Annunci per prestazioni sessuali a pagamento sul quotidiano, salva l’agenzia pubblicitaria: prevale la buonafede. Almeno all’inizio...

Legittimo ritenere il contenuto finalizzato a favorire incontri erotici, ma senza finalità di lucro. Nessun addebito possibile al rappresentante legale e al direttore di filiale. Ma, una volta intervenuta l’autorità giudiziaria, per gli annunci successivi la buonafede viene meno

Ancora un ‘capitolo’ di aggiornamento sul fronte degli annunci relativi a prestazioni sessuali a pagamento. A finire sotto accusa, in questo caso, una agenzia pubblicitaria, per un presunto favoreggiamento della prostituzione a salvare legale rappresentante e direttore della filiale, però, è la buona fede. Fino a prova contraria, difatti, prevale la presunzione che gli annunci siano finalizzati – chiarisce la Cassazione, con sentenza numero 11916, sezione Terza Penale, depositata oggi – a favorire incontri di natura sessuale, sì, ma senza lucro Pane quotidiano. Fonte di lavoro, senza dubbio, la preparazione di annunci a pagamento per un quotidiano a carattere semi-regionale e con una buona diffusione, e difatti l’agenzia pubblicitaria vi dedica tempo e attenzione. Ma il contenuto, a carattere sessuale, comporta accuse gravi per il rappresentante legale dell’agenzia e per il direttore della locale filiale a loro viene attribuito il reato di favoreggiamento della prostituzione. Perché gli annunci, predisposti per il quotidiano, vengono ritenuti «finalizzati all’attività di meretricio». Inconsapevolezza. Ma, a sorpresa, il giudice dell’udienza preliminare azzera tutta la vicenda «il fatto non costituisce reato». Per quale motivo? Perché non vi era «consapevolezza certa» della «esistenza di compensi per le prestazioni sessuali» offerte attraverso gli annunci. A sostegno di questa tesi, poi, il giudice ricorda che «il contenuto delle inserzioni», a evidente carattere erotico ma «prive di qualsiasi riferimento ad aspetti economici», poteva anche far pensare «ad annunci finalizzati ad incontri privi di finalità di lucro». Anche se, va sottolineato, per periodi successivi e per ulteriori annunci a carattere erotico, in occasione dell’intervento dell’autorità giudiziaria, la presunzione della buonafede era venuta meno Fatti chiari. Ma proprio quest’ultimo passaggio rappresenta l’appiglio per il Procuratore della Repubblica, che contesta la pronuncia del giudice dell’udienza preliminare e presenta ricorso in Cassazione, richiamando quelle che, a suo avviso, sono contraddizioni evidenti. Per la precisione, nella pronuncia contestata si dà atto, da un lato, della «esistenza di accertamenti e di sequestri presso l’agenzia» per la «natura illecita degli annunci a pagamento aventi contenuto a sfondo sessuale», ma, dall’altro, si ritiene acclarata la consapevolezza degli esponenti dell’agenzia solo caso per caso, frammentando il ‘caso’ a seconda dei diversi annunci. Ragionamento possibile? Alla domanda del Procuratore della Repubblica rispondono, positivamente, i giudici della Cassazione, per i quali è legittimo distinguere le diverse «fattispecie storiche» e valutare, di conseguenza, «l’esistenza dell’elemento soggettivo del reato». Ciò comporta l’accettabilità dell’ipotesi della buonafede dell’agenzia in occasione della preparazione dei primi annunci a pagamento ecco perché il ricorso del Procuratore è da rigettare, confermando la ‘salvezza’ per rappresentante legale e direttore di filiale dell’agenzia.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 19 gennaio – 29 marzo 2012, numero 11916 Presidente Teresi – Relatore Marini Rileva Con sentenza in data 29 Novembre 2010, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Trieste ha disposto non doversi procedere nei confronti degli odierni ricorrenti “perché il fatto non costituisce reato” in ordine ai fatti contestati ex articolo 3 e 4 della legge 20 gennaio 1958, numero 75. La Sig.ra M., quale legale rappresentante dell’agenzia pubblicitaria “Manzoni”, e il Sig. C., quale direttore-presposto alla filiale triestina della medesima agenzia, erano accusati di avere agevolato e favorito la prostituzione di numerose persone mediante la pubblicazione di annunci economici a pagamento, finalizzati all’attività d i meretricio, sul quotidiano “Il Piccolo”. Il Giudice ha ritenuto, ricondotta la fattispecie a quella prevista dall’articolo 3, numero 5 della legge citata, che si sia in presenza di un evidenze difetto dell’elemento soggettivo del reato. Si legge in motivazione che risulta dagli atti evidente la materialità del fatto, e cioè la natura erotica delle prestazioni offerte a mezzo degli annunci pubblicitari e l’esistenza di richieste di compensi in denaro per tali prestazioni altrettanto evidente, invece. l’assenza di consapevolezza certa in capo agli imputati dell’esistenza di compensi per le prestazioni sessuali. L’accertamento dell’esistenza di una richiesta di denaro a fronte delle prestazioni pubblicizzate è stato, infatti, possibile soltanto in sede di indagine e grazie all’attività svolta dalla polizia giudiziaria, mentre il contenuto delle inserzioni, prive di qualsiasi riferimento ad aspetti economici. poteva far pensare anche ad annunci Finalizzati ad incontri privi di finalità di lucro. A diverse conclusioni, prosegue la motivazione, si è giunti con riferimento ad altri episodi, per i quali è stato disposto procedersi separatamente, nei quali le inserzioni pubblicitarie sono proseguite cori riferimento ad annunci richiesti da persone per la, quali l’autorità giudiziaria aveva avviato indagini e disposto attività di sequestro che, ormai note arali indagati, fanno venire meno l’ipotesi di buona fede. Avverso tale decisione propone ricorso il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trieste, censurando la manifesta illogicità della motivazione. Afferma il ricorrente che la stessa sentenza impugnata dà atto dell’esistenza di accertamenti ripetuti e di sequestri effettuati dagli organi inquirenti presso l’agenzia Manzoni aventi ad oggetto la ritenuta natura illecita degli annunci a pagamento aventi contenuto a sfondo sessuale appare, dunque, illogico affermare che difettasse in capo ai responsabili dell’agenzia la consapevolezza generalizzata che quella tipologia di annunci veniva considerata dalla magistratura prodromica a condotte di prostituzione e risultava agevolata dagli annunci delle inserzioni ed altrettanto illogico frammentare la valutazione del fatto esaminando i singoli annunci fino ad escludere che la detta consapevolezza difettasse nei casi in cui l’autorità giudiziaria non era ancora intervenuta. Osserva Il contenuto del ricorso esula dalla sfera di attribuzione di questa Corte e propone censure che risultano manifestamente infondate. La decisione del Giudice dell’udienza preliminare giunge all’esito di un percorso argomentativo che distingue le fattispecie storiche per le quali ritiene sostenibile l’ipotesi di esistenza dell’elemento soggettivo del reati da quelle che, invece, sulla base dei fatti non si rinvengono elementi sufficienti a fondare un’accusa in grado di reggere al vaglio dibattimentale. Si è in presenza di una valutazione ancorata a dati fattuali, in sé non contestati dal ricorrente, che la Corte giudica non manifestamente illogica. Oltre a ciò deve rilevarsi che il ricorso prospetta una diversa valutazione dei fatti, rea non provvede a indicare quali elementi specifici sorreggono la valutazione proposta e quale sia in concreto la rilevanza di tali elementi, con la conseguenza che si versa in ipotesi di genericità del ricorso ai sensi degli articolo 581, lett. c e 591, lett. c c.p.p. Infine, come accennato in premessa, il ricorso sollecita la Corte a formulare una diversa lettura degli elementi probatori. Per quanto rubricata come vizio di logicità della motivazione, tale richiesta sottende un giudizio che è precluso al giudice di legittimità, La giurisprudenza è, infatti, costante nell’affermare che il controllo demandato alla Corte di cassazione non ha “la pienezza del riesame di merito” che è propria del controllo operato dalle corti di appello, e che ben si comprende come il nuovo testo dell’articolo 606, lett. e c.p.p., come modificato dall’articolo 8, comma primo, lett. b della legge 20 febbraio 2006, numero 46, non autorizzi affatto il ricorrente a fondare la richiesta di annullamento della decisione di merito sulla istanza di una nuova ricostruzione della vicenda oggetto di giudizio. In conclusione, coane precisato dalla sentenza della Sezione Sesta Penale, numero 22256 del 2006, Bosco, rv 234148, resta “preclusa al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione dei nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti”. Sulla base delle considerazioni fin qui svolte il ricorsa deve essere dichiarato inammissibile P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso del Pubblico Ministro.