La domanda di risarcimento dei danni subiti dal debitore per l’illegittima iscrizione del fermo amministrativo previsto dall’articolo 86 d.P.R. numero 602/1973 può essere avanzata ai sensi dell’articolo 96, comma 2, c.p.c.?
Il caso. A seguito di un fermo amministrativo di un veicolo, il Tribunale adito dalla debitrice dichiarava la nullità del provvedimento emesso ai sensi dell’articolo 86 d.p.r. numero 602/1973 e condannava l’agente di riscossione dei tributi al risarcimento dei danni non patrimoniali – liquidati in via equitativa – e al pagamento delle spese di lite. In appello la Corte rigettava il gravame e confermava la condanna dell’agente di riscossione al pagamento dei danni qualificati però come dovuti ai sensi dell’articolo 96, comma 3, c.p.c Il soccombente ricorreva allora in Cassazione. Domanda di risarcimento dei danni subiti dal debitore per l’illegittima iscrizione del fermo amministrativo? La domanda di risarcimento dei danni subiti dal debitore per l’illegittima iscrizione del fermo amministrativo previsto dall’articolo 86 d.p.r. numero 602/1973 può essere avanzata ai sensi dell’articolo 96, comma 2, c.p.c. e presuppone perciò l’istanza di parte, nonché l’accertamento dell’inesistenza del diritto per cui è stato eseguito il provvedimento di fermo e della mancanza della normale prudenza in capo all’Agente della riscossione. Non sono risarcibili comunque i danni consistenti in meri disagi, fastidi, disappunti, ansie e ogni altra espressione di insoddisfazione, costituenti conseguenze non gravi ed insuscettibili di essere monetizzate perché bagatellari. La condanna al pagamento della somma equitativamente determinata, ai sensi del comma 3 dell’articolo 96 c.p.c., aggiunto dalla legge 18 giugno 2009, numero 69, presuppone invece l’accertamento della mala fede o colpa grave e, pur potendo essere pronunciata d’ufficio anche dal giudice d’appello, va da questi riferita alla condotta processuale tenuta dalla parte soccombente nel grado di giudizio in questione. Con il primo motivo di ricorso, l’agente di riscossione dei tributi sostiene che la causa introdotta dalla debitrice con la contestazione del fermo amministrativo avrebbe dovuto essere qualificata come opposizione ex articolo 615 c.p.c Il ricorrente osserva al riguardo che il Tribunale aveva trattato la controversia non rispettando le modalità previste per le opposizioni all’esecuzione, in particolare l’articolo 616 c.p.c Il motivo è giudicato infondato dalla Suprema Corte sulla base del precedente analogo deciso dalle Sezioni Unite con l’ordinanza 22 luglio 2015, numero 15354. In quell’occasione infatti gli Ermellini, risolvendo un contrasto all’interno delle Sezioni semplici, hanno precisato che il fermo amministrativo non è un atto di espropriazione forzata, bensì è un provvedimento legato a una procedura alternativa, meramente afflittiva, volta ad indurre il debitore all’adempimento. L’azione giudiziale con la quale si contesta la misura deve allora essere qualificata come un’azione di accertamento negativo della pretesa del creditore ed è retta dalle regole generali del rito ordinario di cognizione. Risultava quindi inapplicabile il regime processuale dettato dagli articolo 615 c.p.c. e 616 c.p.c. e pertanto il Tribunale non era incorso in alcun error in procedendo . Con il secondo motivo il ricorrente lamenta che la Corte d’Appello, confermando la condanna al risarcimento danni, ha giustificato tale statuizione ai sensi dell’articolo 96, comma 3, c.p.c In particolare la Corte territoriale ha ritenuto che la decisione del Tribunale in primo grado fosse stata disposta ai sensi dell’articolo 96, comma 3, c.p.c. e impropriamente qualificata dal giudice di prime cure come “risarcimento del danno”. Secondo il ricorrente la Corte d’Appello non avrebbe potuto riqualificare la domanda della debitrice, ma avrebbe dovuto solo valutare se vi erano i presupposti per la liquidazione equitativa del danno. In effetti sul punto la censura centra il bersaglio e la Corte accoglie il motivo di ricorso. Il terzo comma dell’articolo 96 c.p.c. è stato aggiunto con la legge 69/2009 e stabilisce «In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata». Le particolarità di tale sanzione sono così riassumibili 1 il Giudice può condannare la parte soccombente al pagamento anche d’ufficio, senza necessità di istanza di parte 2 La quantificazione del danno è rimessa alla valutazione equitativa del Giudice 3 In ordine all’elemento soggettivo si è ritenuto che la soccombenza deve essere specificamente connotata dai tratti del dolo o della colpa grave, mentre la liquidazione del danno è svincolata dalla necessità della prova del nocumento subito. Riqualificazione operata dalla Corte d’Appello. Nel caso di specie, gli Ermellini osservano che in più parti della sentenza di primo grado il Tribunale affermava di voler liquidare equitativamente i danni patiti dalla signora, mentre nessun cenno veniva fatto all’articolo 96 c.p.c La stessa danneggiata del resto aveva lasciato aperte entrambe le vie chiedendo proprio la condanna dell’agente di riscossione al risarcimento ex articolo 96 c.p.c. e/o ex articolo 2043 c.c La riqualificazione operata dalla Corte d’Appello non traeva quindi alcuna giustificazione dalla sentenza impugnata. Sotto altro profilo l’errore dei giudici di secondo grado era legato al fatto che l’articolo 96, comma 3, c.p.c., come anticipato sopra, è una sanzione processuale che prescinde dalla domanda di parte e dalla dimostrazione del danno. Nella sentenza di primo grado però il Tribunale non ha affermato di esercitare alcun potere officioso e ha anzi precisato di voler liquidare i danni patrimoniali ed extrapatrimoniali patiti effettivamente dalla debitrice. Dal testo della sentenza di appello inoltre si legge che la Corte riteneva di poter prescindere dall’elemento soggettivo della condotta dell’agente della riscossione, mentre l’articolo 96, comma III c.p.c. prevede proprio la “mala fede” o la “colpa grave”. Infine la decisione di secondo grado è errata perché mette sullo stesso piano sia la condotta di imposizione del fermo amministrativo, sia la condotta processuale dell’agente di riscossione. Spiegano gli Ermellini che essendo il fermo amministrativo una misura cautelare, il risarcimento dei danni provocati dalla sua imposizione sussiste solo se viene riconosciuta l’«inesistenza del diritto per cui è stato eseguito». La norma di riferimento è allora evidentemente l’articolo 96, comma 2, c.p.c. che prevede il risarcimento dei danni, su specifica istanza di parte in questo caso, ove risulti che il creditore abbia agito senza la normale prudenza. Il requisito soggettivo sufficiente è quindi in tale ipotesi la mera colpa. Al contrario, l’articolo 96, comma 3, c.p.c. sanziona proprio e solo il comportamento processuale della parte che insiste in iniziative giudiziarie pur consapevole della loro manifesta infondatezza e inconsistenza giuridica cioè come detto agendo in “mala fede” o con “colpa grave” . Pertanto se la Corte d’Appello avesse voluto procedere ad una condanna ex articolo 96, comma 3, c.p.c. – non essendo stata in realtà mai disposta dal Tribunale per le ragioni esposte – avrebbe dovuto valutare la condotta processuale specificamente tenuta dall’agente della riscossione nel giudizio di secondo grado, senza confondere il diverso piano del provvedimento di fermo amministrativo. Osserva infatti la Cassazione che anche in appello i giudici possono d’ufficio decidere ex articolo 96, comma 3, c.p.c. ove ravvisino nel giudizio di secondo grado i presupposti dettati dalla norma così Cassazione numero 24546/2014 e Cassazione numero 1115/2016 . Per tali ragioni la sentenza impugnata viene cassata dalla Suprema Corte con rinvio alla Corte d’appello in diversa composizione affinché si attenga ai principi sopra brevemente indicati.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 8 marzo – 16 giugno 2016, numero 12413 Presidente Amendola – Relatore Barreca Svolgimento del processo 1.- Il Tribunale di Taranto - sezione distaccata di Manduria, accogliendo le domande di G.M. nei confronti di SO.G.E.T. S.p.A. - Società Gestione Entrate e Tributi, dichiarava la nullità dell’iscrizione di fermo di autoveicolo effettuata ai sensi dell’articolo 86 del D.P.R. numero 602 del 1973 peraltro, già cancellata nelle more, in sede di autotutela e condannava la SO.G.E.T. S.p.A. al pagamento della somma di Euro 3.950,00, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, ed al pagamento delle spese di lite, liquidate nell’importo complessivo di 1.600,00 oltre accessori come per legge. 2.- Proposto appello da parte di SO.G.E.T. S.p.A., la Corte d’Appello di Lecce - sezione distaccata di Taranto, con sentenza pubblicata in data 8 aprile 2014, ha rigettato il gravame, confermando, in particolare, la condanna dell’appellante al pagamento della somma di Euro 3.950,00, che ha reputato dovuta ai sensi dell’articolo 96, comma terzo, cod. proc. civ. Ha condannato l’appellante al pagamento delle spese del grado, liquidate nell’importo di Euro 930,00, oltre accessori come per legge. 3.- Contro la sentenza SO.G.E.T. S.p.A. - Società Gestione Entrate e Tributi propone ricorso affidato a due motivi, illustrati da memoria. L’intimata non svolge attività difensiva. Motivi della decisione 4.- Col primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli articolo 183, 615, 618 cod. proc. civ., articolo 24 e 25 Cost., articolo 186 bis disp. att. cod. proc. civ. perché il processo sarebbe stato introdotto ai sensi dell’articolo 615, comma secondo, cod. proc. civ. e quindi il primo giudice avrebbe dovuto decidere sul provvedimento di sospensione e poi fissare il termine per l’inizio del giudizio di merito, mentre ha trattenuto la causa e deciso con la sentenza appellata. La ricorrente assume che, dato ciò e denunciato col primo motivo di appello l’ error in procedendo in cui sarebbe incorso il Tribunale per non avere provveduto secondo quanto disposto dall’articolo 616 cod. proc. civ., la Corte d’Appello avrebbe errato perché, pur riconoscendo l’errore del primo giudice, ha, a sua volta, trattenuto la causa, senza rimettere le parti davanti al Tribunale. 4.1.- Il motivo è infondato. Risulta dagli atti che, per il credito relativo ad una sanzione amministrativa per violazioni al codice della strada, l’Agente della riscossione del comune di Sava, dopo aver notificato una cartella esattoriale, eseguì l’iscrizione del fermo amministrativo su autoveicolo che la G. notificò atto di citazione, lamentando l’illegittimità del fermo amministrativo, perché frattanto la cartella esattoriale era stata annullata con sentenza del Giudice di Pace di Manduria numero 331/09 e perché vi era sproporzione tra il valore della somma iscritta a ruolo ed il valore dell’autovettura e chiedendo il risarcimento del danno che SO.G.E.T. S.p.A., nel costituirsi in giudizio, dedusse che l’iscrizione del fermo era già stata autonomamente cancellata, a seguito dell’annullamento della cartella esattoriale, e chiese che perciò fosse dichiarata cessata la materia del contendere sulla richiesta di annullamento del fermo e che fosse rigettata la domanda risarcitoria . Fatto salvo quanto si dirà a proposito di quest’ultima domanda, non vi è dubbio che il Tribunale sia stato adito e si sia pronunciato in merito al provvedimento di iscrizione di fermo amministrativo. 4.2.- Orbene, sulla natura del provvedimento disciplinato dall’articolo 86 del D.P.R. 29 settembre 1973 numero 602 cui d’ora in poi dovrà intendersi fatto ogni riferimento a proposito del fermo , le decisioni sia delle sezioni semplici che delle sezioni unite di questa Corte, nel corso del tempo, non sono state univoche. Di recente, le sezioni unite si sono pronunciate in merito alla natura del fermo e, conseguentemente, in merito ai rimedi esperibili da parte del destinatario che intenda contestarne l’iscrizione, con riferimento al fermo iscritto per pretese creditorie diverse da quelle tributarie essendo quelle tributarie riservate, cognizione delle Commissioni Tributarie , per le quali si procede alla riscossione coattiva mediante ruolo, ai sensi degli articolo 17 e segg. del decreto legislativo 26 febbraio 1999 numero 46. Le sezioni unite, con l’ordinanza 22 luglio 2015 numero 15354, hanno affermato il principio di diritto che risulta dalla seguente massima ufficiale “ il fermo amministrativo di beni mobili registrati ha natura non già di atto di espropriazione forzata, ma di procedura a questa alternativa, trattandosi di misura puramente afflittiva volta ad indurre il debitore all’adempimento, sicché la sua impugnativa, sostanziandosi in un’azione di accertamento negativo della pretesa creditoria, segue le regole generali del rito ordinario di cognizione in tema di riparto della competenza per materia e per valore ”. La conclusione raggiunta dalle sezioni unite è quella per la quale il fermo è estraneo all’espropriazione forzata, in quanto atto di una procedura alternativa a quest’ultima, definito “misura puramente afflittiva”. L’ordinanza numero 15354/2015 si occupa della questione consequenziale all’individuazione della natura del fermo amministrativo, riguardante il rimedio esperibile dal destinatario che intenda contestare la legittimità dell’iscrizione fatta ai suoi danni. Si legge nella motivazione che il fermo di beni mobili registrati deve ritenersi impugnabile secondo le regole del rito ordinario di cognizione e nel rispetto delle norme generali in tema di riparto di competenza per materia e per valore, configurandosi, la corrispondente iniziativa giudiziaria, come un’azione di accertamento negativo della pretesa dell’esattore di eseguire il fermo ”. Va perciò escluso che sia qualificabile come opposizione all’esecuzione, ai sensi dell’articolo 615, comma primo o comma secondo, cod. proc. civ. la contestazione che il debitore faccia del diritto dell’agente della riscossione di iscrivere il fermo per questioni attinenti al diritto di credito facente capo all’ente impositore con la conseguenza che in tutti i casi in cui la parte attrice chieda la cancellazione dell’iscrizione del fermo ovvero, secondo altra terminologia, l’annullamento del provvedimento , l’iniziativa giudiziaria va qualificata come azione di accertamento negativo della pretesa dell’esattore di eseguire il fermo così anche Cass. numero 24234/15 . Dovendosi seguire il rito ordinario di cognizione anche quanto alle modalità introduttive della controversia, risulta inapplicabile il regime processuale dettato dagli articolo 615, comma secondo, e 616 cod. proc. civ. per giudizi di opposizione all’esecuzione, su cui è basato il primo motivo di ricorso. Questo va perciò rigettato. 5.- Col secondo motivo si deduce violazione dell’articolo 112 cod. proc. civ., error in procedendo ed omesso esame di specifico motivo di appello, nonché violazione e falsa applicazione degli articolo 1226, 2059, 2043 cod. civ. e 96 cod. proc. civ., in riferimento all’ illegittima condanna al risarcimento del danno non patrimoniale, liquidato in via equitativa, in assenza di qualsiasi allegazione e prova da parte del preteso danneggiato ”. La ricorrente premette che il giudice d’appello ha confermato la condanna inflitta già dal primo giudice che tuttavia la Corte ha affermato che il Tribunale avrebbe disposto la condanna ai sensi dell’articolo 96, comma terzo, cod. proc. civ. e che l’avrebbe impropriamente definita come risarcimento del danno ”. Lamenta che questa interpretazione è errata perché il Tribunale aveva invece riconosciuto il risarcimento dei danni, liquidandoli in via equitativa, e che, dato ciò, ed essendo stato proposto il gravame da parte della SO.G.E.T., la Corte d’Appello non avrebbe potuto riqualificare la domanda dell’opponente, ma si sarebbe dovuta limitare a verificare se vi fossero o meno elementi per addivenire alla liquidazione equitativa dei danni contestata dall’appellante . 5.1.- In effetti, la Corte d’Appello ha interpretato la sentenza di primo grado secondo quanto riportato in ricorso. Inoltre, ha esposto la propria interpretazione del terzo comma dell’articolo 96 cod. proc. civ., ritenendo che la condanna prevista da questa norma non sia necessariamente correlata ai presupposti dei primi due comma e sostenendone l’applicabilità nel caso di specie, in cui la soccombente avrebbe agito con colpa ”. L’azione dell’Agente della riscossione considerata dalla Corte sembra essere, per un verso, quella dell’iscrizione del fermo amministrativo - perché, ai fini della quantificazione della somma oggetto di condanna, il giudice d’appello fa riferimento sia alla qualità del responsabile che alla importanza della misura cautelare o esecutiva di cui si discute per altro verso, quella tenuta in sede processuale - perché, sempre ai fini del quantum, fa riferimento alla condotta processuale del soggetto responsabile, che nella specie ha, da una parte, provveduto a revocare il fermo, dall’altra ha proposto il presente appello avverso la condanna al pagamento accordata dal primo giudice che, considerati tutti gli aspetti della vicenda, appare ben liquidata ”. 6.- La sentenza non è conforme a diritto e va cassata per le ragioni di cui appresso. In primo luogo, è corretta la censura mossa dalla ricorrente circa la qualificazione della domanda risarcitoria così come è stata accolta dal Tribunale. Si legge, infatti, nel ricorso che con l’atto introduttivo del giudizio era stata avanzata dalla G. la domanda volta ad ottenere il risarcimento dei danni ex articolo 96 c.2 c.p.c. ed articolo 2043 , per l’esistenza di di danni patrimoniali e non da lei patiti a causa dell’illecito, vessatorio e persecutorio comportamento del concessionario convenuto e della palese illegittimità del fermo amministrativo, ex articolo 2043 c.c., stante l’illegittimità e l’ingiustizia del fatto che ha originato alla questione de qua . Il Tribunale ha riconosciuto l’esistenza di danni, risarcibili equitativamente, tanto è vero che, per quanto qui rileva, ha così disposto condanna la SO.G.E.T. S.p.A. al risarcimento del danno patrimoniale e non liquidato in via equitativa nella misura di Euro 3.950,00. Poiché nessun cenno è fatto al terzo comma dell’articolo 96 cod. proc. civ., e poiché il Tribunale ha ripetutamente affermato di voler liquidare equitativamente dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, sofferti dalla parte attrice, la pronuncia di primo grado è evidentemente correlata alla domanda risarcitoria avanzata da quest’ultima, come sopra testualmente riportata. Questa era fondata sul secondo comma dell’articolo 96 cod. proc. civ. e/o sull’articolo 2043 cod. civ 6.1.- L’errore interpretativo del giudice d’appello, denunciato dalla ricorrente, si coglie, oltre che per quanto appena detto, anche in ragione delle seguenti considerazioni - l’articolo 96, comma terzo, cod. proc. civ. prevede una sanzione processuale che prescinde del tutto dall’esistenza di danni risarcibili. Pertanto, quando il Tribunale ha affermato di voler liquidare danni patrimoniali e non patrimoniali, non ha basato la decisione su questa norma - l’articolo 96, comma terzo, cod. proc. civ. prescinde dall’istanza di parte, consentendo la condanna d’ufficio. Il Tribunale non ha affatto affermato di voler esercitare il potere officioso riconosciutogli dalla norma, ma si è riferito, come detto, alla domanda della parte attrice. 6.2.- Ancora, il giudice d’appello ha sbagliato in diritto quando ha ritenuto che si possa prescindere dalla mala fede e dalla colpa grave e che l’articolo 96, comma terzo, cod. proc. civ. possa trovare applicazione in tutti i casi in cui tale condanna, anche al di fuori dei primi due commi, appaia ragionevole , compresi i casi in cui la condotta della parte soccombente sia caratterizzata da colpa semplice ovvero laddove una parte abbia agito o resistito senza la normale prudenza . Così decidendo, il giudice ha disatteso l’orientamento di questa Corte espresso già con l’ordinanza numero 21570 del 30 novembre 2012, secondo cui La condanna al pagamento della somma equitativamente determinata, ai sensi del terzo comma dell’articolo 96 cod. proc. civ., aggiunto dalla legge 18 giugno 2009, numero 69, presuppone l’accertamento della mala fede o colpa grave della parte soccombente, non solo perché la relativa previsione è inserita nella disciplina della responsabilità aggravata, ma anche perché agire in giudizio per far valere una pretesa che si rivela infondata non è condotta di per sé rimproverabile ”. La necessaria ricorrenza dei presupposti della mala fede o della colpa grave è stata ritenuta altresì da Cass. S.U. numero 13899/13, nonché da Cass. numero 3003/14, numero 27534/14 e, da ultimo, ord. numero 3376/16. 6.3.- Infine, la sentenza è errata laddove la Corte d’appello ha accomunato, con la motivazione sopra richiamata, sia la condotta di imposizione del fermo amministrativo sia la condotta processuale dell’Agente della riscossione. L’errore di diritto consiste nella confusione dei presupposti e delle conseguenze applicative delle fattispecie disciplinate da ciascuno dei comma di cui è composto l’articolo 96 cod. proc. civ., che vanno invece tenute distinte. È corretta la qualificazione del fermo amministrativo come misura cautelare, anche alla stregua della natura riconosciutagli dalle Sezioni Unite con l’ordinanza numero 15354/15 su richiamata. Ne consegue, che per il risarcimento dei danni provocati dalla sua imposizione, è presupposto indefettibile che venga riconosciuta l’inesistenza del diritto per cui è stato eseguito il fermo e che l’Agente della riscossione concessionario dell’ente impositore, creditore procedente abbia agito senza la normale prudenza . La norma applicabile è quindi l’articolo 96, comma secondo, cod. proc. civ. che presuppone la domanda di parte. Il relativo risarcimento presuppone inoltre che il danneggiato dimostri l’esistenza di danni risarcibili, alla stregua dei principi generali della materia ribaditi di recente proprio con riguardo all’illegittimo fermo amministrativo, da Cass. ord. numero 2370/14, richiamata dalla ricorrente, secondo cui il danno non patrimoniale, pur lamentato per supposta lesione di diritti costituzionalmente protetti, non è meritevole di tutela risarcitoria quando inquadrabile nello sconvolgimento della quotidianità della vita, che si traduca in meri disagi, fastidi, disappunti, ansie e ogni altra espressione di insoddisfazione, costituenti conseguenze non gravi ed insuscettibili di essere monetizzate perché bagatellari ” . 6.4.- Il terzo comma dell’articolo 96 cod. proc. civ. è invece riferito alla condotta processuale della parte soccombente. La Corte d’appello ben avrebbe potuto d’ufficio sanzionare la parte ritenuta soccombente dinanzi a sé procedendo d’ufficio - ed autonomamente - alla condanna ai sensi del terzo comma dell’articolo 96, comma terzo, cod. proc. civ Questa Corte di legittimità ha già avuto modo di affermare infatti che nel giudizio di appello incorre in colpa grave, giustificando la condanna ai sensi dell’articolo 96, terzo comma, cod. proc. civ., la parte che abbia insistito colpevolmente in tesi giuridiche già reputate manifestamente infondate dal primo giudice ovvero in censure della sentenza impugnata la cui inconsistenza giuridica avrebbe potuto essere apprezzata dall’appellante in modo da evitare il gravame così Cass. numero 24546/14, nonché numero 1115/16 . Tuttavia, la pronuncia avrebbe dovuto essere giustificata appunto con riferimento alla condotta tenuta dalla SO.G.E.T. in grado d’appello, da valutarsi secondo i parametri della mala fede e della colpa grave, non certo secondo quello della mancanza della normale prudenza, riferibile alla distinta fattispecie del secondo comma. 7.- In conclusione, va affermato che la domanda al risarcimento dei danni subiti dal debitore per l’illegittima iscrizione del fermo amministrativo previsto dall’articolo 86 del d.P.R. numero 602 del 1973 può essere avanzata ai sensi dell’articolo 96, comma secondo, cod. proc. civ. e presuppone perciò l’istanza di parte, nonché l’accertamento dell’inesistenza del diritto per cui è stato eseguito il provvedimento di fermo e della mancanza della normale prudenza in capo all’Agente della riscossione. Non sono insoddisfazione, costituenti conseguenze non gravi ed insuscettibili di essere monetizzate perché bagatellari. 7.1.- Va inoltre ribadito che la condanna al pagamento della somma equitativamente determinata, ai sensi del terzo comma dell’articolo 96 cod. proc. civ., aggiunto dalla legge 18 giugno 2009, numero 69, presuppone l’accertamento della mala fede o colpa grave e, pur potendo essere pronunciata d’ufficio anche dal giudice d’appello, va da questi riferita alla condotta processuale tenuta dalla parte soccombente nel secondo grado di giudizio. 7.2.- Poiché la Corte d’Appello di Lecce - sezione distaccata di Taranto non si è attenuta ai principi di diritto sopra enunciati, il secondo motivo di ricorso è accolto e la sentenza è cassata sul punto. Le parti vanno rimesse alla Corte d’Appello di Lecce, in diversa composizione, perché si pronunci sul motivo di gravame concernente la condanna della SO.G.E.T. S.p.A. al risarcimento dei danni, inflitta dal Tribunale. Si rimette al giudice di rinvio la decisione sulle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte, rigettato il primo, accoglie il secondo motivo di ricorso cassa la sentenza impugnata per quanto di ragione e rinvia alla Corte d’Appello di Lecce, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.