Ancora una pronuncia in tema di applicabilità della Legge Fornero ai licenziamenti collettivi

L'articolo 1, comma 42, l. numero 92/2012, che nel modificare l'articolo 18 Stat. Lav. ha introdotto, quale sanzione, la mera condanna al pagamento di un'indennità risarcitoria compresa tra un minimo di 12 e un massimo di 24 mensilità in luogo della tutela reale di cui alla precedente formulazione della norma, è inapplicabile ai giudizi pendenti all'entrata in vigore della legge stessa, pur in carenza di un regime transitorio che regoli le norme di natura sostanziale diversamente, in difetto di una disposizione che possa estenderne retroattivamente l'applicabilità anche ai licenziamenti intimati precedentemente alla sua entrata in vigore, si verificherebbe un inammissibile contrasto col principio generale dettato dall'articolo 11 Preleggi.

E’ quanto emerge dalla sentenza numero 21054/2015 della Cassazione, depositata il 19 ottobre. Il caso. Con il ricorso in Cassazione un'azienda ha impugnato la sentenza con la quale la Corte d'Appello di Reggio Calabria, in riforma della sentenza di primo grado, ha accordato la reintegrazione ad un lavoratore sul presupposto della violazione delle norme che disciplinano il licenziamento collettivo. Nessuno dei motivi di ricorso è stato accolto dalla Suprema Corte, principalmente per inammissibilità degli stessi, per avere la società ricorrente violato il principio di autosufficienza dei motivi di ricorso. Ciò nonostante, la sentenza in commento offre diversi spunti di riflessione in tema di licenziamenti collettivi. L'ambito di applicazione della formulazione dell'articolo 18 S.L. post Legge Fornero e ante Jobs Act . La ricorrente ha lamentato la mancata applicazione al licenziamento impugnato della Legge Fornero, laddove l'articolo 1, comma 42, Legge numero 92/2012 ha stabilito che in ipotesi di licenziamento collettivo intimato in violazione delle procedure previste dalla Legge numero 223/1991, non è più prevista la tutela reale ma solo una misura indennitaria compresa tra un minimo di dodici ed un massimo di 24 mensilità. In particolare, il datore di lavoro deduce che tale norma doveva essere applicata state il mancato esaurimento della fattispecie e trattandosi di norma diretta a regolare non l'atto generatore del rapporto bensì i suoi effetti. E ciò in conseguenza del fatto che l'articolo 1, comma 42, Legge numero 92/2012 era la legge vigente al momento della decisione, non essendo consentito, in difetto di una specifica disposizione che lo consenta, l'applicazione di una legge soppressa lo ius superveniens avrebbe dovuto infatti trovare applicazione poiché, restato inalterato il fatto generatore, la norma disciplinava esclusivamente gli effetti di tale fatto, pur verificatosi sotto l'impero della vecchia legge. La Suprema Corte ha correttamente affermato che l'articolo 1, comma 42, Legge numero 92/2012 è inapplicabile ai giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della legge stessa, potendosi invece applicare solo ai licenziamenti intimati dal 18 luglio 2012 in poi. E ciò indipendentemente dalla natura individuale o collettiva dell'atto di recesso. La Corte di Cassazione si era già pronunciata in tal senso osservando che non era possibile invocare l'applicazione del predetto articolo 1, comma 42, Legge Fornero sul mero presupposto dell'assenza di disposizioni transitorie. Infatti, deve evidenziarsi che il comma 47 del predetto articolo 1 prevede una disciplina transitoria stabilendo che solo le disposizioni processuali dei commi da 48 a 68 si applicano alle controversie in corso aventi ad oggetto l'impugnativa dei licenziamenti, sicché per le norme di natura sostanziale difetta una disposizione che possa estenderne retroattivamente l'applicabilità anche ai licenziamenti intimati precedentemente all'entrata in vigore della Legge numero 92/2012.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 23 giugno – 19 ottobre 2015, numero 21054 Presidente Amoroso – Relatore Balestrieri Svolgimento del processo Il L. appellava la sentenza del Tribunale di Palmi numero 299/11, con cui venne respinta la sua domanda diretta alla declaratoria di illegittimità del licenziamento intimatogli dalla Sea Work Service s.r.l. il 21.12.05 per contrazione del lavoro. Lamentava che il licenziamento in questione doveva ritenersi, a differenza di quanto ritenuto dal primo giudice, collettivo, essendo stati licenziati dall'azienda, nell'arco di 120 giorni, più di cinque dipendenti. Resisteva la società. Con sentenza pubblicata il 5 settembre 2012 la Corte d'appello di Reggio Calabria accoglieva il gravame, ritenendo il licenziamento in questione assoggettato alla procedura di cui all'articolo 4 L. numero 223/91, non osservata dalla società, e dunque illegittimo, con conseguente ordine di reintegra nel posto di lavoro e pronunce consequenziali. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la società, affidato a sette motivi. Resiste il L. con controricorso. Motivi della decisione Evidenti ragioni logico-giuridiche impongono di esaminare prioritariamente e congiuntamente il primo ed il terzo motivo di ricorso. 1.- Con il primo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell'articolo 24 L numero 223/91, oltre che dell'articolo 2697 c.c. articolo 360, comma 1, numero 3, c.p.c. . Lamenta che i lavoratori licenziati nell'arco temporale di 120 giorni furono solo quattro L. , P. , B. e R. , mentre il dipendente T. risultava dal libro matricola solo cessato dal servizio nel medesimo arco temporale , senza peraltro alcuna indicazione circa la riconducibilità alla medesima riduzione dell'attività o di lavoro il cui onere della prova incombeva comunque sul lavoratore . Lamenta che era comunque onere del lavoratore L. provare la riconducibilità del licenziamento T. alla medesima riduzione di personale. 2.-Con il terzo motivo la società denuncia la violazione e falsa applicazione degli articolo 2697, 2727 e 2729 c.c Lamenta di avere evidenziato nei propri scritti difensivi che la contrazione a 63 dipendenti era avvenuta per varie cause dimissioni, cessazione di contratti di lavoro a tempo determinato, mancata conversione di contratti di formazione e lavoro . Che la sentenza impugnata, sulla base della sola circostanza che risultava la risoluzione di otto rapporti di lavoro, ritenne erroneamente di poter ritenere provato presuntivamente il requisito numerico per l'applicazione dell'articolo 24 della L. numero 223/91, accogliendo così la domanda attorea senza aver calcolato i soli licenziamenti disposti nell'arco di 120 giorni ed attinenti la medesima riduzione di personale. Deduce in particolare che i dipendenti C. , M. e Ch. avevano visto risolversi i loro rapporti di lavoro per scadenza del termine che il rapporto lavorativo con lo S. si era risolto per dimissioni volontarie, e che il T. era stato licenziato per ragioni disciplinari. I motivi, che per la loro connessione possono esaminarsi congiuntamente, sono in parte inammissibili e per il resto infondati. Ed invero, se è pacifico che ai fini della sussistenza di un licenziamento collettivo e dell'applicabilità della relativa disciplina, il termine “licenziamento” va inteso in senso tecnico, non potendo ad esso parificarsi qualunque altro tipo di cessazione del rapporto determinata anche o soltanto da una scelta del lavoratore, come nelle ipotesi di dimissioni, risoluzioni concordate, o prepensionamenti, anche ove tali forme di cessazione del rapporto siano riconducibili alla medesima operazione di riduzione delle eccedenze della forza lavoro che giustifica il ricorso ai licenziamenti Cass. 29.3.10 numero 7519 , deve evidenziarsi che tali circostanze, dedotte in particolare con il terzo motivo di ricorso, risultano nuove, e comunque la società appellante non chiarisce, in contrasto col principio dell'autosufficienza, in quale sede ed in quali termini esse furono ritualmente introdotte nel giudizio di merito e devolute al giudice di appello in particolare. La Corte di merito ha infatti accertato che la stessa società aveva affermato in primo grado che nel mese di dicembre 2005 aveva comunicato la sua intenzione di recedere unilateralmente dai rapporti di lavoro con i dipendenti R. , B. , L. e P. , i quali risultavano effettivamente cessati dal servizio, rispettivamente, il 19, il 10, il 6 ed il 17 gennaio 2006. Che ad essi dovevano aggiungersi i lavoratori C. , M. , Ch. , S. e T. , cessati dal servizio tra il 1 ottobre ed il 14 novembre 2005. Che tale ultimo dipendente risultava reintegrato in servizio per ordine del Tribunale di Palmi, inferendone la natura di licenziamento dell'atto risolutivo. La ricorrente, come detto, non chiarisce quando ed in quali termini sia stata dedotta, in sede di gravame, la circostanza che i lavoratori C. , Ch. e M. avevano visto risolversi i loro rapporti per scadenza del termine, e che lo S. si sarebbe dimesso. E lo stesso dicasi quanto al licenziamento in tesi disciplinare adottato nei confronti del T. . Del resto anche la formulazione del primo motivo induce a ritenere che la società non abbia tanto meno ritualmente devoluto la questione in sede di gravame avendo peraltro, come visto, lamentato che il dipendente T. risultava dal libro matricola solo cessato dal servizio, senza peraltro alcuna indicazione circa la riconducibilità alla medesima riduzione dell'attività o di lavoro, ma senza alcuna deduzione circa la natura disciplinare del relativo licenziamento . Inoltre deve evidenziarsi che neppure in questa sede di legittimità la ricorrente chiarisce la fonte e la prova di tale deduzione, limitandosi, inammissibilmente, a rinviare all'incarto processuale pag. 31 ricorso . Ed invero deve evidenziarsi che il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali, ha l'onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo a trascriverli nella loro completezza con riferimento alle parti oggetto di doglianza, indicandone inoltre ai fini di cui all'articolo 369, comma 2, numero 4 c.p.c. la sua esatta ubicazione all'interno dei fascicoli di causa Cass. sez. unumero 3 novembre 2011 numero 22726 , al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell'autosufficienza del ricorso per cassazione, la S.C. deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell'atto Cass. ord. 30 luglio 2010 numero 17915 Cass. ord. 16.3.12 numero 4220 Cass. 9.4.13 numero 8569 . Ciò risulta vieppiù confermato dalla circostanza che la Corte di merito ha ritenuto che, essendo stato fornito dal ricorrente un principio di prova circa il presupposto di cui all'articolo 24 L. numero 223/91, come peraltro evincevasi dal libro matricola della società che sul punto non svolge in questa sede alcuna censura , sarebbe stato onere della datrice di lavoro provare e documentare che dette cessazioni dei rapporti in questione C. , Ch. , M. , S. e T. non potevano ascriversi, ai sensi dell'articolo 24 citato, tra quelli computabili ai fini della sussistenza di un licenziamento collettivo. Inoltre, la mancata censura di tale ratio decidendi rende le doglianze inammissibili. Ed invero pur essendo stato affermato da questa Corte che in materia di licenziamento collettivo, l'onere della prova della sussistenza dei requisiti prescritti dall'articolo 24 della legge numero 223 del 1991 incombe sulla parte datore di lavoro o lavoratore che sostenga che il licenziamento presenti i requisiti indicati dalla norma, senza che rilevi la diversa ripartizione dell'onere probatorio prevista dall'articolo 5 della legge numero 604 del 1966, in tema di prova della giusta causa o del giustificato motivo Cass. 22.3.10 numero 6849 , deve rilevarsi che nella specie la Corte di merito ha accertato che sussistevano ben più di cinque licenziamenti nell'arco temporale di centoventi giorni, addossando correttamente alla datrice di lavoro di provare la non computabilità di tutti od alcuni di tali recessi ai fini di cui all'articolo 24 L. numero 223/91, ritenendo poi non assolto tale onere da parte della società. Ne deriva la correttezza della sentenza impugnata e l'inammissibilità, per le ragioni dette, delle presenti censure. 3.- Con il quarto motivo la società denuncia la violazione e falsa applicazione dell'articolo 24 L numero 223/91. Lamenta che la sentenza impugnata calcolò l'arco di centoventi giorni a partire dall'ultimo licenziamento e non già dal primo come doveva evincersi dal tenore letterale e dalla ratio legis del menzionato articolo 24. Ne conseguiva che, essendo il primo licenziamento per giustificato motivo oggettivo del 6 gennaio 2006, l'arco dei 120 giorni doveva calcolarsi da tale data sino al 5 maggio 2006. Anche tale motivo è inammissibile per non risultare la doglianza proposta in sede di gravame, né la società ricorrente chiarisce in quale sede ed in quali termini essa sarebbe stata ritualmente proposta. Deve inoltre rilevarsi che la doglianza si basa sempre sul presupposto, come visto privo di fondamento processuale, della irrilevanza, ai fini del perfezionamento di cinque licenziamenti nell'arco di 120 giorni, dei licenziamenti intimati nell'ultimo trimestre del 2005. In ogni caso deve osservarsi che seppur condivisibile cfr. al riguardo Cass. numero 14322/10 , il calcolo dal primo licenziamento non può poi escludere che, laddove plurimi licenziamenti di almeno cinque dipendenti siano stati effettuati nel corso di vari anni o periodi di 120 giorni, un numero di licenziamenti pari o superiore a cinque che sia stato disposto precedentemente o successivamente e nell'arco temporale di 120 giorni, non possa essere considerato licenziamento collettivo. In caso contrario si giungerebbe infatti alla inaccettabile conseguenza che disposto un primo o un successivo licenziamento collettivo, il distinto licenziamento di almeno cinque dipendenti nell'arco di altri 120 giorni dovrebbe essere esonerato dal rispetto dei principi e regole di cui alla L numero 223/91. 4.- Deve a questo punto esaminarsi il secondo motivo di ricorso, con cui la società denuncia la violazione e falsa applicazione dell'articolo 437 c.p.c Lamenta che il giudice d'appello avrebbe violato tale norma non esercitando i poteri istruttori ufficiosi al fine di accertare le ragioni poste alla base della risoluzione dei rapporti di lavoro sopra indicate. Il motivo è infondato. Esso infatti, oltre a confermare l'insussistenza di prova circa le ragioni della risoluzione dei rapporti di lavoro di cui sopra C. , Ch. , M. , S. e T. , non tiene conto che, una volta accertata, risultando dallo stesso libro matricola della società, la sussistenza di un numero di licenziamenti ben superiore a cinque nell'arco di 120 giorni, sarebbe stato onere della odierna ricorrente provare che tali licenziamenti si riferivano a cause diverse dalla pur dedotta contrazione di lavoro, non potendo a ciò supplire il giudice neppure attraverso i poteri ufficiosi. Occorre infatti osservare cfr. ex aliis, Cass. numero 16182 del 2011 che i poteri ufficiosi non possono sopperire alle carenze probatorie delle parti, così da porre il giudice in funzione sostitutiva degli oneri delle parti medesime e da tradurre i poteri officiosi anzidetti - il cui esercizio è del tutto discrezionale e come tale sottratto al sindacato di legittimità- in poteri d'indagine e di acquisizione del tipo di quelli propri del procedimento penale Cass. 22 luglio 2009 numero 17102 Cass. 21 maggio 2009 numero 11847 . Deve inoltre rilevarsi che l'esercizio dei poteri istruttori d'ufficio in grado d'appello presuppone l'insussistenza di colpevole inerzia della parte interessata e l'indispensabilità dell'iniziativa, volta non a superare gli effetti inerenti ad una tardiva richiesta istruttoria o a supplire ad una carenza probatoria sui fatti costitutivi della domanda, ma solo a colmare eventuali lacune delle risultanze di causa Cass. 10 gennaio 2006 numero 154 Cass. 1 settembre 2004 numero 17572, Cass. 1999 numero 14342 . Circostanze queste che nella specie debbono escludersi, considerato che la prova sul punto era ben possibile sin dal primo grado. Deve in definitiva concludersi che l'esercizio dei poteri ufficiosi, è possibile e doveroso allorquando si sia in presenza di un quadro probatorio ritualmente proposto dalle parti e che, nonostante il suo svolgimento, presenti incertezze circa i fatti costitutivi o impeditivi dei diritti azionati. 5.- Con il quinto motivo la società denuncia la violazione e falsa applicazione dell'articolo 18 L numero 300/70. Lamenta che risultava dagli atti di causa verbale di udienza in primo grado, prodotto, del 29.10.09 che il ricorrente ebbe ad affermare che aveva ormai un lavoro part time sicché non gli interessava la reintegrazione mirando unicamente al risarcimento del danno, sicché la Corte non avrebbe potuto disporre la reintegra. Anche tale motivo è inammissibile, non risultando la questione dedotta, tanto meno ritualmente, in sede di gravame, né la società ricorrente chiarisce in quale sede ed in quali termini essa sarebbe stata ritualmente proposta. 6.- Con il sesto motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell'articolo 91 c.p.c Lamenta che il rigetto del gravame avrebbe dovuto condurre la Corte di merito a condannare l'appellante al pagamento delle spese. Il motivo è evidentemente infondato, non risultando, neppure all'esito dell'esame del presente ricorso, che l'appello del L. avrebbe dovuto essere rigettato. 7.- Con il settimo motivo la ricorrente lamenta la mancata applicazione al caso di specie della L. 28 giugno 2012 numero 92, laddove all'arti, comma 42 e 46 ha stabilito che in ipotesi di licenziamento collettivo intimato in violazione delle procedure previste dalla legge non è più prevista la tutela reale ma solo una misura indennitaria compresa tra un minimo di 12 ed un massimo di 24 mensilità. Deduce che tale norma doveva essere applicata dalla sentenza impugnata stante il mancato esaurimento della fattispecie e trattandosi di norma diretta a regolare non l'atto generatore del rapporto, bensì i suoi effetti. Il motivo è infondato. Questa Corte ha infatti già osservato che l'articolo 1, comma 42, della legge 28 giugno 2012, numero 92, di novella dell'articolo 18 della legge 20 maggio 1970, numero 300, è inapplicabile ai giudizi pendenti, alla data di entrata in vigore della legge stessa Cass. 22.4.2014 numero 9098, Cass. numero 10550/13 . La ricorrente invoca l'applicabilità alla fattispecie del regime sanzionatolo introdotto dalla L. numero 92 del 2012, quale legge vigente al momento della decisione, non essendo consentito, in difetto di una specifica disposizione che lo consenta, l'applicazione di una legge soppressa il ridetto ius superveniens avrebbe dovuto infatti trovare applicazione nel caso di specie poiché, restato inalterato il fatto generatore, la norma disciplinava esclusivamente gli effetti di tale fatto, pur verificatosi sotto l'impero della vecchia legge. La questione sollevata con il suddetto motivo è già stata affrontata dalla giurisprudenza di questa Corte, che l'ha risolta ritenendo che la L. 28 giugno 2012, numero 92, articolo 1, comma 42, nel novellare il testo dell'ali. 18 dello Statuto dei lavoratori, non trova applicazione alle fattispecie di licenziamento oggetto di giudizi pendenti innanzi alla Corte di Cassazione alla data della sua entrata in vigore cfr. Cass., numero 10550/2013 . Né può sostenersi la immediata applicabilità della nuova disciplina sanzionatoria dei licenziamenti introdotta dalla L. 92/2012, che sul punto ha modificato l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, sulla base del mero rilievo dell'assenza di diposizioni transitorie. Deve infatti evidenziarsi che il comma 47 dell'articolo 1 L numero 92/12, prevede una disciplina transitoria, stabilendo che solo le disposizioni processuali dei commi da 48 a 68 si applicano alle controversie in corso aventi ad oggetto l'impugnativa dei licenziamenti nelle ipotesi regolate dall'articolo 18 della legge 20 maggio 1970, numero 300, sicché per le norme di natura sostanziale difetta una disposizione che possa estenderne retroattivamente in contrasto col principio generale di cui all'articolo 11 preleggi l'applicabilità anche ai licenziamenti intimati precedentemente all'entrata in vigore della legge. In sostanza il nuovo articolo 18 sui licenziamenti non è immediatamente applicabile ai processi in corso e, dunque, la nuova disciplina dell'articolo 18 Stat.lav. non può essere estesa ai contenziosi sorti prima dell'entrata in vigore della c.d. Legge Fornero 18 luglio 2012 . Questa Corte, del resto, ebbe a pronunciarsi in tal senso in tema di applicabilità dell'articolo 18 L. numero 300/70 ai licenziamenti intimati prima dell'entrata in vigore dello Statuto del maggio 1970. Così Cass. 10.7.74 numero 2144 stabilì che ai sensi dell'articolo 11 disp. Prel. Cod. civ., deve escludersi che l'articolo 18 della legge 20 maggio 1970 numero 300, norma di evidente portata sanzionatoria, che impone all'imprenditore di reintegrare nel posto di lavoro il dipendente licenziato senza giusta causa o giustificato motivo, abbia carattere retroattivo e sia, quindi, applicabile ai rapporti di lavoro cessati prima dell'entrata in vigore della suddetta legge. Nello stesso senso, Cass. numero 3713 del 05/11/1975 Cass. numero 10 del 04/01/1979, Cass. numero 1834 del 30/03/1981 Cass. numero 6407 del 28/10/1983, etcomma 8.- Il ricorso deve pertanto rigettarsi. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro.100,00 per esborsi, Euro.3.500,00 per compensi, oltre spese generali ed accessori di legge.