Il nostro vicino ha costruito in violazione delle norme sulle distanze, no, anzi, ad aver violato le distanze siano stati noi, insomma, siamo dinanzi al solito guazzabuglio inestricabile ed alla solita lite tra vicini.
Questa volta la Corte di Cassazione, con la ordinanza numero 10753, depositata in cancelleria lo scorso 27 giugno 2012, interviene per mettere un po' di ordine in una controversia tra vicini alimentata da una serie di dubbi in merito alla corretta applicazione delle norme in materia di distanze tra costruzioni ma, prima di tutto, occorre chiarire il concetto stesso di costruzione . Il problema di fondo, infatti, si incentra sulla realizzazione di un terrapieno e di una recinzione per cui occorre stabilire, preliminarmente, se tali opere debbano essere considerate o meno come una costruzione in senso tecnico, con quanto ne consegue. Le norme in gioco . Quando si parla di distanze tra edifici, il riferimento legislativo è al vecchio Decreto interministeriale del 2 aprile 1968 numero 1444 e, più precisamente, all'articolo 9 «Limiti di distanza tra i fabbricati» che, come ben noto, prescrive una distanza minima assoluta di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti. Muro di cinta e terrapieno finiscono al banco degli imputati . Il problema si focalizza sulla realizzazione di un muro di cinta ed un terrapieno costruiti, secondo gli attori, in violazione delle norme in materia di distanze tra costruzioni. Di conseguenza viene chiesta la demolizione delle opere abusive ed il ripristino dello status quo ante. Di contro i convenuti ribaltano la frittata con una domanda riconvenzionale. Il colpevole del malfatto sarebbe proprio l'attore che, senza alcuna autorizzazione, avrebbero eliminato un terrapieno di cui si chiede al ricostruzione. Il Tribunale accoglie la domanda principale avanzata dall'attore ed ordina ai convenuti la rimozione del terrapieno. La Corte territoriale pareggia i conti accogliendo la domanda riconvenzionale l'attore avrebbe eliminato il terrapieno originario procurando, di conseguenza, l'abbassamento del piano di campagna. L'eliminazione del terrapieno non viola le distanze ma le altezze . L'eliminazione del terrapieno e l'abbassamento del piano di campagna, non integra una violazione nelle norme in materia di distanze tra costruzioni ma comporta solo una violazione delle norme in materia di altezze. Quale sarebbe la conseguenza? E' presto detto! L'azione ripristinatoria è preclusa mentre avrebbe via libera solo l'azione risarcitoria. Il muro di contenimento deve essere inteso come una costruzione . Il muro di contenimento realizzato fino al raggiungimento del piano di campagna non viene considerato alla stregua di una costruzione in senso urbanistico. Ovviamente ci si muove su un terreno scivoloso per cui occorre prestare attenzione. La parte del muro di contenimento che eccede il piano di campagna ovvero la quota zero del fondo del vicino, viceversa, deve essere inteso come una costruzione in senso urbanistico. In questo caso trovano applicazione le norme in materia di distanza tra edifici e, ovviamente, dovrà essere applicata la norma in vigore al tempo in cui l'opera è stata realizzata. La normativa in materia di distanze si applica ad ogni tipo di costruzione . La Cassazione rimarca un principio ormai consolidato anche dalla giustizia amministrativa la normativa in materia di distanze tra costruzioni si applica ad ogni tipologia di manufatto e non solo ed esclusivamente ai fabbricati finestrati. Una volta che il terrapieno sia stato considerato al pari di una comune costruzione, ne discende, implicitamente ed automaticamente, che ad esso si applichino le relative norme edilizie, ivi comprese quelle in materia di distanza tra edifici. Occorre considerare, sotto questo profilo, che, a volte, le norme tecniche di attuazione parlano espressamente di distanze minime tra pareti finestrate prescrivendo distanze minime inderogabili ciò non implica che le relative prescrizioni non siano applicabili a tutti i manufatti ed a prescindere dall'esistenza delle finestre. Secondo la giurisprudenza della Cassazione, la normativa in materia di distanze tra costruzioni, ex articolo 9 del D.M. del 2 aprile 1968 numero 1444, trova applicazione anche nell'ipotesi in cui solo una delle pareti sia finestrata in definitiva la norma mira a garantire il rispetto della distanza minima 10 metri tra la parete finestrata e ogni altro manufatto costruito. La norma vuole garantire la luminosità e la vivibilità degli ambienti la cui usabilità verrebbe compromessa dalla realizzazione di un altro qualsivoglia manufatto. Ciò che conta sono le pareti e non le finestre . Le norme in materia di distanze tra edifici trovano la propria applicazione a qualsiasi manufatto, a prescindere dal fatto che ci siano finestre o pareti cieche. Il Legislatore, imponendo una distanza minima tra gli elementi costruiti, mira a tutelare l'interesse pubblico e la salubrità degli ambienti con una serie di norme inderogabili la cui violazione comporta l'applicazione di una sanzione ripristinatoria. Precluso il risarcimento del danno per equivalente. Quando vengono violate le norme in materia di distanze tra edifici, l'unica soluzione possibile è quella di demolire l’opera ripristinando le distanze minime. La normativa, infatti, mira a salvaguardare la vivibilità degli ambienti e la salute della cittadinanza. I Comuni hanno l'obbligo di adeguare gli strumenti urbanistici . Le norme in materia di distanze tra edifici sono state introdotte nel nostro ordinamento dal D.M. 2 aprile 1968 numero 1444 ma solo il d.P.R. 6 giugno 2001, numero 380 ovvero il c.d. Testo Unico dell’edilizia ha introdotto, a carico dei Comuni, l'obbligo di adeguare gli strumenti urbanistici al decreto interministeriale. Di conseguenza, con l'entrata in vigore del T.U. dell'Edilizia avvenuta, almeno in parte, solo dal 1° gennaio 2002 , la strumentazione urbanistica comunale dovrebbe essere integrata automaticamente dalle norme nazionali mentre, parallelamente, la disciplina urbanistica comunale sarebbe inapplicabile nella parte in cui sia in contrasto con le norme nazionali. Mensole e grondaie non entrano nel computo delle distanze, scale e terrazze sì . Il Consiglio di Stato, con la sentenza del 17 maggio 2012, numero 2847, è intervenuto, di recente, in materia di computo delle distanze e, con l'occasione, ha chiarito che i corpi aggettanti con funzioni meramente ornamentali ovvero le mensole e le grondaie non vengono computati ai fini della determinazione delle distanze tra edifici. Scale e terrazze, viceversa, pur non costituendo un volume sotto il profilo prettamente urbanistico, entrano in gioco ai fini del computo. Nel caso in esame il giudice amministrativo ha sottolineato che la nozione di costruzione «non si identifica con quella di edificio ma si estende a qualsiasi manufatto non completamente interrato che abbia i caratteri della solidità, stabilità, ed immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica preesistente o contestualmente realizzato, indipendentemente dal livello di posa e di elevazione dell'opera». In definitiva, qualsiasi manufatto che, per destinazione e struttura, abbia carattere di permanenza e stabilità, deve essere considerato come una costruzione, con quanto ne consegue, anche in relazione al calcolo delle distanze tra edifici. Particolare attenzione meritano le norme di piano . Quanto alla determinazione delle distanze con riferimento alle terrazze, occorre tener presente che il T.A.R. della Toscana, con la sentenza del 9 giugno 2011, numero 993, ha sottolineato l'importanza delle norme di piano. Nel caso preso in esame dal giudice toscano, una terrazza aggettante con sporgenza di ml. 1,76 non è stata computata ai fini della determinazione delle distanze tra i corpi di fabbrica in quanto le N.T.A. del P.R.G. stabilivano che “è la distanza fra le proiezioni orizzontali dei fabbricati per la parte fuori terra e i confini escluse le terrazze e gli aggetti di carattere ornamentale e strutturale con sporgenze inferiori o uguali a mt. 2,00”. In definitiva, secondo le norme di piano, se la terrazza non supera i 2 metri di sporgenza, non viene computata ai fini delle distanze dai confini . Distanze applicabili sia alle nuove costruzioni che alle sopraelevazioni . Altro intervento del Consiglio di Stato che, con la sentenza del 27 ottobre 2011, numero 5759 ha chiarito che l'articolo 9, comma 2, del D.M. 2 aprile 1968 numero 1444 trova applicazione non solo alle nuove costruzioni ma anche alle sopraelevazioni. Consigliabile il consulente tecnico . Per concludere, potremmo affermare, senza timore di essere smentiti ,che la materia non è delle più semplici in quanto caratterizzata da un intreccio di norme e di principi la cui interpretazione richiede conoscenze sia di ordine giuridico che tecnico. Ci troviamo, in definitiva, su un terreno paludoso per cui sarebbe sempre opportuno farsi accompagnare da un tecnico di fiducia capace di chiarire i risvolti di una materia particolarmente ostica.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 12 aprile - 27 giugno 2012, numero 10753 Presidente Goldoni – Relatore Proto Osserva in fatto Con citazione del 24/9/1991 M.B. e M.T., quali proprietari di una casa di civile abitazione, convenivano in giudizio G. e C., proprietari confinanti, assumendo che i convenuti avevano costruita un terrapieno tra il muro di contenimento e sostegno corrente sul confine costruito da essi attori e il muro di cinta costruito dagli stessi convenuti esponevano che il muro di cinta era stato costruito in aderenza, ma lasciando tra il muro di cinta e il muro di sostegno della proprietà G.C. uno spazio vuoto che successivamente era stato riempito per realizzare il terrapieno ed era sostenuto da un muro di sostegno, pure realizzato dai convenuti, in violazione delle norme sulle distanze rispetto alla propria casa che si trovava e tre metri e mezzo dal confine previste dallo strumento urbanistico del Comune di Soverato. Pertanto chiedevano la condanna dei convenuti a ripristinare lo stato dei luoghi mediante eliminazione del terrapieno. I convenuti si costituivano, contestavano la domanda attrice e in via riconvenzionale chiedevano la condanna degli attori al ripristino dello stato dei luoghi mediante la ricostruzione di un terrapieno dell’altezza di metri 1,80 che gli attori avevano eliminato abbassando il piano di campagna fra la costruzione degli stessi attori e il muro di recinzione di essi convenuti. Con sentenza del 22/10/2005 il GOA del Tribunale di Catanzaro accoglieva la domanda attrice ordinando ai convenuti l’eliminazione del terrapieno, ma non adottando, in dispositivo, statuizioni sulla riconvenzionale che in motivazione era ritenuta inaccoglibile. G. e C. proponevano appello al quale resistevano N. e M. la Corte di Appello di Catanzaro con sentenza del 5/12/2009 rigettava l’appello rilevando - che la pur sussistente nullità della sentenza di primo grado per non avere provveduto, nel dispositivo, sulla domanda riconvenzionale non comportava la rimessione al primo giudice e la domanda riconvenzionale doveva essere decisa, nel merito, in appello - che la domanda riconvenzionale era, nel merito, infondata pur essendo accertato che gli attori avevano abbassato il livello del loro terreno di circa un metro e 60 centimetri, ciò integrava non già una violazione delle norme sulle distanze tra fabbricati, ma una violazione delle norme in materia di altezza che, differentemente da quanto previsto per la violazione delle distanze, non comporta la rimessionc in pristino, ma solo la tutela risarcitoria - che doveva invece ritenersi costruzione la parte del muro di contenimento costruito dagli attori ad altezza superiore rispetto al piano del fondo sovrastante tuttavia la costruzione doveva ritenersi realizzata, in mancanza di prova contraria, in epoca coeva alla costruzione della casa, ossia in epoca prossima al rilascio della concessione edilizia del 1974 a tale epoca la distanza minima tra fabbricati era di tre metri e tale distanza era stata rispettata - che, invece, gli appellanti, realizzando il terrapieno da qualificarsi come costruzione, avevano violato le norme sulle distanze perché il terrapieno doveva ritenersi costruito, in assenza di diversa prova, in epoca anteriore e prossima al 6/9/1991 data dell’ordinanza sindacale che ne aveva ordinato la demolizione e siccome la distanza dal fronte dell’edificio degli attori era tra i 3,91 e i 4,03 metri come accertato dal CTU, era stato violato l’articolo 5.1 del P.R.G. del Comune di Soverato che prescriveva una distanza minima di 10 metri. G.G. e C.F. propongono ricorso per Cassazione fondato sulla base di motivi contrassegnati con le lettere A , B , C e D e, ulteriormente con i numeri da 1 a 4 il numero 3 suddiviso con l’elencazione di 5 vizi. Sono rimasti intimati M.B. e M.T. Resiste con controricorso F.G. [il Collegio rileva che questa frase costituisce un mero refuso tale soggetto non è parte in causa]. Osserva in diritto Occorre premettere che i ricorrenti espongono quattro motivi di ricorso indicati con le lettere A , B , C e D pag. 4 e 5 del ricorso , ma segue una confusa illustrazione articolata per numeri e lettere per tale ragione nelle seguenti “osservazioni in diritto” le censure sono accorpate in gruppi allo scopo di potere rispondere ordinatamente ad ogni censura. 1. Con un primo gruppo di motivi punti 1 e 2 da pag 5 a pag 9 del ricorso riguardanti la riconvenzionale proposta, i ricorrenti denunciano la nullità della sentenza del primo grado per omessa pronuncia, in dispositivo, sulla domanda riconvenzionale proposta, per omessa pronuncia anche da parte del giudice di appello e per omessa valutazione delle ragioni esposte dagli appellanti. 2. Le censure sono manifestamente infondate posto che, come correttamente rilevato dalla corte di appello e come è pacifico nella giurisprudenza di legittimità, il giudice d’appello, che rilevi nullità degli atti del procedimento di primo grado successivi alla notifica della citazione introduttiva, deve dichiararle e deve disporre l’ulteriore trattazione della causa davanti a sè, in applicazione del principio dell’assorbimento delle nullità nei motivi di gravame, senza alcuna possibilità di rinviare la causa al primo giudice, attesa la tassatività e la non estensibilità per analogia, delle ipotesi che consentono tale rimessione la mancata statuizione, nel dispositivo del primo grado in ordine alla riconvenzionale non integra una delle ipotesi tassative in cui il giudice di appello deve rimettere la causa al primo giudice a norma degli articolo 353 e 354 c.p.c., ma rende operante il potere-dovere del giudice d’appello di decidere nel merito il giudice di appello ha assolto il suo compito giudicando, nel merito e quindi non incorrendo nel dedotto vizio di omessa pronuncia e del tutto fondatamente, per l’inaccoglibilità della domanda riconvenzionale di rimessione in pristino sulla base di due autonome rationes decidendi - l’abbassamento del piano di campagna da parte dei convenuti in riconvenzionale non integra violazione delle distanze e pertanto non consente una condanna alla rimessione in pristino, ma eventualmente solo una condanna al risarcimento dei danni - per la parte di costruzione che eccede il piano di campagna della proprietà soprastante, realizzata nel 1974, non sono state violate le norme sulle distanze che all’epoca stabilivano la distanza di tre metri. Queste rationes decidendi non sono state minimamente attinte dalle censure che pertanto, nel merito, sono inammissibili. Quanto alla censura per la quale a quanto è dato comprendere dal confuso motivo anche la sentenza di appello sarebbe incorsa nel vizio di nullità per omessa pronuncia, nel dispositivo, sulla domanda riconvenzionale, basti osservare che, con l’appello, gli appellanti avevano chiesto come risulta dalle conclusioni trascritte nell’intestazione della sentenza di condannare gli attori, ove non si ravvisi l’opportunità di trasmettere gli atti al giudice di primo grado esclusa, come detto dal giudice di appello al ripristino dello stato dei luoghi come da domanda riconvenzionale pertanto il giudice di appello, avendo motivato sul rigetto della domanda riconvenzionale e, in dispositivo, rigettando in toto l’appello e dichiarando disattesa ogni diversa istanza, ha chiaramente provveduto nel senso di rigettare tutte le domande degli appellanti, compresa la domanda riconvenzionale ne discende che non sussiste la nullità della sentenza di secondo grado. 3. Il secondo gruppo di motivi esposti da pag. 9 a pag. 15 violazione o mancata applicazione della legislazione vigente - D.M. 19/11/1964 di approvazione del programma di fabbricazione - erronea applicazione della legge Regionale Calabria numero 592 del 1989 - non corretta applicazione di norme di legge - mancata ammissione di nuova CTU concernono l’accoglimento della domanda attorca di riduzione, in pristino che, secondo gli odierni ricorrenti non doveva essere accolta. I ricorrenti - censurano l’applicazione, quanto al terrapieno da essi realizzato, della norma di cui al P.R.G, del 30/9/1989 per la quale le distanze tra le costruzioni dovevano essere pari a 10 metri sostengono che la normativa non poteva applicarsi né ratione temporis in quanto il terrapieno sarebbe stato realizzato in epoca anteriore , né con riferimento alla specifica costruzione in quanto la normativa si riferirebbe a pareti finestrate e a pareti di pareti finestrate e non potrebbe essere applicata al terrapieno, ma solo a edifici e non a costruzioni in senso generico - sostengono che avrebbe dovuto essere applicata la distanza prevista dal piano di fabbricazione approvato con D.M. 19/11/1964, pari a tre metri - sostengono che non è né condivisibile, né giustificato, né motivato il rifiuto di disporre nuova CTU. 4. Le censure sono manifestamente infondate e in parte inammissibili. La censura relativa alla data di realizzazione del terrapieno è inammissibile perché dalla sentenza di appello risulta pag. 17 che non è intervenuta specifica contestazione sul tempo di realizzazione del terrapieno inoltre il giudice di appello ha motivato adeguatamente individuando la data di realizzazione in prossimità della data dell’ordinanza sindacale di demolizione e su questa motivazione non è stata formulata censura. La censura per la quale la normativa in materia di distanze presuppone l’esistenza di due edifici con pareti finestrate e non le costruzioni in senso generico è infondata in fatto e in diritto - in fatto perché il terrapieno risulta realizzato alla distanza di metri 3,91 - 4,03 dal fronte dell’edificio di proprietà degli attori v. pag. 18 della sentenza i quali avevano, appunto, dedotto la violazione delle distanze dalla loro parete finestrata - in diritto perché la norma del piano regolatore non postula necessariamente la contrapposizione di due pareti finestrate e deve essere interpretata in coerenza con l’interpretazione del D.M. numero 1444 del 1968, articolo 9 fornita da questa Corte di legittimità, la quale ha affermato che la disposizione del decreto ministeriale va interpretata nel senso che la distanza minima di dieci metri è richiesta anche nel caso che una sola delle pareti fronteggiantisi sia finestrata e che è indifferente se tale parete sia quella del nuovo edificio o quella dell’edificio preesistente, essendo sufficiente per l’applicazione di tale distanza che le finestre esistano in qualsiasi zona della parete contrapposta ad altro edificio, ancorché solo una parte di essa si trovi a distanza minore da quella prescritta Sez. 2^, 28 settembre 2007, numero 20574 Cass. 20/6/2011 numero 13547 che sono le pareti, non le finestre aperte in esse, a costituire dati di riferimento per il calcolo della distanza Sez. 2^, 28 agosto 1991, numero 9207 , con ciò lasciando intendere che, in relazione alla ratio della previsione finalizzata alla salvaguardia dell’interesse pubblico - sanitario a mantenere una determinata intercapedine degli edifici che si fronteggiano , il rispetto della distanza minima è dovuto anche per i tratti di parete che sono in parte privi di finestre. Con riferimento alla censura per la quale il terrapieno sarebbe escluso dall’applicazione della normativa sulle distanze, che riguarderebbe solo i fabbricati ai quali il terrapieno non sarebbe equiparabile, basti osservare che, ai fini del rispetto delle regole sulle distanze, essendo stato compromesso proprio il diritto correlato alla distanza dalla parete finestrata degli attori, la norma applicata risulta pienamente applicabile. Per quanto riguarda, poi, la richiesta di ammissione di c.t.u. va ribadito che la c.t.u. è mezzo istruttorio e non una prova vera e propria sottratta alla disponibilità delle parti ed affidata al prudente apprezzamento del giudice di merito, rientrando nel suo potere discrezionale la valutazione di disporre la nomina dell’ausiliario giudiziario e la motivazione dell’eventuale diniego può essere censurato nel giudizio di legittimità solo se non sia stato motivato e può anche essere implicitamente desumibile dal contesto generale delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitariamente considerato effettuata dal suddetto giudice. Nella specie la Corte di appello ha adeguatamente spiegato pag. 18 della sentenza il motivo per il quale ha ritenuto di non dover disporre una consulenza tecnica che appariva del tutto inutile. 3. In conclusione il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli articolo 376, 380 bis e 375 c.p.c. per essere rigettato. *** Considerato che il ricorso è stato fissato per l’esame in camera di consiglio, che sono state effettuate le comunicazioni alle parti costituite e la comunicazione al P.G. Considerato che il collegio ha condiviso e fatto proprie le argomentazioni e la proposta del relatore, Che nulla va statuito in tema di spese in mancanza di costituzione degli intimati. P.Q.M. La Corte di cassazione rigetta il ricorso.