Il ricorso deve essere autosufficiente, non dubitativo né ripetitivo. La Cassazione prende posizione contro quelle prassi processuali meramente dilatorie ed inconcludenti di legali e Procuratori.
Una spiacevole vicenda di truffa perpetrata da un sedicente mago nei confronti di una anziana signora attratta da talismani, pozioni magiche ed amuleti, ha costituito l’occasione per la Cassazione, Seconda Sezione Penale, numero 934/2014, depositata il 13 gennaio, per serrare le fila giurisprudenziali in punto di forme e modi dell’atto di ricorso per cassazione. Questa pronuncia detta alcune regole chiave giudizialmente elaborate avverso prassi dilatorie dei tempi processuali, finalizzate a giungere a declaratorie di estinzione del reato oppure ad incrementare la quantità delle attività difensive realizzate per conto dell’assistito. Il principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione. La regola pratica. I giudici di legittimità mutuano dalla Cassazione civile il noto principio elaborato in seno all’articolo 360, primo comma, numero 5 c.p.c. Pur non occorrendo la coincisa esposizione dei motivi a suo tempo proposti impugnando la decisione di primo grado, il ricorso per Cassazione deve essere atto completo degli elementi determinanti ed essenziali della materia devoluta al giudice d’appello, assieme alla moltitudine dei rilievi e delle critiche che l’impugnante aveva proposto avverso la decisione di primo grado. Ad esempio, se un atto processuale è stato travisato o la valutazione omessa, questo deve essere fedelmente riprodotto nel ricorso – mediante acquisizione al fascicolo in Cassazione o in copia durante il giudizio -, senza necessitare al giudice l’acquisizione in altre forme o mediante la richiesta di una percezione diretta dell’atto richiamato. La motivazione per relationem, quando è consentita. Ragioni di economia processuale consentono al giudice del gravame di potersi relazionare ai contenuti della sentenza impugnata, ad alcune condizioni. Si deve trattare di doppio conforme di affermazione della responsabilità penale – altrimenti il secondo giudice avrebbe la paradossale possibilità di estrarre da una sentenza liberatoria per l’imputato argomenti per la successiva sentenza di condanna, stralciando la consecuzione logica delle argomentazioni che sostengono il giudizio di responsabilità penale -. Inoltre, anche in caso di doppio conforme, occorre che non sussista una sostanziale diversità fra i motivi proposti dal ricorrente in primo ed in secondo grado, che impongano al secondo giudice una isolata ed ulteriore trattazione. La Cassazione alza dunque la guardia contro i pericoli di sentenze “collage”, elaborate traendo rapsodica fonte dalle risultanze maturate in gradi diversi, ignorando la specificità e la diversità dei motivi a sostegno delle argomentazioni difensive proposte in primo ed in secondo grado. un unicum inscindibile fra motivazioni distinte. Ago e filo anziché lembi di tessuto motivazionale. Possibile la motivazione per relationem purchè, precisa la giurisprudenza, il giudice dell’appello riproduca connessioni logiche e nessi causali - sul fatto di reato e sugli elementi costitutivi delle fattispecie contestate - già elaborate in primo grado, anziché meri fatti e circostanze o valutazioni isolatamente estrapolabili. Un ‘no’ al ricorso dubitativo. Inammissibile il ricorso che denunci i vizi della sentenza ex lege determinati dall’articolo 606, lett. e, c.p.p. – contradditorietà/mancanza/manifesta illogicità della motivazione - in formule dubitative o perplesse o alternative – utilizzando, ad esempio, l’espressione “e/o” -. Lo si deduce dall’articolo 581, primo comma, lett. c, c.p.p. e dalle “indicazioni specifiche” richieste per la correttezza di un atto per la riforma di un dispositivo giudiziale. Pur riconoscendo la parziale sovrapponibilità semantica dei vizi su enunciati, in sede di ricorso occorre proporre una specifica opzione, vincolando il giudice all’esame di quel particolare elemento logico interno alla motivazione – ritenuto in difetto dal ricorrente - della sentenza impugnata. Inammissibili anche le impugnazioni ripetitive. La Cassazione prende posizione nei confronti dei ricorsi meramente riproduttivi dei vizi della sentenza già lamentati in appello, anche laddove vengano poi aggiunte formule di stile meramente assertive di quei contenuti. Quando non si mostra di aver preso in considerazione le ulteriori determinazioni giudiziali a valle della decisione in appello, quei ricorsi non meritano approfondimento presso i giudici di legittimità, arrestandosi sulla soglia dell’inammissibilità.
Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 11 ottobre 2013 – 13 gennaio 2014, numero 934 Presidente Fiandanese – Relatore Beltrani Ritenuto in fatto 1. La Corte d'appello di Milano, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale della stessa città - sez. Rho, che in data 5 ottobre 2009 aveva dichiarato l'odierno ricorrente colpevole di truffa aggravata ex articolo 61 numero 7 c.p. in danno di B.A. fatti commessi in OMISSIS , con la recidiva reiterata infraquinquennale , condannandolo alla pena ritenuta di giustizia. 2. Avverso tale provvedimento, l'imputato con l'ausilio di un difensore iscritto nell'apposito albo speciale ha proposto ricorso per cassazione, deducendo il motivo di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'articolo 173, comma 1, disp. att. c.p.p. 1 - mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione lamenta che non si sarebbe tenuto conto che fu proprio la p.o. a contattare il mago cartomante prof. C. - nome d'arte dell'imputato - e non sarebbe stato dimostrato che l'imputato non avesse realmente fornito prestazioni magiche né se la sua condotta fosse stata o meno corretta secondo le arti magiche le somme percepite gli sarebbero state in realtà versate nell'ambito di un normale rapporto contrattuale . Ha concluso chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata. 3. All'odierna udienza pubblica, dopo il controllo della regolarità degli avvisi di rito, la parte presente ha concluso come da epigrafe, e questa Corte Suprema ha deciso come da dispositivo in atti, pubblicato mediante lettura in udienza. Considerato in diritto Il ricorso è, nel suo complesso, inammissibile perché generico e manifestamente infondato. 1. È necessario premettere, con riguardo ai limiti del sindacato di legittimità, delineati dall'articolo 606, comma 1, lettera e , c.p.p., come vigente a seguito delle modifiche introdotte dalla L. numero 46 del 2006, che, a parere di questo collegio, la predetta novella non ha comportato la possibilità, per il giudice della legittimità, di effettuare un'indagine sul discorso giustificativo della decisione finalizzata a sovrapporre una propria valutazione a quella già effettuata dai giudici di merito, dovendo il giudice della legittimità limitarsi a verificare l'adeguatezza delle considerazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sottolineare il suo convincimento. La mancata rispondenza di queste ultime alle acquisizioni processuali può, soltanto ora, essere dedotta quale motivo di ricorso qualora comporti il c.d. travisamento della prova, purché siano indicate in maniera specifica ed inequivoca le prove che si pretende essere state travisate, nelle forme di volta in volta adeguate alla natura degli atti in considerazione, in modo da rendere possibile la loro lettura senza alcuna necessità di ricerca da parte della Corte, e non ne sia effettuata una monca individuazione od un esame parcellizzato. 1.1. L'illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, poi, deve risultare di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento senza vizi giuridici in tal senso, conservano validità, e meritano di essere tuttora condivise, Cass. penumero , Sez. unumero , numero 24 del 24 novembre 1999, Spina, rv. 214794 Sez. unumero , numero 12 del 31 maggio 2000 numero 12, Jakani, rv. 216260 Sez. unumero , numero 47289 del 24 settembre 2003, Petrella, rv. 226074 . A tal riguardo, devono tuttora escludersi la possibilità di “ un'analisi orientata ad esaminare in modo separato ed atomistico i singoli atti, nonché i motivi di ricorso su di essi imperniati ed a fornire risposte circoscritte ai diversi atti ed ai motivi ad essi relativi ” Cass. penumero , sez. 6, numero 14624 del 20 marzo 2006, Vecchio, rv. 233621 conforme, sez. 2, numero 18163 del 22 aprile 2008, Ferdico, rv. 239789 , e la possibilità per il giudice di legittimità di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti Cass. penumero , sez. 6, numero 27429 del 4 luglio 2006, Lobriglio, rv. 234559 sez. 6, numero 25255 del 14 febbraio 2012, Minervini, rv. 253099 . 1.2. Il ricorso che, in applicazione della nuova formulazione dell'articolo 606, comma 1, lett. e , c.p.p. intenda far valere il vizio di “travisamento della prova” consistente nell'utilizzazione di un'informazione inesistente o nell'omissione della valutazione di una prova, accomunate dalla necessità che il dato probatorio, travisato od omesso, abbia il carattere della decisività nell'ambito dell'apparato motivazionale sottoposto a critica deve, inoltre, a pena di inammissibilità Cass. penumero , sez. 1, numero 20344 del 18 maggio 2006, Salaj, rv. 234115 sez. 6, numero 45036 del 2 dicembre 2010, Damiano, rv. 249035 a identificare specificamente l'atto processuale sul quale fonda la doglianza b individuare l'elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta asseritamente incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza impugnata c dare la prova della verità dell'elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonché dell'effettiva esistenza dell'atto processuale su cui tale prova si fonda tra i materiali probatori ritualmente acquisiti nel fascicolo del dibattimento d indicare le ragioni per cui l'atto invocato asseritamente inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l'intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale incompatibilità all'interno dell'impianto argomentativo del provvedimento impugnato. 1.2.1. In proposito, può ritenersi ormai consolidato, nella giurisprudenza di legittimità, il principio della c.d. autosufficienza del ricorso , inizialmente elaborato dalle Sezioni civili di questa Corte Suprema. Valorizzando dapprima la formulazione dell’articolo 360, comma 1, numero 5, c.p.c. a norma del quale le sentenze pronunziate in grado d'appello o in unico grado possono essere impugnate con ricorso per Cassazione “ 5 per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio ” la disposizione stabilisce attualmente, all'esito delle modifiche apportate dall'articolo 54 d.l. numero 83 del 2012, convertito in L. numero 134 del 2012, che le sentenze pronunciate in grado d'appello o in unico grado possono essere impugnate con ricorso per cassazione “ 5 per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ” , ed attualmente la formulazione introdotta dal D. Lgs. numero 40 del 2006 dell'articolo 366, comma 1, numero 6, c.p.c. a norma del quale il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità “ 6 la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda ” , si è osservato che il ricorso per cassazione deve ritenersi ammissibile in generale, in relazione al principio dell'autosufficienza che lo connota, quando da esso, pur mancando l'esposizione dei motivi del gravame che era stato proposto contro la decisione del giudice di primo grado, non risulti impedito di avere adeguata contezza, senza necessità di utilizzare atti diversi dal ricorso, della materia che era stata devoluta al giudice di appello e delle ragioni che i ricorrenti avevano inteso far valere in quella sede, essendo esse univocamente desumibili sia da quanto nel ricorso stesso viene riferito circa il contenuto della sentenza impugnata, sia dalle critiche che ad essa vengono rivolte Cass. civ. sez. 2, 2 dicembre 2005, numero 26234, rv. 585217 sez. lav., 17 agosto 2012, numero 14561, rv. 623618 . Tenuto conto dei principi e delle finalità complessivamente sottesi al giudizio di legittimità, si è ritenuto che “la teoria dell'autosufficienza del ricorso elaborata in sede civile debba essere recepita e applicata anche in sede penale con la conseguenza che, quando la doglianza abbia riguardo a specifici atti processuali, la cui compiuta valutazione si assume essere stata omessa o travisata, è onere del ricorrente suffragare la validità del suo assunto mediante la completa trascrizione dell'integrale contenuto degli atti specificamente indicati ovviamente nei limiti di quanto era stato già dedotto in precedenza , posto che anche in sede penale - in virtù del principio di autosufficienza del ricorso come sopra formulato e richiamato - deve ritenersi precluso a questa Corte l'esame diretto degli atti del processo, a meno che il fumus del vizio dedotto non emerga all'evidenza dalla stessa articolazione del ricorso” Cass. penumero , sez. 1, 18 marzo - 22 aprile 2008, numero 16706, rv. 240123 sez. 1, 22 gennaio -12 febbraio 2009, numero 6112, rv. 243225 sez. 5, 22 gennaio - 26 marzo 2010, numero 11910, rv. 246552, per la quale è inammissibile il ricorso per cassazione che deduca il vizio di manifesta illogicità della motivazione e, pur richiamando atti specificamente indicati, non contenga la loro integrale trascrizione o allegazione e non ne illustri adeguatamente il contenuto, così da rendere lo stesso autosufficiente con riferimento alle relative doglianze sez. 6, 8-26 luglio 2010, numero 29263, rv. 248192, per la quale il ricorso per cassazione che denuncia il vizio di motivazione deve contenere, a pena di inammissibilità e in forza del principio di autosufficienza, le argomentazioni logiche e giuridiche sottese alle censure rivolte alla valutazione degli elementi probatori, e non può limitarsi a invitare la Corte alla lettura degli atti indicati, il cui esame diretto è alla stessa precluso sez. 2, 20 marzo - 27 giugno 2012, numero 25315, rv. 253073, per la quale in tema di ricorso per cassazione, è onere del ricorrente, che lamenti l'omessa o travisata valutazione dei risultati delle intercettazioni effettuate, indicare l'atto asseritamene affetto dal vizio denunciato, curando che esso sia effettivamente acquisito al fascicolo trasmesso al giudice di legittimità o anche provvedendo a produrlo in copia nel giudizio di cassazione . 1.3. Il giudice di legittimità ha, ai sensi del novellato articolo 606 c.p.p., il compito di accertare Cass. penumero , sez. 6, numero 35964 del 28 settembre 2006, Foschini ed altro, rv. 234622 sez. 3, numero 39729 del 18 giugno 2009, Belloccia ed altro, rv. 244623 sez. 5, numero 39048 del 25 settembre 2007, Casavola ed altri, rv. 238215 sez. 2, numero 18163 del 22 aprile 2008, Ferdico, rv. 239789 a il contenuto del ricorso che deve contenere gli elementi sopra individuati b la decisività del materiale probatorio richiamato che deve essere tale da disarticolare l'intero ragionamento del giudicante o da determinare almeno una complessiva incongruità della motivazione c l'esistenza di una radicale incompatibilità con l’iter motivazionale seguito dal giudice di merito e non di un semplice contrasto non essendo il giudice di legittimità obbligato a prendere visione degli atti processuali anche se specificamente indicati, ove non risulti detto requisito d la sussistenza di una prova omessa o inventata, e del c.d. “travisamento del fatto”, ma solo qualora la difformità della realtà storica sia evidente, manifesta, apprezzabile ictu oculi ed assuma anche carattere decisivo in una valutazione globale di tutti gli elementi probatori esaminati dal giudice di merito il cui giudizio valutativo non è sindacabile in sede di legittimità se non manifestamente illogico e, quindi, anche contraddittorio . 1.4. Anche il giudice d'appello non è tenuto a rispondere a tutte le argomentazioni svolte nell'impugnazione, giacché le stesse possono essere disattese per implicito o per aver seguito un differente iter motivazionale o per evidente incompatibilità con la ricostruzione effettuata per tutte, Cass. penumero , sez. 6, numero 1307 del 26 settembre 2002, dep. 14 gennaio 2003, Delvai, rv. 223061 . 1.4.1. In presenza di una doppia conforme affermazione di responsabilità, va, peraltro, ritenuta l'ammissibilità della motivazione della sentenza d'appello per relationem a quella della decisione impugnata, sempre che le censure formulate contro la sentenza di primo grado non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi, in quanto il giudice di appello, nell'effettuazione del controllo della fondatezza degli elementi su cui si regge la sentenza impugnata, non è tenuto a riesaminare questioni sommariamente riferite dall'appellante nei motivi di gravame, sulle quali si sia soffermato il primo giudice, con argomentazioni ritenute esatte e prive di vizi logici, non specificamente e criticamente censurate. In tal caso, infatti, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i giudici dell'appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, sicché le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano una sola entità Cass. penumero , sez. 2, numero 1309 del 22 novembre 1993, dep. 4 febbraio 1994, Albergamo ed altri, rv. 197250 sez. 3, numero 13926 del 1 dicembre 2011, dep. 12 aprile 2012, Valerio, rv. 252615 . 1.5. Per quel che concerne il significato da attribuire alla locuzione “oltre ogni ragionevole dubbio”, presente nel testo novellato dell'articolo 533 c.p.p. quale parametro cui conformare la valutazione inerente all'affermazione di responsabilità dell'imputato, è opportuno evidenziare che, al di là dell'icastica espressione, mutuata dal diritto anglosassone, ne costituiscono fondamento il principio costituzionale della presunzione di innocenza e la cultura della prova e della sua valutazione, di cui è permeato il nostro sistema processuale. Si è, in proposito, esattamente osservato che detta espressione ha una funzione meramente descrittiva più che sostanziale, giacché, in precedenza, il “ragionevole dubbio” sulla colpevolezza dell'imputato ne comportava pur sempre il proscioglimento a norma dell'articolo 530, comma 2, c.p.p., sicché non si è in presenza di un diverso e più rigoroso criterio di valutazione della prova rispetto a quello precedentemente adottato dal codice di rito, ma è stato ribadito il principio, già in precedenza immanente nel nostro ordinamento costituzionale ed ordinario tanto da essere già stata adoperata dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema - per tutte, cfr. Cass. penumero , Sez. unumero , numero 30328 del 10 luglio 2002, Franzese, rv. 222139 -, e solo successivamente recepita nel testo novellato dell'articolo 533 c.p.p. , secondo cui la condanna è possibile soltanto quando vi sia la certezza processuale assoluta della responsabilità dell'imputato cfr. Cass. penumero , sez. 2, numero 19575 del 21 aprile 2006, Serino ed altro, rv. 233785 sez. 2, numero 16357 del 2 aprile 2008, Crisiglione, rv. 23979 sez. 2, numero 7035 del 9 novembre 2012, dep. 13 febbraio 2013, De Bartolomei ed altro, rv. 254025 . 1.6. La giurisprudenza di questa Corte Suprema è, inoltre, orientata nel senso dell'inammissibilità, per difetto di specificità, del ricorso presentato prospettando vizi di motivazione del provvedimento impugnato, i cui motivi siano enunciati in forma perplessa o alternativa Cass. penumero , sez. 6, numero 32227 del 16 luglio 2010, T., rv. 248037 nella fattispecie il ricorrente aveva lamentato la mancanza e/o insufficienza e/o illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari posti a fondamento di un'ordinanza applicativa di misura cautelare personale conforme, sez. 6, numero 800 del 6 dicembre 2011, dep. 12 gennaio 2012, Bidognetti ed altri, rv. 251528 . Invero, l'articolo 606, comma 1, lett. e , c.p.p. stabilisce che i provvedimenti sono ricorribili per “mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame” la disposizione, se letta in combinazione con l'articolo 581, comma 1, lett. c , c.p.p. a norma del quale è onere del ricorrente “enunciare i motivi del ricorso, con l'indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta” evidenzia che non può ritenersi consentita l'enunciazione perplessa ed alternativa dei motivi di ricorso, essendo onere del ricorrente di specificare con precisione se la deduzione di vizio di motivazione sia riferita alla mancanza, alla contraddittorietà od alla manifesta illogicità ovvero a una pluralità di tali vizi, che vanno indicati specificamente in relazione alle varie parti della motivazione censurata. Il principio è stato più recentemente accolto anche da questa sezione, a parere della quale “ È inammissibile, per difetto di specificità, il ricorso nel quale siano prospettati vizi di motivazione del provvedimento impugnato, i cui motivi siano enunciati in forma perplessa o alternativa, essendo onere del ricorrente specificare con precisione se le censure siano riferite alla mancanza, alla contraddittorietà od alla manifesta illogicità ovvero a più di uno tra tali vizi, che vanno indicati specificamente in relazione alle parti della motivazione oggetto di gravame ” Sez. 2, numero 31811 dell'8 maggio 2012, Sardo ed altro, rv. 254329 . Per tali ragioni la censura alternativa ed indifferenziata di mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione risulta priva della necessaria specificità, il che rende il ricorso inammissibile. 1.7. Infine, secondo altro consolidato orientamento di questa Corte Suprema per tutte, Sez. 4, sentenza numero 15497 del 22 febbraio - 24 aprile 2002, CED Cass. numero 221693 Sez. 6, sentenza numero 34521 del 27 giugno - 8 agosto 2013, CED Cass. numero 256133 , è inammissibile per difetto di specificità il ricorso che riproponga pedissequamente le censure dedotte come motivi di appello al più con l'aggiunta di frasi incidentali contenenti contestazioni, meramente assertive ed apodittiche, della correttezza della sentenza impugnata senza prendere in considerazione, per confutarle, le argomentazioni in virtù delle quali i motivi di appello non siano stati accolti. 1.8. Alla luce di queste necessarie premesse va esaminato l'odierno ricorso. 2. Il motivo di ricorso è generico e manifestamente infondato. 2.1. La Corte di appello, con rilievi esaurienti, logici, non contraddittori, e pertanto incensurabili in questa sede, richiamando anche la sentenza di primo grado, come è fisiologico in presenza di una doppia conforme affermazione di responsabilità, ha compiutamente indicato f. 4 ss. le ragioni poste a fondamento dell'affermazione di responsabilità, valorizzando le dichiarazioni della p.o. B. e della figlia, ed evidenziando che, a fronte della richiesta di rimedi che fossero espressione di poteri magici, il sedicente mago prof. C. si noti che l'impiego di un nome d'arte più altisonante di “D.C.A. ” era già di per sé funzionale a contribuire a trarre in inganno le vittime sulle effettive potenzialità magiche dell'imputato deceptor , propinando “ rimedi che sa inefficaci e privi di qualsivoglia potere magico, spacciandoli per rimedi effettivamente magici, capaci di scacciare gli influssi negativi, pone in essere un comportamento sicuramente decettivo e inducente in errore ” “ l'errore indotto non riguarda, dunque, la fede nella magia e nei maghi bensì la capacità di offrire la prestazione magica richiesta ed attesa dall'interlocutore e l'effettivo potere magico dei rimedi nello specifico propinati . Il descritto comportamento decettivo e inducente in errore integra il reato di truffa, laddove da esso si tragga profitto con altrui danno ”, come avvenuto nella specie, manifestando altresì il motivato giudizio di natura fattuale, e quindi incensurabile in questa sede che “ gli oli cosparsi, i talismani la scatoletta vuota in atti e l'improbabile cappellino pure in atti non siano oggetti magici e non abbiano alcun potere magico efficace contro le negatività. Ciononostante l'imputato ha fatto credere alla parte offesa che lo fossero ”, anche attraverso il rilascio di apposite dichiarazioni scritte, rendendo per i cattivi risultati conseguiti giustificazioni sempre finalizzate a procurare nuove spese alla p.o., cui essa per molto tempo ha nondimeno rusticamente creduto. D'altro canto, l'imputato D.C. / prof. C. “ non era e non è un mago e cioè un vero cultore di arti magiche e non condivideva affatto la fede nella magia professata dalla parte offesa, e dunque era pienamente consapevole dell'assoluta inefficacia dei ridicoli , ma costosissimi, rimedi a quest'ultima propinata ”. 2.2. A tali rilievi il ricorrente non ha opposto alcunché di decisivo, se non generiche ed improponibili doglianze fondate su una personale rivisitazione dei fatti di causa, ed in particolare sulla canzonatoria pretesa della mancata acquisizione della prova della violazione delle regole della corretta arte magica e della non magicità delle attività poste in essere dall'imputato D.C. - prof. C. in favore della p.o., senza documentare, nei modi di rito p. 1.2. s. di queste Considerazioni in diritto eventuali travisamenti. Le statuizioni accessorie. 3. La declaratoria di inammissibilità totale del ricorso comporta, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché - apparendo evidente che egli ha proposto il ricorso determinando le cause di inammissibilità per colpa Corte cost., sentenza 13 giugno 2000, numero 186 e tenuto conto dell'entità di dette colpe - della somma di Euro mille in favore della Cassa delle Ammende a titolo di sanzione pecuniaria. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.