , sez. II, numero 30022/2014 . Secondo tale impostazione, particolarmente rigorosa, dunque, anche il semplice “silenzio” può integrare la condotta dissimulatoria, perché si porrebbe in pieno contrasto con i principi cardine di correttezza e buona fede, cui deve essere improntato il comportamento del privato nella stipulazione di qualsiasi negozio giuridico. Da tale principio consegue, logicamente, che integra la fattispecie della insolvenza fraudolenta la mera consegna di un assegno risultato poi scoperto. Invero, non si può celare come tale orientamento, che individua proprio nel silenzio il discrimen con la condotta di truffa, finisca, di fatto, per restituire penale rilevanza al mero utilizzo di assegno senza provvista, depenalizzato a fare data dal 1999. Insolenza fraudolenta ed assegno con data in bianco. Sino al caso in esame, la giurisprudenza non si era, invece, occupata della possibile incidenza, sulla medesima fattispecie di cui all’articolo 641 c.p., della consegna di un assegno con data in bianco, risultato poi privo di provvista. Invero, come osserva la pronuncia in commento, il rilascio di assegno privo di data corrisponde ad una diffusa prassi commerciale che mira a favorire, di regola, il beneficiario esonerato per tale via dal rispetto dei termini di presentazione e non il contrario. Orbene, nel caso di specie, dopo il rilascio di un assegno bancario con data in bianco in conto di pagamento della merce consegnata, l’emittente aveva immediatamente contattato il prenditore pregandolo di non porre all’incasso l’assegno, diffidandolo anche attraverso telegramma. Quando, qualche giorno dopo, l’assegno, che, si noti bene, era stato consegnato in pagamento e non in garanzia tale peraltro essendo la natura giuridica propria dell’assegno , era stato, comunque, posto all’incasso dal beneficiario, lo stesso era risultato privo di copertura. Evidenzia la Cassazione che, al momento della stipula del contratto, le parti avevano convenuto il pagamento immediato, avvenuto, per l’appunto, con il rilascio di un assegno, che, recando la data in bianco, facoltizzava il prenditore a metterlo all’incasso in qualunque momento. L’imputato, che pochissimo tempo dopo aveva contattato la controparte per diffidarla dal porre all’incasso l’assegno, era dunque perfettamente consapevole, alla stipula del contratto, del proprio stato di insolvenza, comprovato, altresì, dalla contestuale levatura di numerosi altri protesti a carico del medesimo. Peraltro – sottolineano gli Ermellini – i lamentati imprevisti economici sono rimasti mera asserzione del ricorrente e, dunque, tutti gli elementi inducono a ritenere che l’imputato, consegnando il titolo con data in bianco, abbia scientemente dissimulato il proprio stato di insolvenza ed in conseguenza indotto in errore la controparte. La condanna ad opera della Corte territoriale ha quindi trovato conferma, con conseguente declaratoria di inammissibilità del proposto ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 17 dicembre 2015 – 22 gennaio 2016, numero 3012 Presidente Fiandanese – Relatore Rago Fatto e diritto 1. Con sentenza del 19/06/2014, la Corte di Appello di Lecce confermava la sentenza pronunciata in data 03/03/2010 con la quale il Tribunale di Brindisi - sez. distaccata di Ostuni - aveva ritenuto C.G. colpevole del delitto di insolvenza fraudolenta a danno di D.V.D. così riqualificata l'originaria imputazione di truffa , perché, quale acquirente, “con artifici e raggiri consistiti nel simulare una situazione di solidità economica attraverso l'effettuazione di un ordine complessivo di kg. 9.460 di olio extravergine d'oliva per un importo di L. 27.907,00 nonché la consegna di un assegno bancario, di pari importo, numero omissis tratto sulla banca Intesa di Trani sul c/c numero omissis , inducendo in errore D.V.D. — presidente e legale rappresentante dell'Oleificio Cooperativo Coltivatori Diretti e produttori di Ostuni — che così si determinava a fornire la citata mercé, si procurava un ingiusto profitto con altrui danno per £ 27.907,00 poiché l'assegno era privo di provvista. In fino al omissis ”. La Corte, in punto di fatto, accertava che l'imputato, insieme a tale M. agente di commercio, poi assolto “si era presentato presso l'oleificio in questione, l'uno quale agente di commercio l'altro mero acquirente, garantendo il pagamento immediato della fornitura richiesta. Successivamente alla definizione della compravendita, perfezionatasi qualche giorno dopo, i due avrebbero pregato il venditore di non incassare subito il titolo rilasciatogli, richiesta avanzata ripetutamente finanche a mezzo telegramma. Quando l'assegno era stato poi portato all'incasso era risultato privo di provvista”. La Corte, in ordine alla responsabilità dell'imputato osservava che “[ ], nella prassi commerciale il rilascio di un assegno privo di data è comportamento che favorisce il beneficiano e non il contrario. Sempre nella prassi commerciale laddove l'incasso non è possibile effettuarlo contemporaneamente al rilascio del titolo si usa postdatare lo stesso di 30-60-90 gg. In tal caso, laddove siffatta pattuizione fosse stata stabilita al momento della conclusione della vendita il rilascio a 30 gg, sebbene non corretto sotto il profilo normativo, sarebbe stato accettato di buon grado. Al contrario, ciò che deve aver preoccupato non poco il beneficiario deve essere stata proprio la pressante richiesta di non porre all'incasso il titolo, successiva alla conclusione del contratto. Tant'è che solo a seguito del telegramma in atti, datato 3.02.2011, ed in cui, guarda caso, non si fa riferimento a precedenti intese, il D. si preoccupava di apporre la data del 1.02.2007 e versare per l'incasso l'assegno in data 6.02.2007, in quanto evidentemente allarmato da tale richiesta. Tali considerazioni di ordine logico, anche fondate su fatti di comune esperienza, avvalorano la parola della persona offesa. D'altra parte sono rimaste mere affermazioni quelle relative all'insorgere di imprevisti di natura economica che avrebbero impedito al C. di adempiere. A tal proposito si rileva che anche successivamente alla data del 5.03.2007, indicata quale quella in cui l'assegno avrebbe trovato capienza, non vi è mai stato adempimento dell'obbligazione contratta, tant'è che solo in data 17.04.2011 il D. si sarebbe determinato a presentare querela. Inoltre la visura camerale effettuata sul conto dell'imputato in parola evidenzia l'esistenza di numerosi protesti per l'anno 2006 in date molto prossime a quella in cui è stato commesso il reato oggetto del presente procedimento. Conseguentemente deve ritenersi accertata la condotta di dissimulazione dello stato di insolvenza del C. al momento in cui egli contraeva l'obbligazione in questione, così come ritenuto dal primo Giudice”. 2. Contro la suddetta sentenza, l'imputato, in proprio, ha proposto ricorso per cassazione deducendo la violazione dell'articolo 641 cod. penumero in quanto le parti “avevano inteso concludere un accordo in cui la controprestazione in denaro non aveva termini certi. In sostanza se il creditore ha accettato un assegno privo di data è perché era consapevole del fatto che il pagamento sarebbe stato rinviato al momento in cui l'odierno imputato avrebbe maturato la provvista. In tal modo il creditore ha mostrato di essere consapevole dell'altro rischio dell'operazione commerciale. La sua volontà di contrarre non è stata viziata da altri comportamenti dissimulatori giacché i successivi solleciti a non incassare l'assegno erano legati al fatto che al titolo di credito non era stata, consensualmente, apposta una data. Della situazione descritta hanno dato atto i Giudici di merito senza trame le debite conclusioni. Infatti, in tema di insolvenza fraudolenta sono principi consolidati quelli per cui la dissimulazione dello stato di insolvenza richiede un comportamento idoneo a ingenerare nella controparte la solvibilità del creditore. La volontà di non adempiere deve preesistere all'assunzione dell'obbligazione e deve essere qualificata dalla specifica intenzione di non assolvere l'obbligazione giacché non è sufficiente che il contraente sia in dolo eventuale”. 3. In punto di diritto, in tema di insolvenza fraudolenta, sono pacifici i seguenti principi reiteratamente ribaditi da questa Corte di legittimità ex plurimis Cass. 6350/1974 Rv. 128047 Cass. 34192/2006 Rv. 234774 Cass. 39890/2009 Rv. 245237 Cass. 6847/2015 Rv. 262570 - L'articolo 641 c.p., ha come finalità la tutela del diritto del creditore adempiente contro particolari, preordinati, successivi inadempimenti fraudolenti, consumati dalla controparte, di un'obbligazione di contenuto patrimoniale e di fonte contrattuale inadempimenti realizzati con modalità tali da rendere inadeguata la tutela apprestata dalla legge civile - il proposito dell'agente di non adempiere l'obbligo deve sussistere nel momento in cui questo prende giuridica consistenza, perché, se sopravvenisse, non avrebbe alcuna rilevanza, nonostante la condizione obiettiva del mancato pagamento. Infatti, Il discrimine tra mero inadempimento di natura civilistica e commissione del reato poggia sull'elemento ispiratore della condotta con la conseguenza che il comportamento consistente nel tenere il creditore all'oscuro dello stato di insolvenza in cui si versa al momento di contrarre l'obbligazione ha rilievo quando sia legata al preordinato proposito di non effettuare la dovuta prestazione, mentre l'inadempimento contrattuale non preordinato non costituisce tale delitto e ricade, normalmente, solo nell'ambito della responsabilità civile - la prova del preordinato proposito di non adempiere alla prestazione dovuta sin dalla stipula del contratto, dissimulando lo stato di insolvenza, può essere desunta anche da argomenti induttivi seri e univoci, ricavabili dal contesto dell'azione e dal comportamento successivo all'assunzione dell'obbligazione, ma non esclusivamente dal mero inadempimento che, in sé, costituisce un indizio equivoco del dolo. Alla stregua dei suddetti principi, la decisione della Corte Territoriale si sottrae pertanto, ad ogni censura in quanto la Corte, in punto di fatto, ha accertato che a fra le parti era stato pattuito che la fornitura d'olio sarebbe stata pagata immediatamente a tal fine, l'imputato consegnò un assegno privo di data che, quindi, facoltizzava il venditore ad incassarlo anche subito b successivamente alla definizione della compravendita, l'imputato chiese al venditore di non incassare subito il titolo rilasciatogli, richiesta avanzata ripetutamente finanche a mezzo telegramma c erano rimaste mere affermazioni quelle relative all'insorgere di imprevisti di natura economica che avrebbero impedito al C. di adempiere d a carico del ricorrente, in date molto prossime a quella in cui era stato commesso il reato, erano stati elevati numerosi protesti. Invero, i suddetti elementi evidenziano come, al momento della stipula del contratto, il ricorrente era ben consapevole di non poter adempiere e ciononostante stipulò il contratto appropriandosi di una ingente fornitura e ciò fece perché trasse in inganno il venditore dissimulando il proprio stato d'insolvenza, stato che certamente sussisteva come desumibile anche dal fatto che l'assegno non fu mai onorato. Non è, quindi, vero come sostiene il ricorrente che, se il creditore accettò “un assegno privo di data è perché era consapevole del fatto che il pagamento sarebbe stato rinviato al momento in cui l'odierno imputato avrebbe maturato la provvista” l'assegno privo di data non è, infatti, equiparabile ad un assegno posdatato in quanto, contrariamente a questo, è un titolo che il creditore può incassare in qualsiasi momento e, quindi, come ha correttamente rilevato la Corte “favorisce il beneficiario e non il contrario”. In conclusione il ricorso dev'essere dichiarato inammissibile alla stregua del seguente principio di diritto “In tema d'insolvenza fraudolenta, la prova del preordinato proposito di non adempiere alla prestazione dovuta sin dalla stipula del contratto, può essere desunta anche dal pagamento effettuato con un assegno privo di data ove si accerti che, già al momento della consegna del titolo, l'agente era insolvente e che aveva dissimulato tale stato al venditore”. Alla declaratoria di inammissibilità consegue, per il disposto dell'articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.000,00. Essendo stati tutti i motivi del ricorso dichiarati inammissibili, trova applicazione il principio di diritto secondo il quale “l'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto d'impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'articolo 129 c.p.p.” ex plurimis SSUU 22/11/2000, De Luca, Riv 217266 - Cass. 4/10/2007, Impero. P.Q.M. DICHIARA inammissibile il ricorso e CONDANNA il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.