Il titolare di una servitù di veduta ha diritto di chiedere il rispetto delle distanze nelle costruzioni previste dal terzo comma dell’articolo 907 c.c. tanto in senso orizzontale e verticale, quanto in direzione laterale. Il diritto di veduta, quindi, ha natura multidirezionale.
A stabilirlo, in conformità al proprio consolidato e rinnovato orientamento la seconda Sezione civile della Suprema Corte di Cassazione con una sentenza, la numero 11302, depositata in cancelleria lo scorso 5 luglio. Tre tipi di vedute e sempre la stessa tutela . L’articolo 907 c.c., nei primi due commi, disciplina le modalità di costruzione nel caso in cui il proprietario di un fondo abbia acquistato il diritto di veduta sul fondo di un vicino. Si tratta di una servitù il cui peso consiste nell’impossibilità di costruire nel fondo servente a distanza inferiore a tre metri dal muro in cui si apre la veduta. Si tratta della veduta diretta o, se più facilmente percepibile, orizzontale. Insomma il classico affaccio dalla finestra o dal balcone. Il secondo comma chiarisce che «se la veduta diretta forma anche veduta obliqua, la distanza di tre metri deve pure osservarsi dai lati della finestra da cui la veduta obliqua si esercita». Per veduta obliqua s’intende, come nel gergo comune, una veduta che non è né parallela né perpendicolare rispetto al punto di osservazione. La norma menzionata è completata dal terzo comma a mente del quale nel caso nuova costruzione da appoggiare al muro in cui sono presenti le succitate vedute dirette od oblique, tale costruzione deve arrestarsi almeno a tre metri sotto la loro soglia. La distanza della costruzione in aderenza dev’essere valutata in senso orizzontale, verticale e laterale . In questo contesto normativo è stata chiamata a pronunciarsi la Corte di Cassazione. Il caso sotteso alla sentenza degli ermellini è di quelli di cui si sente parlare spesso il vicino del piano inferiore costruisce un manufatto che sporge rispetto alla soletta del balcone del piano superiore ed è ancorato ad esso. La costruzione ostruisce la veduta della strada e toglie aria. Questo il quadro della situazione che, nei gradi di merito precedenti la pronuncia numero 11302, ha portato ad una doppia condanna del convenuto in pratica quella tettoia era illecita. I giudici di piazza Cavour hanno confermato la decisione di secondo grado. Vari i precedenti citati nella parte motiva della sentenza tra i quali uno recentissimo, risalente al marzo 2012, nel quale si legge che «la distanza minima di tre metri che, ai sensi dell'articolo 907 c.c., deve separare il fondo del titolare d'una servitù di veduta dalla costruzione realizzata dal proprietario del fondo servente, deve sussistere non solo tra la veduta e la parte di costruzione che le sta di fronte, ma anche tra la prima e la parte di costruzione che si trova lateralmente o al di sotto di essa» Cass. 22 marzo 2012 numero 4608 . L’importanza della pronuncia numero 11302 sta anche nel fatto che, confermando quanto detto lo scorso mese di marzo, allarga l’orizzonte delle vedute da considerare al fine della tutela del diritto. Non solamente quelle verticali ed orizzontali, com’è stato detto in passato cfr. Cass. 5390/99, tra l’altro citata nella pronuncia in esame ma anche quelle laterali. Un’ultima annotazione in materia di applicabilità delle norme di cui all’articolo 907 c.c. in contesti condominiali. Sempre secondo la Cassazione, «le norme sulle distanze legali sono applicabili anche nei rapporti tra i condomini di un edificio quando siano compatibili con l'applicazione delle norme particolari relative alle cose comuni, ma in caso di contrasto prevale, quale diritto speciale, la disciplina che regola la comunione, nel consentire la più intensa utilizzazione dei beni comuni in funzione del godimento della proprietà esclusiva, purché il condomino non alteri la destinazione del bene e non ne impedisca l'altrui pari uso» Cass. 25 ottobre 2011 numero 22092 .
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 9 maggio – 5 luglio 2012, numero 11302 Presidente Schettino – Relatore Correnti Svolgimento del processo Ad istanza di G.L. , S.A. , usufruttuari, e di L. e G G. , nude proprietarie dell'unità immobiliare in omissis , il Tribunale di Napoli, con sentenza 29.7.2003 condannò P.D. a rimuovere, siccome in violazione delle norme estetiche del regolamento condominiale, la tettoia deturpante denunciata dagli attori e da costui realizzata sulla balconata sottostante la loro unità, mediante eliminazione della preesistente arcata muraria in modo da costituire un manufatto a limitata distanza dalla soletta del balcone attoreo, in violazione del regolamento condominiale e dei diritti attorei per menomazione dell'arieggiamento agli affacci e vani, per impedimento alla veduta sulla strada statale nonché sul viale di accesso al condominio e causa di deposito antigienico di detriti, oltre ai danni in Euro 4680, con rigetto della riconvenzionale di danni relativi alla sospensione di lavori, poi revocata, in giudizio cautelare non riassunto. La Corte di appello di Napoli, con sentenza 1100/2005, rigettò l'impugnazione del P. condannandolo alle spese, sul presupposto che la tettoia posta ad esigua distanza dal balcone sovrastante degli attori impoverisce la qualità della veduta come emerge anche dai rilievi fotografici ma altresì comporta disagio abitativo sul piano igienico per l'accumulo di materiali e scorie, sicchè, non potendosi stabilire con certezza l'entità del danno, si era dovuto giocoforza determinarlo con riferimento al deprezzamento del cespite a seguito di indagini di mercato, con mandato a ctu. il cui elaborato era stato genericamente criticato. Ricorre P. con tre motivi, resistono S.A. , G.L. , G. e R. , anche quali eredi di L G. , che hanno anche presentato memoria. Motivi della decisione Col primo motivo si lamenta violazione dell'articolo 112 cpc in relazione all'articolo 360 numero 5 cpc perche gli attori avevano genericamente richiesto i danni ed il etti senza precisa richiesta degli attori e del giudice li aveva quantificati in Euro 4875 pari a Euro 390 all'anno per anni 12,50, importo ridotto dal Tribunale e nonostante il gravame, la Corte di appello aveva confermato la sentenza di primo grado. omettendo qualsiasi commento, con vizio di ultrapetizione, anche perché in ogni caso la decorrenza dovrebbe essere dalla domanda e non retrodatarsi all'anno 1989 o 1991. Col secondo motivo si deduce violazione dell'articolo 907 cc in relazione all'articolo 360 nnumero 3 e 5 cpc, perché gli attori avevano lamentato una deminutio dell'originaria veduta obliqua sulla strada di accesso, il ctu aveva dedotto che la strada pubblica è tranquillamente visibile e la Corte di appello non ha tenuto conto che il P. era stato assolto in sede penale con la motivazione che si era trattato con ogni probabilità dei rifacimenti di una struttura preesistente. Col terzo motivo si deduce violazione dell'articolo 167 cpc per essere stati provati i danni relativi all'affitto di una casa di villeggiatura a seguito della sospensione dei lavori. Osserva questa Corte Suprema In ordine al primo motivo la Corte di appello si è rifatta alla ctu ed ha esaminato la censura relativa alla determinazione dell'arco temporale,posto che il fatto risultava accertato nel 1991, ma ha rilevato che agli effetti dell'illecito civile la condotta doveva farsi risalire al 1988, epoca certa essendo il ricorso originario del 30.6.1988. Ciò premesso, riconoscendosi una originaria richiesta di danni, non vi è alcun vizio di ultrapetizione né una omessa pronuncia sul gravame, non riportato analiticamente, ma che, stando alla sentenza, faceva risalire il fatto accertato al 1991. In ordine al secondo motivo va osservato che esiste consolidata giurisprudenza in ordine alla zona di rispetto dalle vedute. E prerogativa del giudice del merito individuare le fonti del proprio convincimento e dar luogo alle relative opzioni probatorie, senza che sia possibile contestare le valutazioni in fatto contrapponendo una diversa tesi conforme alle aspettative di parte. Con riferimento al carattere assoluto della zona di rispetto dalle vedute occorre partire dalla considerazione che l’articolo 905, primo comma, cc, nel disciplinare la distanza dalle vedute chiarisce espressamente che tale distanza va rispettata con riferimento al fondo e non alla parte del fondo prospiciente la veduta. Da un punto di vista logico la stessa conclusione si impone con riferimento all’articolo 907, ultimo comma, cc., nel quale si parla di distanza della costruzione in genere dalla veduta e non della parte della costruzione perpendicolare alla veduta. Una conferma indiretta della esattezza di tale interpretazione viene dalla sentenza 7 luglio 2011 numero 14953 delle Sezioni unite di questa Corte, la quale, con riferimento all'articolo 9 del d.m. 2 aprile 1968 numero 1444, che prevede una distanza di 10 metri delle costruzioni dalle pareti finestrate , ha affermato che tale disposizione esige in maniera assoluta il rispetto della distanza in questione, essendo destinata a disciplinare le distanze tra le costruzioni e non tra queste e le vedute, in modo che sia assicurato un sufficiente spazio libero che risulterebbe inadeguato se comprendesse soltanto quello direttamente antistante alle finestre in direzione ortogonale, con esclusione di quello laterale Cass. numero 4608/12 . In senso conforme cfr. Cass. nnumero 4389/09, 4976/00, 5390/99. Nella specie la Corte di appello parla, sia pure genericamente, di esigua distanza dalla veduta, ma il ricorrente non invoca il rispetto delle distanze ma un asserito diritto al rifacimento di una struttura preesistente, invocando uno stralcio di una sentenza penale di assoluzione che indicherebbe la mera probabilità di tale ipotesi. Sul terzo motivo la Corte di appello, richiamando la riconvenzionale a termini dell'articolo 96 cpc in dipendenza della avvenuta revoca dell'interdetto cautelare di sospensione, ha motivato, conformemente alla sentenza di primo grado, nel senso che l'accertata illegittimità dell'opera rendeva infondata la riconvenzionale. In definitiva il ricorso va rigettato con condanna alle spese. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese liquidate in Euro 2200. di cui 2000 per onorari, oltre accessori.