La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato l’Italia, con sentenza del 29 gennaio 2013, al risarcimento danni nei confronti di un padre separato, cui non è stato garantita in concreto la realizzazione del diritto di visita alla figlia.
Così ha deciso la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, decidendo il caso numero 25704/11 con la sentenza del 29 gennaio 2013. La violazione del diritto di visita. Una coppia si separa. Hanno una figlia di due anni, che vivrà con la madre. Il padre ha il diritto di visita, che però non viene rispettato, la madre non vuole più che la bambina veda il padre, fa di tutto per evitarlo. Ci sono 8 anni di ricorsi e decisioni giudiziarie che riconoscono il diritto di visita. La madre viene anche condannata ad un mese di reclusione per violazione di decisioni giudiziarie in materia di visita. Stanco di veder riconosciuto il proprio diritto senza alcuna applicazione concreta, conscio che il rapporto con la figlia sia ormai tutto da ricostruire, ricorre davanti alla Corte di Strasburgo. Il diritto al rispetto della vita familiare. La Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, sancisce, all’articolo 8, che ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare. Il genitore, derubato di un rapporto stabile con la figlia, ritiene che lo Stato italiano abbia violato tale disposizione. Chiede quindi un risarcimento di 230 mila euro. Secondo il Governo è stato fatto il possibile. Il Governo italiano si oppone al ricorso. Sostiene innanzitutto che non spetta alla Corte sostituirsi alle autorità nazionali su un tema tanto delicato, quale è la valutazione dell’interesse del bambino. C’è il rischio di lesione del potere discrezionale dello Stato. Difende inoltre la legittimità e la validità delle misure adottate. Le autorità competenti hanno mantenuto un’adeguata vigilanza sulla tutela dell’interesse del padre e del figlio. La sentenza penale a carico della madre, segnale dell’attivismo dello Stato, non è peraltro definitiva. I servizi sociali hanno fatto il possibile per favorire gli incontri. La vita familiare deve essere garantita in positivo. La Corte ricorda che la funzione dell’articolo 8 della Convenzione non è solo di evitare ingerenze da parte dello Stato. C’è anche un obbligo positivo di garanzia in capo alle autorità nazionali. La vita familiare deve essere tutelata anche garantendo al padre di poter incontrare la figlia, nei casi di conflittualità tra i due genitori. Importante è la rapidità di esecuzione. Lo Stato deve adottare misure adeguate, che però devono essere prese in tempi brevi. Il trascorrere del tempo, infatti, può aver conseguenze irrimediabili per i rapporti tra il bambino ed il genitore che non vive con lui. L’adeguatezza della misura dipende anche dalla rapidità della sua attuazione. I Tribunali sono stati inerti. La Corte di Strasburgo afferma che certamente le autorità interne possono avere più elementi a disposizione per decidere, ma nel caso concreto non hanno provveduto in maniera diretta e concreta al restauro del rapporto tra il padre e la figlia. I tribunali si sono limitati a riconoscere la non esecuzione delle loro sentenze, «sono restati al di sotto di quello che ci si poteva ragionevolmente attendere da loro, delegando la gestione degli incontri ai servizi sociali». Lo Stato deve pagare almeno un’equa soddisfazione. Per questi motivi la Corte riconosce al padre 10 mila euro di risarcimento per le spese giudiziali sostenute. Inoltre, condanna lo Stato a versare al padre 15 mila euro, per equa soddisfazione, poiché il diritto interno non consente di rimuovere la violazione. La richiesta di risarcimento, da parte del genitore, è eccessiva nella quantificazione, ma corretta, essendoci stato un danno non patrimoniale di non poco rilievo è stato rovinato un rapporto genitoriale.
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