No al cumulo totale pensione retribuzione al pubblico dipendente part-time

Il pubblico dipendente che ha trasformato il rapporto di lavoro da tempo pieno a part-time , ai sensi dell’articolo 1 comma 185 L. 662/96, con godimento parziale del trattamento pensionistico raggiunto, non può usufruire del cumulo totale di entrambi i trattamenti, ai sensi dell’articolo 44 L. 289/2002.

La somma dell’ammontare della pensione e della retribuzione del dipendente part-time non può superare l’ammontare di retribuzione spettante a parità di condizioni al lavoratore a tempo pieno. Così ha stabilito la Corte di Cassazione, sezione Lavoro numero 4900, pubblicata il 27 marzo 2012. Il caso deciso dalla Corte di legittimità l’articolo 1 comma 185 della L. 662/96. La fattispecie esaminata dalla Corte di Cassazione trae origine dalla domanda avanzata da un pubblico dipendente, in regime di part-time ai sensi dell’articolo 1, comma 185, L. numero 662/96, il cui rapporto a tempo pieno era stato trasformato per usufruire del godimento parziale del trattamento pensionistico raggiunto, cumulato con il trattamento retributivo. Con il ricorso proposto veniva chiesta la condanna dell’Inps a corrispondere la pensione di anzianità spettante in misura integrale articolo 44 L. numero 289/2002 . Il Tribunale adito accoglieva la domanda. Proponeva appello l‘Inps, ma la Corte d’Appello di Milano respingeva il gravame, evidenziando che sia la L. numero 662/96 sia la numero 289/2002 dovevano considerarsi norme di carattere generale che quest’ultima aboliva il divieto di cumulo e che si doveva estendere anche alle fattispecie previste dalla L. 662/96 che non vi erano ragioni di distinzioni tra dipendenti pubblici e privati in relazione alla materia trattata. Proponeva così ricorso per cassazione l’Inps, con due motivi di censura, trattati congiuntamente dalla Corte. Divieto di cumulo abrogato? Inizialmente la Legge numero 153/1969 aveva stabilito il divieto di cumulo tra pensione di anzianità dei dipendenti privati con reddito da lavoro dipendente divieto ribadito dal d.lgs. numero 503/1992. Il lavoratore doveva dunque necessariamente risolvere il rapporto di lavoro per poter usufruire della prestazione pensionistica. Dopo una prima riforma avvenuta nel 1995, con le leggi numero 388/2000 articolo 72 e 289/2002 articolo 44 , il divieto di cumulo era stato abrogato, così consentendo di cumulare integralmente reddito da pensione e reddito da lavoro. Tale regime tuttavia, insegna la Suprema Corte, doveva ritenersi applicabile unicamente all’impiego privato, rimanendo escluso il pubblico impiego, ai sensi del d.p.r. numero 758/1965. L’articolo 1, comma 185, L. 662/96 è una norma speciale La norma contenuta nell’articolo 1, comma 185, legge numero 662/1996 è nata come eccezione favorevole, in deroga al precedente regime generale di divieto di cumulo. Con essa si consentiva al pubblico dipendente, una volta raggiunta la possibilità di usufruire di trattamento pensionistico, di trasformare il proprio rapporto di lavoro da full-time in part-time , riducendo proporzionalmente la retribuzione lavorativa, cumulandola con il trattamento pensionistico, anch’esso proporzionalmente ridotto, in modo da ottenere in via cumulativa un importo che non doveva superare quello derivante dalla retribuzione percepita da un lavoratore a tempo pieno nelle medesime condizioni. Tale norma, afferma la Corte, deve qualificarsi come eccezionale, avendo portata derogatoria rispetto ai principi generali di incumulabilità nel sistema in allora vigente dei trattamenti. Trattandosi di norma di carattere eccezionale, non può applicarsi il regime dell’abrogazione tacita di cui all’articolo 15 delle Preleggi, in quanto la disciplina generale come tale è da ritenersi l’articolo 44 L. numero 289/2002 , salvo diversa espressa volontà del legislatore, non può spingersi a mutare norme dettate per disciplinare singole o particolari fattispecie dal legislatore precedente. non imponeva la cessazione dell’attività lavorativa. L’articolo 1, comma 185, L. numero 662/1996 prevedeva la possibilità di cumulo parziale dei trattamenti, alla condizione che il rapporto di lavoro venisse trasformato da tempo pieno a tempo parziale. Con ciò introducendo una deroga favorevole per il dipendente pubblico rispetto a quello privato che, diversamente doveva risolvere il rapporto di lavoro per poter beneficiare del trattamento pensionistico. Questo carattere eccezionale fa sì che la successiva modifica legislativa di carattere generale non possa incidere in senso ampliativo sulla misura del cumulo parziale previsto dalla norma speciale in origine più favorevole . L’interpretazione data dalla Corte di Cassazione considera dunque quali requisiti indispensabili per poter usufruire del trattamento pensionistico, oltre al raggiungimento della necessaria anzianità contributiva e assicurativa, la cessazione di qualsiasi tipo di rapporto di lavoro alla data di presentazione della domanda di pensione. La possibilità di proseguire il rapporto di lavoro pubblico, sia pure trasformato in tempo parziale, e di beneficiare del trattamento pensionistico in costanza di rapporto costituisce senza dubbio eccezionalità, rispetto alla generalità del regime pensionistico previsto con conseguente intangibilità della speciale disciplina relativa. La Suprema Corte afferma dunque il seguente principio «La somma dell’ammontare della pensione e della retribuzione dei dipendenti pubblici part-time ex articolo 1, comma 185, L. numero 662/1996 non può superare in ogni caso l’ammontare della retribuzione spettante al lavoratore che, a parità di altre condizioni, presta la sua opera a tempo pieno».

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 15 febbraio – 27 marzo 2012, numero 4900 Presidente Lamorgese – Relatore Arienzo Svolgimento del processo Con sentenza del 26.8.2010, la Corte di Appello di Milano, rigettando il gravame dell'INPS, confermava la pronunzia resa dal Tribunale di Milano, che aveva accolto la domanda di V.M.P. , dipendente part time ex articolo 1 comma 185 l. 662/96 e condannato l'INPS a corrispondere alla predetta la pensione di anzianità in misura integrale ex articolo 44 l. 289/2002. L'appellata aveva fruito della disciplina di cui all'articolo 1 comma 185, 186 e 187 l. numero 662/96 per ottenere la conversione del rapporto di lavoro a tempo pieno in part time, con godimento parziale del trattamento pensionistico. Evidenziava la Corte territoriale che il tenore letterale della disciplina di cui alla I. 662/96 era tale da denotarne il carattere di normativa di portata generale e che con la stessa si riservava al datore la facoltà di fare accedere al part time i dipendenti con determinati requisiti anagrafici e contributivi, facoltà rispetto alla quale per le amministrazioni venivano solo indicati i presupposti di esercizio. Con la legge 289/2002, all'articolo 44, comma 2, era stato abolito il divieto di cumulo tra pensioni di anzianità e redditi di lavoro a decorrere dal gennaio 2002 e la norma di carattere generale sicuramente doveva riferirsi alla disciplina anch'essa generale dei divieti di cumulo parziale di cui all'articolo 1 comma 185 l. 662/96. Il problema si poneva, nella fattispecie, con riferimento ai dipendenti della P. A., ma nulla autorizzava distinzioni tra dipendenti pubblici e privati e non era prevista alcuna specialità della disciplina ex comma 185 citato, applicabile ai pubblici dipendenti, che portasse ad escludere per gli stessi l'applicabilità della successiva disciplina generale di cui all'articolo 44 l. 289/02. Sicuramente non incideva nel senso della differenziazione la particolare stabilità del rapporto e, peraltro, l'articolo 3 del D. M. 29 luglio 1997 numero 331, con il quale erano state emanate le norme regolamentari per la relativa applicazione, aveva disposto che il regime previsto dal comma 185 citato nei confronti dei dipendenti delle P. A. avesse validità per tutta la residua durata del rapporto di lavoro ed era diretto a sancire l'irreversibilità della scelta del part time e del conseguente trattamento economico e pensionistico, ma non ad escludere l'applicabilità di future diverse discipline di miglior favore per il pensionato pubblico, con una irrazionale disparità di trattamento in danno di quest'ultimo. Avverso detta decisione propone ricorso per cassazione l'INPS, affidato a due motivi. Resiste con controricorso l'intimata, che ha illustrato le proprie difese con memoria depositata ai sensi dell'articolo 378 c.p.c Motivi della decisione Con il primo motivo, l'istituto ricorrente denunzia la violazione e la falsa applicazione dell'articolo 1 commi 185 e 187 della l. 23 dicembre 1996 numero 662, dell'articolo 44, comma 2, della l. 27 dicembre 2002, numero 289, degli articolo 1 e 3 del D. M. 29 luglio 1997 numero 331, nonché degli articolo 1362 e ss. del cod. civ., in relazione all'ari. 360 numero 3 c.p.c Osserva che la disposizione di cui all’articolo 44, II co., l. 289/2002 prevede, in favore degli iscritti alle forme di previdenza di cui al primo comma già pensionati di anzianità alla data del 1.1.2002 e nei cui confronti operano i regimi di divieto totale o parziale di cumulo tra pensione e retribuzione, l'accesso al sistema di cumulo integrale previo pagamento di una somma calcolata secondo la stessa disposizione, ma sostiene che tale accesso non è estensibile nei confronti di coloro che, in forza di una specifica disciplina di legge, conseguono il trattamento pensionistico di anzianità senza cessare dall'attività lavorativa, ma semplicemente trasformando il proprio rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale. La cessazione dall'attività lavorativa è presupposto necessario per la pensione di anzianità, e la disciplina di cui all'articolo 1 commi 185 e 187 della legge 662/1996, oltre che quella del decreto ministeriale attuativo, ha natura speciale e prevede modalità di cumulo tra pensione e retribuzione del tutto peculiari e collegate alla trasformazione del rapporto da tempo pieno a parziale ed all'accesso al regime pensionistico. In quanto speciale, la detta normativa non è abrogata da successive disposizioni dotate di carattere generale, che riguardano lavoratori che abbiano il diritto a pensione siano cessati dal rapporto di lavoro e che inizino una nuova attività lavorativa, e non i lavoratori che, senza soluzione di continuità, proseguano il loro rapporto di lavoro passando dall'orario normale a quello ridotto per conseguire la pensione. Peraltro, interpretando la normativa in senso favorevole ai lavoratori, verrebbe meno, secondo l'INPS, l'obiettivo fondante la disciplina innovativa, ossia l'incentivazione dell'assunzione di nuovo personale, scopo indissolubilmente connesso alla riduzione del trattamento pensionistico ed al ridotto utilizzo, in termini di orario di lavoro, del personale optante. La peculiarità della normativa in argomento sarebbe, poi, testimoniata dal fatto che il comma 187 prevede, per il personale delle P. A., l'emanazione di apposite norme regolamentari. Per di più, la trasformazione del rapporto non da luogo a trattamenti di pensione definitivi, in quanto solo l'effettiva cessazione dal servizio da luogo alla rideterminazione del trattamento previdenziale in godimento in base alla complessiva anzianità maturata. All'esito della parte argomentativa, il ricorrente, domanda, con specifico quesito, se at dipendente dell'INPS che si sia avvalso della speciale normativa recata dall'articolo 1, commi 185 e 187, l. 662/96 e dagli articolo 1 e 3 D. M. 331/97, sia consentito cumulare integralmente il reddito derivante dalla trasformazione da tempo pieno a tempo parziale del rapporto intrattenuto senza soluzione di continuità con l'ente pubblico di lavoro. Con il secondo motivo, il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell'articolo 15 delle disposizioni della legge in generale, dell'articolo 22 I. 30 aprile 1969, numero 153 e dell'articolo 1, commi 185 e 187, l. 23.12.1996 numero 662, in relazione all'articolo 360 numero 3 c.p.c., evidenziando che la peculiare disciplina concernente i dipendenti pubblici - che consente la prosecuzione del rapporto in deroga al principio generale che prevede la cessazione dell'attività lavorativa per accedere alle pensioni di anzianità articolo 22 I. 153/1969 - è fonte di un vantaggio insito nel fatto di conservare lo status di dipendente nell'ambito del rapporto di pubblico impiego sia pure privatizzato e la sola riduzione dell'orario di lavoro, situazione non omogenea a quella del pensionato prevista in via generale, che deve, invece, risolvere il rapporto di lavoro per avere diritto alla pensione ed eventualmente reperire nuova attività lavorativa per avere diritto al beneficio del cumulo. Con la formulazione del quesito, domanda se le disposizioni di cui all'articolo 1 commi 185 e 187 l. 662/96 ed il regolamento di attuazione di cui al DM 331/97 si pongano come norme speciali rispetto alla disciplina generale in tema di cumulo fra pensione e retribuzione dettata dall'ari. 44 I. 289/2002 e come tali non siano state implicitamente abrogate dal predetto articolo. Le censure vanno trattate congiuntamente, attesa la sostanziale connessione delle questioni proposte con entrambe. Fin dall'inizio articolo 22 legge numero 153 del 1969 la pensione di anzianità dei dipendenti privati è stata incumulabile per l'intero con il reddito da lavoro dipendente e detta incumulabilità piena con il reddito da lavoro subordinato è rimasta inalterata articolo 10, 1 e 2 comma d.lgs. numero 503 del 1992 , dovendo il lavoratore subordinato risolvere il rapporto di lavoro articolo 10, comma 6 d. lgs. numero 503 del 1992 per potere godere della prestazione pensionistica. Un'ulteriore tappa del processo evolutivo riguarda la fase di regime della riforma del 1995 cioè le pensioni da liquidare esclusivamente con il sistema contributivo, una volta soppressa la distinzione tra pensione di vecchiaia e pensione di anzianità. Tale riforma aveva previsto la vigenza, fino al compimento da parte dell'interessato dell'età di 62 anni, del regime di incumulabilità con il reddito da lavoro dipendente, nella sua interezza, e con il reddito da lavoro autonomo nella misura del 50% della parte eccedente il trattamento minimo e invece dall'età di 63 anni in poi, del regime di incumulabilità della pensione con i redditi sia da lavoro dipendente che da lavoro autonomo nella misura del 50% della parte eccedente l'importo del trattamento minimo articolo 1, commi 21 e 22 della legge numero 335/95 . Detti limiti al cumulo tra pensione e redditi da lavoro sono ormai sostanzialmente superati ed attualmente le pensioni di anzianità sono intermente cumulabili con i redditi da lavoro tanto autonomo che dipendente, purché il lavoratore abbia una determinata anzianità contributiva articolo 72 della legge numero 388 del 2000 e articolo 44 della legge numero 289 del 2002 . La legge numero 243 del 2004 aveva delegato il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi contenenti norme intese tra l'altro ad eliminare progressivamente il divieto di cumulo tra pensioni e redditi da lavoro articolo 1 comma 1 lett. b ma la delega non è stata attuata tuttavia successivamente ha provveduto alla liberalizzazione l'articolo 19 della legge numero 133 del 2008. Questa essendo l'evoluzione normativa in tema di disciplina dei limiti al concorso del reddito da lavoro con il trattamento pensionistico di anzianità, deve rilevarsi che è stato ritenuto che la nuova disciplina non si estenda anche al pubblico impiego, per il quale continua ad operare il regime di incumulabilità già fissato dall'articolo 4 d.p.r. numero 758 del 1965. Anche ove sia ritenuto, tuttavia, che il regime di liberalizzazione sia ormai operante per tutti i settori, deve preliminarmente, ai fini della decisione della questione all'esame, individuarsi la natura della norma contenuta nell'articolo 1 comma 185 l. 662/96, nata come eccezione di favore in deroga al vecchio regime generale, per valutare se la stessa sia resistente o meno al processo di evoluzione nel senso della liberalizzazione sopra delineata. A norma dell'articolo 15 delle Preleggi , infatti, l'abrogazione tacita si realizza sia quando le disposizioni della nuova legge siano incompatibili con quelle della legge anteriore, sia quando la nuova legge regoli l'intera materia già regolata dalla legge anteriore, non potendo ovviamente coesistere, in quest'ultimo caso, due leggi che regolino per intero la medesima materia. Tuttavia, la regola dell'abrogazione non si applica quando la legge anteriore sia speciale od eccezionale e quella successiva, invece, generale legi speciali per generalem non derogatur , ritenendosi che la disciplina generale - salvo espressa volontà contraria del legislatore - non abbia ragione di mutare quella dettata, per singole o particolari fattispecie, dal legislatore precedente. Le norme speciali sono norme dettate per specifici settori o per specifiche materie, che derogano alla normativa generale per esigenze legate alla natura stessa dell'ambito disciplinato ed obbediscono all'esigenza legislativa di trattare in modo eguale situazioni eguali e in modo diverso situazioni diverse. Le norme eccezionali, invece, sono definite dall'articolo 14 preleggi come norme che fanno eccezione a regole generali. In questo senso esse sono norme speciali. È ovvio che tanto le norme speciali quanto le norme eccezionali si pongano in termini di deroga rispetto a regole generali, perché finalizzate o a calibrare certi istituti alle particolarità specifiche di un determinato settore o perché sono gli stessi presupposti di fatto che impongono un intervento legislativo derogatorio delle regole vigenti. Ne consegue che in nessun caso ne è ammessa l'applicazione analogica, altrimenti frustrandosi la natura speciale o eccezionale che le caratterizzano. Orbene, la norma di cui si discute deve, in relazione alla cennata distinzione, indubbiamente qualificarsi come eccezionale, avendo portata derogatoria, nel sistema in vigore all'epoca della sua emanazione, rispetto ai principi generali in tema di incumulabilità tra pensione di anzianità e redditi di lavoro e prevedendo la possibilità di cumulo sia pure limitato, nel senso che l'importo della pensione viene ridotto in misura inversamente proporzionale alla riduzione dell'orario normale di lavoro riduzione comunque non superiore al 50% e che la somma della pensione e della retribuzione non può in ogni caso superare l'ammontare della retribuzione spettante al lavoratore che, a parità di altre condizioni, presta la sua opera a tempo pieno. Per il pubblico impiego, con il D.M. 29.7.1997 numero 331, è stato emanato in esecuzione di quanto previsto dall'articolo 1 comma 187 della legge numero 662/96 il regolamento concernente i criteri e le modalità da applicare ai pubblici dipendenti di cui all'articolo 1 comma 2 del D. lgs. numero 29/1993, per usufruire della possibilità di cumulare, ai sensi dell'articolo 1, commi da 185 a 189, della legge citata, l'importo della pensione di anzianità con l'ammontare della retribuzione conseguente alla trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, prevedendosi determinate condizioni per l'operatività della trasformazione con diritto al cumulo parziale, tra cui quella della insussistenza nella qualifica funzionale di appartenenza di situazioni di esubero. Ma il carattere di eccezionalità della normativa, che non consente alla normativa successiva di carattere generale di incidere in senso ampliativo sulla misura del cumulo parziale, deve essere collegato anche alla circostanza che il conseguimento del trattamento pensionistico, sia pure ridotto, non è subordinato, dalla legge 662/96, alla cessazione dell'attività lavorativa. Ed invero, il diritto alla pensione, nella generalità dei casi, ai sensi dell'articolo 22, comma 1, lett. c , L. numero 153/1969, matura in capo al lavoratore interessato alla presenza di un duplice requisito, rappresentato dal raggiungimento dell'anzianità contributiva e dalla cessazione dell'attività lavorativa subordinata alla data di presentazione della relativa domanda. Con la riforma introdotta dal D.Lgs. numero 503/1992, il legislatore ha ribadito che il diritto alla pensione di anzianità è subordinato alla cessazione dell'attività di lavoro dipendente articolo 10, comma 6 , estendendo tale requisito anche alla pensione di vecchiaia articolo 1, comma 7 . Per entrambe le disposizioni citate il requisito della cessazione del rapporto di lavoro costituisce, infatti, una presunzione di bisogno che giustifica l'erogazione della prestazione sociale ai sensi dell'articolo 38 Cost. Secondo la Corte di Cassazione, infatti, la prosecuzione del rapporto di lavoro subordinato e la produzione, che ne consegue, di reddito da lavoro - dopo il perfezionamento dei requisiti - esclude lo stato di bisogno del lavoratore . e, quindi, anche l'esigenza di garantire al lavoratore medesimo ai sensi dell'articolo 38, comma 2, della Costituzione mezzi adeguati alle esigenze di vita . Per tali motivi, il conseguimento del diritto alla pensione è subordinato alla cessazione di qualsiasi rapporto di lavoro in essere, anche diverso da quello in riferimento al quale sono stati versati i contributi alla gestione deputata ad erogare la prestazione cfr. Cass. numero 17530/2005 . Peraltro, è stato anche chiarito che la cessazione del rapporto di lavoro - che condiziona il conseguimento della pensione di vecchiaia - risulta, all'evidenza, affatto diversa arg. D.Lgs. numero 503 del 1992, ex articolo 10, cit., in tema di disciplina del cumulo tra pensioni e redditi da lavoro dipendente ed autonomo rispetto al cumulo tra la pensione medesima - una volta che questa sia stata conseguita - ed i redditi da lavoro oppure da altra pensione, con la conseguenza che - dalla comparazione delle discipline rispettive - non può risultare, in nessun caso, la violazione del principio di uguaglianza articolo 3 Cost. , attesa la non omogeneità tra le situazioni prospettate cfr. Cass. 16 giugno 2006 numero 13933 . L'interpretazione giurisprudenziale in materia, oltre a considerare, come sopra ricordato, la cessazione dell'attività lavorativa, al pari dell'anzianità contributiva ed assicurativa, quale presupposto necessario per l'insorgenza del diritto alla pensione di anzianità Cass. civ. numero 6571/2002 , ritiene momento fondante quello di presentazione della domanda Cass. civ. numero 14132/2004 . Dalle premesse svolte si desume, quindi, che alla data di presentazione della domanda di pensione non deve sussistere alcun rapporto di lavoro con il medesimo datore di lavoro, essendo in ogni caso necessaria una soluzione di continuità per conseguire il diritto ai trattamento pensionistico. Ciò al fine di evitare che la percezione della pensione di anzianità avvenga contemporaneamente alla prestazione dell'attività lavorativa subordinata. In definitiva, sia in caso di medesimo che di diverso datore, risulta comunque necessaria una soluzione di continuità fra i successivi rapporti di lavoro al momento della richiesta della pensione di anzianità e alla decorrenza della pensione stessa. La eccezionalità della norma deve, pertanto, ravvisarsi, alla luce dei principi appena richiamati, nella peculiarità della fattispecie prevista, che consente la prosecuzione del rapporto di pubblico impiego del dipendente per quanto part time ed il contemporaneo conseguimento del trattamento pensionistico di anzianità in costanza di rapporto, sia pure trasformato, con lo stesso datore di lavoro. Da tali considerazioni deve discendere pertanto l'intangibilità di una disciplina eccezionale, che sicuramente risulta derogatoria rispetto ai principi in materia pensionistica quanto al conseguimento del diritto alla prestazione, da parte di normativa generale successiva che abolisce il divieto di cumulo, ma comunque mantiene fermo il principio della necessità di interruzione del rapporto lavorativo. Ciò si desume anche da quanto previsto testualmente dal 2 comma, parte seconda dell'articolo 44 l. 27.12.2002 numero 289, laddove è previsto che la disposizione si applica - oltre che agli iscritti alle forme di previdenza di cui al comma 1, già pensionati di anzianità alla data del 1 dicembre 2002 e nei cui confronti trovino applicazione i regimi di divieto parziale o totale di cumulo articolo 44 comma 2, I parte l. citata - anche agli iscritti che hanno maturato i requisiti per il pensionamento di anzianità, hanno interrotto il rapporto di lavoro e presentato domanda di pensionamento entro il 30 novembre 2002. Alla luce delle svolte considerazioni deve, allora, ritenersi che non possa trovare spazio alcuna censura sul piano costituzionale per irragionevole permanere della disciplina limitativa del cumulo per il solo settore pubblico, essendo la normativa generale successiva, per quanto detto, non applicabile alle ipotesi del particolare pensionamento anticipato, rappresentata dal caso di coloro, che una volta acquisito il diritto alla pensione di anzianità sono passati al regime part time senza interruzione del rapporto lavorativo, continuando, dunque, a lavorare percependo una parte di pensione ed una di stipendio, con esplicita previsione che la somma dell'ammontare della pensione e della retribuzione dei dipendenti part time non possa in ogni caso superare l'ammontare della retribuzione spettante al lavoratore che, a parità di altre condizioni, presta la sua opera a tempo pieno. Il ricorso deve, pertanto, essere accolto e di conseguenza la sentenza impugnata va cassata senza rinvio ai sensi dell'articolo 384 c.p.c., comma 1, ultimo periodo , in relazione al detto accoglimento, in quanto la causa può essere decisa nel merito, sulla base del principio di diritto enunciato - senza che siano necessari all'uopo accertamenti di fatto - e, per l'effetto, va rigettata la domanda della controricorrente. La peculiarità della questione trattata e l'esistenza di consolidato orientamento giurisprudenziale di merito difforme costituiscono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di lite dell'intero processo. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda. Compensa tra le parti le spese di lite dell'intero processo.