di Enzo Di Giacomo
di Enzo Di Giacomo *La buona fede, applicabile anche all'illecito amministrativo, esclude la responsabilità dell'autore solo quando il trasgressore riesce a dimostrare di aver fatto tutto il possibile ai fini dell'osservanza della norma di legge.Il principio di cui sopra è contenuto nella sentenza numero 7885, depositata il 6 aprile 2011, della Corte di Cassazione da cui emerge che in tema di sanzioni amministrative è necessaria e sufficiente la coscienza e volontà della condotta attiva od omissiva senza che occorra il dolo o la colpa atteso che la norma pone una presunzione di colpa per il fatto vietato a carico del trasgressore sul quale grava l'onere della prova.La sanzione amministrativa. La materia delle sanzioni amministrative è disciplinata dalla legge 24 novembre 1981, numero 689, che ha previsto un sistema compiuto di illecito amministrativo, conseguente alla depenalizzazione di molti reati, puniti sino ad allora con la sola pena dell'ammenda. La normativa introdotta ha valenza generale e può essere derogata solo da una diversa fonte normativa che in quanto lex specialis sia idonea a derogare appunto alla norma di carattere generale. Le sanzioni per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato si possono distinguere in sanzioni pecuniarie, cioè quelle che ingiungono il pagamento di una somma di denaro sanzioni interdittive ad esempio, interdizione dall'esercizio dell'attività confisca pubblicazione della sentenza.L'illecito amministrativo la buona fede come causa di esclusione. L'articolo 3, comma 1, della legge numero 689 del 1981 disciplina l'elemento psicologico dell'illecito amministrativo, prevedendo che non risponde delle violazioni colui che ha commesso il fatto nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facoltà legittima ovvero in stato di necessità o di legittima difesa . La previsione contenuta in detta norma, che attribuisce rilievo alla coscienza e volontà dell'azione od omissione, sia essa dolosa o colposa, postula una presunzione di colpa in ordine al fatto vietato a carico del soggetto che lo ha commesso Cass numero 2642/2000 A norma del citato articolo 3, pertanto, è responsabile di una violazione amministrativa la persona fisica a cui è ricollegabile l'azione materiale o l'omissione che integra la violazione, per cui in una società la responsabilità del singolo socio non può discendere dalla sua mera qualità di socio Cass, Sez. Lav., numero 10518/1997 . Nell'ambito dell'illecito amministrativo, la buona fede dell'autore può risultare come causa di esclusione della responsabilità amministrativa solo quando l'errore sulla liceità del fatto risulti incolpevole Cfr. Cass. 23 ottobre 2003, numero 14107 .La fattispecie. Due società hanno proposto ricorso dinanzi al Giudice di Pace avverso alcune ingiunzioni emesse dall'Ufficio finanziario con cui erano state comminate sanzioni pecuniarie per violazione dell'articolo 58, comma 9, del D lgs numero 29/93 per avere le stesse conferito una serie di incarichi statuari ad un esperto, dipendente pubblico le società hanno eccepito la illegittimità delle ingiunzioni per assenza di dolo o colpa atteso che non erano state in grado di conoscere se il predetto esperto fosse stato un pubblico dipendente. A seguito del rigetto dell'opposizione, le società hanno proposto ricorso per cassazione.I giudici della Suprema Corte, dopo aver accertato che le due società erano a conoscenza del rapporto di pubblico impiego della persona a cui era stato conferito l'incarico, hanno ritenuto che nel caso di configurazione della fattispecie tipica dell'illecito, l'onere di provare di aver agito in assenza di colpevolezza grava sul trasgressore, in virtù di quanto disposto dall'articolo 3 della legge numero 689/1981.La Suprema Corte, uniformandosi alla giurisprudenza di legittimità, ha ritenuto che in tema di sanzioni amministrative, ai sensi dell'articolo 3 della legge numero 689/1981, è necessario e al tempo stesso sufficiente la coscienza e volontà attiva od omissiva, senza dovere dimostrare la sussistenza del dolo o della colpa, atteso che la norma fissa una presunzione di colpa in capo del soggetto che ha commesso la trasgressione, su cui grava l'onere della prova di avere agito senza colpa. Ne deriva che l'esimente della buona fede , applicabile anche all'illecito amministrativo, assurge a causa di esclusione della responsabilità amministrativa, al pari di quanto avviene in campo penale, solo quando sussistano elementi positivi idonei ad ingenerare nell'autore della violazione il convincimento della liceità della sua condotta e risulti che il trasgressore abbia fatto tutto quanto possibile per conformarsi al precetto di legge, onde nessun rimprovero può essergli mosso .* Esperto tributario
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 9 marzo - 6 aprile 2011, numero 7885Presidente Oddo - Relatore BurseseSvolgimento del processoLa Minacciolo srl, la CVM Cristallerie Venete srl, ora Cristallerie Riunite spa e la soc. Mille spa, in persona del legale rappresentante p.t., proponeva ricorso avanti al G. di P. di Treviso avverso altrettante ordinanze ingiunzioni emesse dall'Agenzia delle Entrate di Treviso, che comminava a ciascuna delle predette società una sanzione pecuniaria per la violazione dell'articolo 58 comma 9 D.Lgs. numero 29/93 per avere le stesse attribuito incarichi statuari al dr. Gi Ba., dipendente dall'amministrazione finanziaria. Sostenevano le opponenti l'illegittimità delle ordinanze opposte sotto vari profili, deducendo in specie l'inapplicabilità delle sanzioni contestate per assenza di dolo o di colpa, in quanto le società non erano state in grado di conoscere se il Ba. fosse stato un pubblico dipendente che la contesta prestazione di quest'ultimo, si riferiva ad un periodo antecedente all'entrata in vigore della norma predetta che le società non avevano alcun obbligo di comunicazione alla PA o di autorizzazione da parte della medesima. Riunite le cause, nella contumacia dell'Agenzia delle Entrate, l'adito G.d.P. rigettavano l'opposizione.Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione le società opponenti sulla base di 2 mezzi resiste l'intimata Agenzia delle Entrate con controricorso.Motivi della decisioneCon il primo motivo le ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione della legge 689/81. Deducono di essere esenti da qualsiasi addebito, non sussistendo a loro carico alcun profilo di dolo o di colpa. Sostengono infatti che la violazione contestata è frutto di semplice errore, dovuto ad ignoranza incolpevole circa la qualifica di dipendente pubblico del Ba., componente del collegio sindacale. La doglianza non è fondata. Secondo la sentenza invece le società erano pienamente a conoscenza del rapporto di pubblico impiego relativo alla persona alla quale era stato conferito l'incarico nell'ambito della compagine societaria. Si rileva altresì che una volta integrata e provata dall'autorità amministrativa la fattispecie tipica dell'illecito, grava sul trasgressore, in virtù della presunzione di colpa posta dall'articolo 3 della legge 689/81, l'onere di provare di aver agito in assenza di colpevolezza.Ha precisato in proposito questa S.C. che . in tema di sanzioni amministrative, ai sensi dell'articolo 3 della legge numero 689 del 1981, per le violazioni colpite da sanzione amministrativa è necessaria e al tempo stesso sufficiente la coscienza e volontà della condotta attiva o omissiva, senza che occorra la concreta dimostrazione del dolo o della colpa, giacché la norma pone una presunzione di colpa in ordine al fatto vietato a carico di colui che lo abbia commesso, riservando poi a questi l'onere di provare di aver agito senza colpa. Ne deriva che l'esimente della buona fede, applicabile anche all'illecito amministrativo disciplinato dalla legge numero 689 del 1981, rileva come causa di esclusione della responsabilità amministrativa - al pari di quanto avviene per la responsabilità penale, in materia di contravvenzioni - solo quando sussistano elementi positivi idonei a ingenerare nell'autore della violazione il convincimento della liceità della sua condotta e risulti che il trasgressore abbia fatto tutto quanto possibile per conformarsi al precetto di legge, onde nessun rimprovero possa essergli mosso . Cass. numero 13610 del 11/06/2007 . Con il 2 motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione del D.L. 79/1997 e del D.Lgs. 29/1993 in relazione all'articolo 360 comma 1, numero 3 CPC. Si sostiene l'infondatezza della pretesa sanzionatoria in quanto basata su norme di legge entrate in vigore in epoca successiva alla prestazione professionale de qua. L'obbligo di comunicazione alla P.A. è stato infatti previsto solo dal D.Lgs. numero 80 del 1998, che dunque non può avere effetto retroattivo essendo entrato in vigore in epoca successiva alla prestazione professionale intercorsa tra il Ba. e le odierne società ricorrenti.La doglianza non può essere accolta e presenta dei profili di novità. Infatti la sentenza non si è pronunciata sulle predette questioni ed andava in ipotesi denunciata la violazione dell'articolo 112 c.p.c. L'esame della censura in ogni caso presuppone un accertamento di fatto sull'epoca della prestazione dell'attività svolta dal dipendente pubblico in favore delle società ricorrenti, che non risulta indicata né nella sentenza, né nel ricorso. Secondo l'amministrazione controricorrente, l'incarico in parola era iniziato nel 1997 e cessato nell'ottobre del 1998, in realtà tale obbligo era già previsto nel testo originario dal DLgs numero 29/93 articolo 58, 6 comma, secondo cui Ai fini della compiuta attuazione dell'anagrafe delle prestazioni, disciplinata dall'articolo 24 della legge 30 dicembre 1991, numero 412, i soggetti pubblici o privati che conferiscono un incarico al dipendente pubblico sono tenuti a farne immediata comunicazione alla amministrazione di appartenenza . L'obbligo di informare il datore di lavoro pubblico dell'attività extraprofessionale del dipendente pubblico esisteva dunque fin dal 1993, mentre quello di richiedere l'autorizzazione dell'amministrazione di conferire l'incarico risale al marzo del 1997 DL 28 marzo 1997 numero 79 .In conclusione il ricorso dev'essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza.P.Q.M.La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali che liquida in complessivi Euro 1.500,00, di cui Euro 1300,00 per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.