A seguito della privatizzazione del pubblico impiego, la disciplina del trattamento giuridico ed economico dei dipendenti pubblici, tra cui, ai sensi dell'articolo 1, comma 2, d.lgs. numero 165/2001, sono ricompresi anche i dipendenti delle regioni, compete unicamente al legislatore statale, rientrando nella materia “ordinamento civile”.
Consegue che la domanda proposta dal dipendente della Regione Abruzzo, volta ad ottenere il diritto alla perequazione della retribuzione individuale di anzianità, ai sensi dell’articolo 43, L.R. Abruzzo numero 6/2005 sia infondata, in quanto basata su norma dichiarata costituzionalmente illegittima, poiché eccedente dall'ambito di competenza riservato al legislatore regionale invadendo la materia dell'«ordinamento civile», riservata alla potestà legislativa esclusiva dello Stato. Così deciso dalla Corte di Cassazione sezione Sesta Civile - L, con la sentenza numero 18024, pubblicata l’11 settembre 2015. Domanda di un dipendente della Regione Abruzzo di riconoscimento del diritto alla perequazione della retribuzione individuale di anzianità e conseguenti differenze retributive spettanti. Un dipendente della Regione Abruzzo agiva in giudizio al fine di ottenere il riconoscimento del diritto alla perequazione della retribuzione individuale di anzianità r.i.a. percepita, in rapporto a quella percepita da altri dipendenti regionali inquadrati in pari ruolo ciò ai sensi di quanto previsto dall’articolo 43 della Legge Regione Abruzzo numero 6 del 2005 e numero 16 del 2008. Il Tribunale accoglieva la domanda, condannando l’Ente al pagamento delle differenze retributive accertate. Proponeva appello la Regione Abruzzo, ma la Corte d’Appello rigettava il gravame. Ricorreva allora in Cassazione la Regione, mentre il dipendente proponeva a sua volta controricorso, eccependo la tardività del ricorso di legittimità. Il ricorso per cassazione ai sensi dell’articolo 348 ter c.p.c I giudici di legittimità valutano prima di tutto la censura di tardività del ricorso, proposta dal contro ricorrente. Si sostiene che il ricorso sarebbe tardivo, poiché proposto oltre il termine di 60 giorni decorrente, nel caso in esame, dalla comunicazione a mezzo PEC della pronuncia della Corte d’Appello. Questa aveva deciso l’appello della regione pronunciando ordinanza ai sensi dell’articolo 348 bis c.p.c., in quanto non aveva ragionevole probabilità di essere accolto. Di conseguenza la regione ricorrente ha proposto ricorso per cassazione avverso il provvedimento di primo grado, come previsto dall’articolo 348 ter c.p.c. Come detto, l’intimato controricorrente sostiene la tardività del ricorso. La Corte di legittimità non condivide l’assunto. La comunicazione inviata dalla cancelleria della corte d’appello a mezzo PEC indica semplicemente che l’appello era stato dichiarato inammissibile, senza specificare altro. E dunque, secondo la Suprema Corte, tale comunicazione era inidonea a far decorrere i termini per l’impugnazione prevista dall’articolo 348 ter c.p.c La parte soccombente infatti deve essere messa in condizioni, senza dubbio alcuno, che trattasi dell’ordinanza di inammissibilità pronunciata ai sensi dell’articolo 348 bis c.p.c., implicante il particolare regime di impugnazione. Se dunque può non essere allegato alla comunicazione il testo integrale dell’ordinanza, è condizione indispensabile la specificazione della natura dell’ordinanza pronunciata. Il preteso diritto alla perequazione della retribuzione. Esaminando la controversia nel merito, i giudici di legittimità osservano che la domanda non può essere accolta, poiché fondata su norma contraria ai principi costituzionali. Con l’articolo 43, legge regionale numero 6/2005 la Regione Abruzzo aveva introdotto principi perequativi della retribuzione dei dipendenti provenienti da altre amministrazioni pubbliche, tenuto conto di quanto percepito al momento dell’inserimento nei ruoli regionali. Così la norma invocata «Ai dipendenti che alla data del 1989 erano inquadrati in ruolo in una delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, d.lgs. numero 165/2001 “Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche” è riconosciuto, ai fini perequativi, lo stesso trattamento economico di anzianità attribuito ai dipendenti appartenenti alla medesima qualifica ai quali è stato applicato il comma 1, quantificato tenendo conto dell'ammontare maggiore percepito, a parità di anzianità di servizio, al momento dell'inquadramento in ruolo regionale, nella qualifica attualmente ricoperta». La materia del trattamento economico di esclusiva competenza statale. La domanda proposta dal pubblico dipendente non può essere accolta. La Suprema Corte osserva che nella materia si era espressa la Corte Costituzionale che con la sentenza 9 luglio 2014 numero 211 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’invocato articolo 43 della Legge regionale numero 6 del 2005. La Corte Costituzionale ha affermato che la disposizione censurata incide sul trattamento economico dei dipendenti regionali prevedendone un incremento allorché ricorrano le condizioni previste. Essa, dunque, eccede dall'ambito di competenza riservato al legislatore regionale invadendo la materia dell'«ordinamento civile», riservata alla potestà legislativa esclusiva dello Stato. Poiché dunque la domanda originaria del dipendente si basava su norma ormai priva di efficacia “ ex tunc ” a seguito dell’intervenuta declaratoria di illegittimità costituzionale, la Corte ha deciso la controversia nel merito, rigettando la domanda, in accoglimento del ricorso per cassazione proposto dalla Regione Abruzzo.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – L, sentenza 22 luglio – 11 settembre 2015, numero 18024 Presidente/Relatore Curzio Ragioni della decisione 1. La Corte d'appello dell'Aquila ha rigettato il ricorso della regione Abruzzo contro la sentenza di primo grado che aveva dichiarato il diritto della parte intimata indicata in epigrafe alla perequazione della retribuzione individuale di anzianità r.i.a. a quella percepita da altri dipendenti inquadrati in pari ruolo. Ciò a norma degli articoli 1, L.R. Abruzzo numero 16 del 2008 43, L.R. Abruzzo numero 6 del 2005, e 1, L.R. Abruzzo numero 118 del 1998, fino all'abrogazione sopravvenuta per effetto della L.R. Abruzzo numero 24 del 2011, condannando di conseguenza la Regione a corrispondere al dipendente le relative differenze retributive maggiorate degli interessi legali. 2. La Corte di merito, per quello che interessa in questa sede, ricostruito il quadro normativo di riferimento e precisato che il meccanismo perequativo di cui alla legge regionale. numero 118 del 1999, come modificata dalla legge regionale numero 6 del 2005, era stato esteso, per effetto della legge regionale numero 16 del 2008, a tutti i dipendenti regionali aventi medesimo inquadramento in ruolo e qualifica in qualunque modo vi avessero avuto accesso, riteneva riferibile l'operatività del predetto meccanismo perequativo non già all'epoca dell'immissione in ruolo del dipendente interessato all'equiparazione, quanto piuttosto al momento dell'accesso nei ruoli regionali del dipendente proveniente dall'esterno che godeva di una più elevata retribuzione di anzianità in relazione alla quale doveva attuarsi la perequazione. 3. La Regione Abruzzo ricorre in Cassazione sulla base di tre motivi. La controparte si è difesa con controricorso ed ha depositato una memoria. 4. Deve essere esaminata prima di tutto l'eccezione di tardività del ricorso per cassazione formulata dalla parte controricorrente in memoria. Si sostiene che il ricorso per cassazione sarebbe tardivo perché il termine di 60 giorni nel caso specifico deve essere calcolato con decorrenza non dalla notifica del provvedimento impugnato nel qual caso sarebbe in termini , bensì dalla comunicazione a mezzo p.c.c. all'Avvocatura dello Stato. 5. L'eccezione non è fondata. 6. È necessario precisare che la Corte d'appello dell'Aquila si è pronunciata con ordinanza ai sensi dell'articolo 348 bis c.p.c., dichiarando l'appello inammissibile perché non aveva ragionevole probabilità di essere accolto. Il ricorso per cassazione è stato quindi proposto contro il provvedimento di primo grado ai sensi dell'articolo 348-ter, terzo comma, c.p.c. 7. La seconda parte di tale comma disciplina la decorrenza del termine per proporre ricorso per cassazione, disponendo In tal caso, il termine per il ricorso per cassazione avverso il provvedimento di primo grado decorre dalla comunicazione o notificazione, se anteriore, dell'ordinanza che dichiara l'inammissibilità. Si applica l'articolo 327 in quanto compatibile . 8. Quindi, il provvedimento oggetto dell'impugnazione è la sentenza di primo grado, ma il termine per ricorrere per cassazione decorre dalla comunicazione o notificazione se anteriore della ordinanza di inammissibilità emessa dal giudice di appello. 9. La parte che solleva l'eccezione sostiene che nel caso in esame la comunicazione dell'ordinanza sarebbe stata anteriore alla notificazione e sarebbe avvenuta il giorno 11 luglio 2013 a mezzo posta elettronica certificata. Poiché il ricorso per cassazione è stato rimesso per la notifica all'ufficiale giudiziario in data 2 ottobre 2013, esso risulterebbe tardivo e quindi inammissibile. 10.Per dimostrare il proprio assunto la parte che solleva l'eccezione richiama i documenti nnumero 1 e 2 del fascicolo depositato in Cassazione. Tali documenti sono un biglietto di cancelleria della Corte d'appello notificato alla p.c.c. in cancelleria in data 11 luglio 2013, in cui si comunica il deposito di un provvedimento relativo all'appello di cui si dice dichiarato inammissibile , indicando il numero di ruolo, il giudice, le parti. Mentre il provvedimento allegato come documento successivo non è un'ordinanza, bensì una sentenza emessa dalla medesima Corte nella controversia tra la regione Abruzzo ed altro lavoratore L.E.M Sentenza pubblicata il 10 aprile 2013, con la quale il ricorso non viene dichiarato inammissibile, ma viene rigettato. 11.Pertanto, viene solo provato che con comunicazione via p.e.c. del giorno 11 luglio 2013 fu comunicato all'Avvocatura un provvedimento di inammissibilità, senza specificare nè il tipo di provvedimento ordinanza o sentenza , né tanto meno che si trattasse di ordinanza ex articolo 348-bis, c.p.c. 12.Tale comunicazione non è idonea a far decorrere il termine per il ricorso per cassazione ai sensi dell'articolo 348-ter, terzo comma, C.P.C. 13. Come si è visto, questo termine decorre dalla comunicazione o notificazione, se anteriore, della ordinanza, che dichiara l'inammissibilità . Dalla lettura degli arti. 348-bis e ter si deduce che la comunicazione deve, quanto meno, precisare che trattasi di ordinanza di inammissibilità ex articolo 348-bis. Quindi ordinanza e non sentenza e di inammissibilità dell'appello per mancanza di ragionevole probabilità di accoglimento non di inammissibilità per altre ragioni, di cui alla prima parte dell'articolo 348-bis . 14.L'indispensabilità di questa precisazione nella comunicazione della cancelleria deriva, oltre che dall'interpretazione letterale, anche da ragioni di carattere teleologico e sistematico. Infatti, se la disciplina della decorrenza del termine per ricorrere in Cassazione è speciale nel caso in cui il giudice di appello abbia emesso una ordinanza di inammissibilità ex articolo 348-bis, la parte che riceve la comunicazione deve, quanto meno, essere messa in grado di sapere che è stato emesso un provvedimento di quel tipo, implicante un regime speciale d'impugnazione. 15. Nel caso in esame, non è stato comunicato il testo dell'ordinanza e non si è neanche precisato che si trattava di un'ordinanza ex articolo 348-bis. La parte destinataria della comunicazione non è stata quindi messa in grado di comprendere che il provvedimento era del tipo previsto dall'art 348-bis, c.p.c., e che aveva, di conseguenza, l'onere di impugnarlo con le modalità e con la decorrenza termini previste dal terzo comma dell'articolo 348-ter, c.p.c. 16. Anche nell'ordinanza di questa Corte in cui si sostiene che, pur a seguito della modifica del secondo comma dell'articolo 133, c.p.c. introdotta dall'articolo 45, primo comma, lett. b, del d.l. 90/2014, convertito con modificazioni in 1. 114/2014 , per la decorrenza dei termine d'impugnazione previsto dall'articolo 348-ter, c.p.c. è irrilevante che la comunicazione contenga il testo integrale del provvedimento, si ha tuttavia cura di precisare che la comunicazione deve permettere di comprendere la natura del provvedimento Cass., terza sezione, 5 novembre 2014, numero 23526, paragrafo IVA, ultimo capoverso, nonché paragrafo 111.2, in cui si precisa che il termine non decorrerebbe, in estensione delle conclusioni già raggiunte per fattispecie analoghe, ove in concreto fosse del tutto impossibile ricavare dalla comunicazione trattarsi di ordinanza resa ai sensi dell'articolo 348-bis, c.p.c. ed in quanto tale, idonea a far decorrere il termine ordinario suddetto avverso il provvedimento di primo grado 17. Pertanto, nel caso in esame il termine per proporre ricorso per cassazione non può essere computato con decorrenza dalla comunicazione della cancelleria e di conseguenza il ricorso non è tardivo. 18. Come si è detto, il ricorso è articolato in tre motivi. Con il primo si deduce la violazione dell' articolo 43 della L. R. Abruzzo numero 6 del 2005 come modificato dall'articolo 1 comma 2 della L. R. Abruzzo numero 16 del 2008 alla luce degli articolo 36 e 117 della Costituzione e si rileva che l'impianto della normativa regionale, su cui si fonda l'impugnata sentenza, risulta adottato in violazione della riserva di competenza alla contrattazione collettiva del profilo retributivo del personale dipendente della Regione Abruzzo, oltre che in violazione dei criteri di riparto fra legislatore statale e regionale nonché del parametro regolatore di cui all'articolo 36 Cost. Si chiede pertanto che sia disapplicata la predetta normativa regionale o, in subordine, che sia sollevata la questione di legittimità costituzionale delle citate norme previa valutazione della non manifesta infondatezza della questione. 19. Con il secondo motivo la Regione Abruzzo denunzia la violazione e falsa applicazione degli articolo 43 della Legge regionale Abruzzo numero 6 del 2005, come modificato dall'articolo 1, 2° comma, Legge regionale Abruzzo numero 16 del 2008, criticando la sentenza impugnata per aver legittimato, con la sua interpretazione, un allineamento dinamico verso l'alto della voce retributiva. 20. Con l'ultimo motivo di ricorso la Regione denuncia violazione dell'articolo 112 c.p.c. e dell'articolo 360 comma 1 numero 4 c.p.c., sostenendo che la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto corretta la condanna generica pronunciata dal giudice di primo grado sebbene fosse stata chiesta una condanna specifica così restando irrisolto ogni problema connesso alla quantificazione delle somme chieste. 21. Dopo la proposizione del ricorso per cassazione, la Corte costituzionale, con sentenza 9 luglio 2014, numero 211, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale delle norme su cui si fonda la domanda articolo 43 della 1.r. Abruzzo 8 febbraio 2005 numero 6 Disposizioni finanziarie per la redazione del bilancio annuale 2005 e pluriennale 2005-2007 della Legge Regione Abruzzo - Legge finanziaria regionale 2005 , come sostituito dall'articolo 1, comma 2, della 1.r. Abruzzo 21 novembre 2008, numero 16 Provvedimenti urgenti ed indifferibili . 22. Investita dal Tribunale di Teramo della questione di legittimità costituzionale di tali norme in riferimento all'articolo 117, secondo comma, lettera 1 , della Costituzione, la Corte costituzionale ha ricordato che la disciplina del trattamento economico dei dipendenti regionali rientra nella materia dell'ordinamento civile che appartiene alla potestà legislativa esclusiva dello Stato. Di conseguenza ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 43 della predetta 1.r. Abruzzo 8 febbraio 2005 numero 6 come sostituito dall' articolo 1, comma 2, della 1.r. Abruzzo 21 novembre 2008 numero 16 nella parte in cui introduce il comma 2-bis nell'articolo Legge della 1.r. Abruzzo 13 ottobre 1998 numero 118 Riconoscimento agli effetti economici della anzianità di servizio prestato presso lo Stato, Enti Pubblici, Enti Locali e Regioni, nei confronti del personale inquadrato nel ruolo regionale a seguito di pubblici concorsi ed estensione dei benefici previsti dalla L. numero 144 del 1989 al personale ex L. numero 285 del 1977 . 23.A fondamento di questa conclusione, la Corte rileva l'articolo 43 della citata 1.r. numero 6 del 2005, nel disciplinare la retribuzione individuale di anzianità dei dipendenti regionali, allineandone l'ammontare a quello percepito dai dipendenti che, provenendo da altre amministrazioni, sono transitati nei ruoli regionali, incide sul trattamento economico dei dipendenti regionali e, quindi, eccede dall'ambito di competenza riservato al legislatore regionale invadendo la materia dell'ordinamento civile, riservata alla potestà legislativa esclusiva dello Stato . 24. Nella memoria depositata ai sensi dell'articolo 378 c.p.c. la parte controricorrente sostiene che tale sentenza non potrebbe essere applicata alla fattispecie in esame atteso che la Regione Abruzzo, sia in appello che oggi davanti a questa Corte, ha chiesto solo una diversa interpretazione del dettato normativo circa i criteri di quantificazione del calcolo della r.i.a. e non ha riproposto nessuna delle eccezioni di incostituzionalità per violazione degli articolo 3, 97, 81 comma 4 e 117 Cost. disattese dal Tribunale, ritenendo così sostanzialmente pacifico il diritto alla perequazione della r.i.a. e contestandone esclusivamente il criterio di calcolo. 25.In sostanza su tale diritto si sarebbe formato un giudicato che precluderebbe l'applicazione della sopravvenuta pronuncia di incostituzionalità della norma. 26.Tale ricostruzione non è condivisibile. Va rammentato in proposito che il giudicato interno si forma solo su capi autonomi della sentenza che risolvano questioni aventi una propria individualità e autonomia e siano tali da integrare una decisione indipendente cfr. Cass. numero 6304 del 2014 . Manca la suddetta autonomia non solo nelle mere argomentazioni, ma anche quando si verta in tema di valutazione di presupposti necessari di fatto che, unitamente ad altri, concorrono a formare un capo unico della decisione cfr. Cass. numero 4732 del 2012 v. anche Cass. 19345 del 2011 e 22409 del 2008 . 27. La circostanza che con l'appello siano stati contestati i criteri di quantificazione della ria., allora, non determina il passaggio in giudicato del diritto alla riliquidazione, né tanto meno una forma di acquiescenza da parte della Regione. Il diritto alla riliquidazione della r.i.a., infatti, in tanto sussiste in quanto concretamente si applichino i criteri di quantificazione individuati dalla disciplina dichiarata incostituzionale. Sussistenza del diritto e criteri di quantificazione sono indissolubilmente legati tra loro. 29. Questo indissolubile legame comporta che l'appello, anche se mirato contro i criteri di quantificazione, ha determinato una situazione di fluidità inibendo il formarsi del giudicato sulla sussistenza del diritto. Parimenti esso comporta l'incompatibilità dell'appello con ogni forma di acquiescenza da parte della Regione, escludendo, in particolare, la qualificabilità della situazione processuale determinatasi come appello parziale implicante l'acquiescenza in ordine alle parti della sentenza non specificamente impugnate. 30.11 diritto alla riliquidazione della r.i.a. bene della vita azionato in giudizio si realizza mediante i criteri di quantificazione, oggetto di censura in appello, di cui alla disciplina dichiarata incostituzionale, e viene meno a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale, senza che possa ritenersi formato un giudicato sul punto. 31.Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto la controversia può essere decisa nel merito, ai sensi del secondo comma dell'articolo 384 c.p.c. la domanda originaria deve essere rigettata, perché il diritto desumibile dalla normativa regionale è venuto meno, con efficacia `ex tunc', a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale di tale normativa. 32. Poiché l' intervento della Corte costituzionale è successivo al deposito del ricorso per cassazione devono ritenersi sussistenti le ragioni di cui all'articolo 92, secondo comma, c.p.c. per compensare tra le parti le spese dell'intero processo. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa il provvedimento impugnato e, decidendo nel merito, rigetta la domanda. Compensa tra le parti le spese dell'intero processo.