Assegno negato se non è provato l’incollocamento al lavoro… e la prova è a carico del richiedente

In materia di assegno di invalidità civile, fino all’entrata in vigore della legge numero 247/2007, il disabile che richiede l’assegno deve provare di non aver lavorato e di essersi attivato per essere avviato al lavoro nelle forme riservate ai disabili. Il requisito della “incollocazione al lavoro” - previsto dall'articolo 13, legge numero 118/1971, prima della sostituzione ex articolo 1, comma 35, l. numero 247/2007 - , può essere integrato, nel regime introdotto dalla legge numero 68/1999, anche dalla domanda rivolta alle commissioni sanitarie per l'accertamento dello stato di invalidità, presupposto di iscrizione negli elenchi degli aspiranti al collocamento agevolato.

Lo afferma la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con la sentenza numero 5245, pubblicata il 17 marzo 2015. Domanda di riconoscimento di assegno di invalidità civile, negata in sede amministrativa e giudiziaria, per mancanza dei requisiti necessari. Un soggetto invalido aveva richiesto l’assegno di invalidità previsto dall’articolo 13, legge numero 118/1971. Il giudice di primo grado allora Pretore adito aveva respinto la domanda, ritenendo l’insussistenza dei requisiti necessari, sia sanitario che giuridico economico. Proposto appello, la Corte d’Appello lo rigettava, confermando la sentenza di primo grado. Proponeva così ricorso in cassazione il richiedente l’assegno. Il principio di diritto della “ragione più liquida”. La Suprema Corte preliminarmente richiama un principio di diritto, recentemente affermato dalle Sezioni Unite, numero 9936/2014 , il principio processuale della ragione più liquida , desumibile dagli articolo 24 e 111, Cost., secondo il quale deve ritenersi consentito al giudice esaminare un motivo di merito, suscettibile di assicurare la definizione del giudizio, anche in presenza di una questione pregiudiziale. In applicazione a tale principio la Corte si limita ad esaminare un solo motivo di ricorso, ritenendolo infondato poiché contrario alla consolidata giurisprudenza della Corte in materia di requisito di incollocabilità al lavoro, necessario per il riconoscimento del diritto all’assegno. E ciò basta a determinare il rigetto del ricorso, rendendo superfluo esaminare gli ulteriori motivi di impugnazione. L’assegno di invalidità ex articolo 13, Legge numero 118/1971. La vicenda nel merito prende spunto dalla domanda di riconoscimento ad un soggetto non più collocabile al lavoro dell’assegno di invalidità previsto dall’articolo 13, legge numero 118/1971, che così recita «Agli invalidi civili di età compresa fra il diciottesimo e il sessantaquattresimo anno nei cui confronti sia accertata una riduzione della capacità lavorativa, nella misura pari o superiore al 74%, che non svolgono attività lavorativa e per il tempo in cui tale condizione sussiste, è concesso, a carico dello Stato ed erogato dall'INPS, un assegno mensile di euro 242,84 per 13 mensilità, con le stesse condizioni e modalità previste per l'assegnazione della pensione di cui all'articolo 12». Il requisito della incollocazione al lavoro. La Corte d’appello, come il giudice di primo grado, aveva negato il diritto del ricorrente all’assegno ritenendo non provato il cosiddetto requisito dell’incollocazione al lavoro necessario per poter beneficiare dell’assegno di invalidità. Il disabile che richiede l'assegno d'invalidità civile deve provare non solo di non aver lavorato, ma anche di essersi attivato per essere avviato al lavoro nelle forme riservate ai disabili. Questa attivazione, sino a quando le commissioni mediche competenti all'accertamento delle condizioni sanitarie per l'iscrizione negli elenchi non si sono pronunciate, può essere provato dimostrando di aver richiesto detto accertamento una volta intervenuto l'accertamento positivo, dimostrando di essere stato iscritto negli elenchi o quanto meno di aver richiesto l'iscrizione. La prova a carico del richiedente il beneficio Nel caso specifico il richiedente non ha assolto l’onere della prova a proprio carico. La Corte d’Appello ha respinto la domanda per difetto della prova dell’incollocabilità al lavoro, ritenendo insufficiente la deduzione secondo la quale l’iscrizione negli elenchi provinciali per il collocamento obbligatorio non sarebbe stata possibile, non essendo stato riconosciuto invalido in misura superiore al 45%. E’ risultato in giudizio che il ricorrente nemmeno si è attivato al fine di richiedere tale iscrizione, assolvendo il minimo incombente richiesto. Secondo la Corte di Cassazione, la corte di merito ha correttamente applicato i principi di diritto in materia, dando logica e corretta motivazione della decisione assunta. Conseguentemente il ricorso proposto è stato rigettato.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 18 dicembre 2014 – 17 marzo 2015, numero 5245 Presidente Macioce – Relatore Ghinoy Ragione della decisione I. Con la sentenza numero 401 del 2007 la Corte d'appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, decidendo quale giudice di rinvio, dopo avere disposto il rinnovo della c.t.u. medico-legale, confermava la sentenza del Pretore di Cagliari che aveva respinto la domanda proposta da C.C. al fine di ottenere l'assegno di invalidità civile, ritenendo l'insussistenza sia del requisito sanitario che di quello giuridico-economico previsti dall'articolo 13 della L. numero 118 del 1971. 2. Per la cassazione di tale sentenza C.C. ha proposto ricorso, affidato a quattro motivi. II Ministero dell'interno è rimasto intimato. 3. Come primo motivo la ricorrente lamenta violazione ed erronea applicazione degli articoli 2 e 3 del D.lgs. 2311111988 numero 509, dell'articolo 1, prima parte, della Tabella indicativa delle percentuali di invalidità approvata con Dm 51211992 numero 43 e dell'articolo 2,comma 2, della L. 26/7/1988 numero 291. Si duole che la Corte d'appello non abbia applicato la maggiorazione prevista dell'articolo 1 della prima parte della Tabella indicativa delle percentuali di invalidità approvata con D.M. 43 del 1992, che introduce la possibilità di variazioni in più del valore base, non superiori a cinque punti percentuali, nel caso in cui vi sia anche incidenza sulle occupazioni confacenti alle attitudini del soggetto capacità cosiddetta semi specifica e sulla capacità lavorativa specifica. Fa presente che già nel ricorso per riassunzione si sosteneva la necessità di applicare tale maggiorazione, considerato che le patologie riscontrate incidevano sull'attività da lei svolta, di casalinga. 4. Come secondo motivo lamenta la violazione e/o errata applicazione degli articoli 2 e 3 del D.lgs. 23111188 numero 509 e dell'articolo 3 delle Modalità d'uso della nuova tabella per la valutazione dell'invalidità civile approvata con D.M. 5/211992 numero 43. Lamenta che la Corte, dichiarando di applicare criteri di sintesi, non abbia aggiunto al 70% di invalidità valutato dal consulente del Pretore e confermato dal c.t.u. nominato nel giudizio di rinvio il 25% di invalidità per la sindrome depressiva non valutata dal primo c.t.u 5. Come terzo motivo lamenta violazione c/o erronea applicazione dell'articolo 149 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile e lamenta che la Corte d'appello non abbia tenuto conto della malattia cardiaca risultante dalla consulenza tecnica di parte, prodotta unitamente al ricorso in riassunzione. 6. Come quarto motivo lamenta la violazione e falsa applicazione dell'articolo 7 del D.Igs. 23111/88 numero 509, dell'ars. 13 della L. legge 30.3.1971 numero 118 e dell'articolo 1 comma 249 della L. 23112/1996 numero 662, laddove la Corte ha ritenuto che facesse difetto la prova del requisito dell'incollocabilità al lavoro dellaC. per il periodo anteriore al compimento del 65° anno di età rileva che l'iscrizione negli elenchi provinciali del lavoro e della massima occupazione ai fini dell'assunzione obbligatoria non era nel caso possibile, non essendole stata riconosciuta un'invalidità superiore al 45%. 7. La Corte d'appello ha confermato il rigetto della domanda proposta dalla C. per due concorrenti ordini di ragioni, configuranti rationes decidendi autonome l'insussistenza del requisito sanitario, accertata sulla base della disposta c.t.u., e l'insussistenza del requisito giuridico economico dell'incollocamento al lavoro. I primi tre motivi di ricorso attengono alla prima ratio, il quarto alla seconda. 8. L'infondatezza del quarto motivo, che risulta evidente sulla base della giurisprudenza consolidata di questa Corte, è di per sé decisiva e sufficiente a determinare il rigetto del ricorso, manifestando l'insussistenza di almeno uno degli elementi costitutivi della domanda. Ritiene quindi questa Corte di esaminare prioritariamente le questioni ivi poste, in forza del principio espresso con la recente sentenza delle Sezioni Unite 8 maggio 2014, numero 9936 seguita da Cass. 28 maggio 2014, numero 12002 , in applicazione del principio della ragione più liquida , che trae fondamento dalle disposizioni di cui agli articolo 24 e 111 Cost., interpretati nel senso che la tutela giurisdizionale deve risultare effettiva e celere per le parti in giudizio. 9. E difatti, come ribadito ancora di recente da Cass. sez. 6, ord. numero 17508 del 2014, lo stato di incollocamento al lavoro rappresenta al pari della ridotta capacità lavorativa e del requisito economico e reddituale di cui alla L. numero 118 del 1971, arti. 12 e 13 un elemento costitutivo del diritto alla prestazione, la cui prova è a carico del soggetto richiedente. 10. Richiamando la motivazione resa nell'ordinanza sopra indicata, si ribadisce che l'originaria disciplina di cui alla L. numero 482 del 1968, articolo 19, comma 2, in materia di iscrizione negli elenchi degli invalidi per le assunzioni obbligatorie, recitava La richiesta di iscrizione è presentata direttamente dagli interessati o dalle associazioni, opere, enti di cui all'articolo 15, u.c., munita della necessaria documentazione concernente la sussistenza dei requisiti che, a norma delle leggi in vigore, danno titolo al collocamento obbligatorio, le attitudini lavorative e professionali del richiedente anche in relazione all'occupazione cui aspira, e per coloro che hanno menomazioni fisiche, una dichiarazione legalizzata di un ufficiale sanitario, comprovante che l'invalido, per la natura e il grado della mutilazione o invalidità, non può riuscire di pregiudizio alla salute e alla incolumità dei compagni di lavoro od alla sicurezza degli impianti . Dunque, nella vigenza della L. numero 482 del 1968 epoca nella quale laC. ha presentato la domanda amministrativa avente ad oggetto l'assegno ordinario, del 15.4.1992 , in materia di collocamento degli invalidi non erano dettate regole sulla documentazione della domanda per l'iscrizione negli elenchi degli invalidi civili, che formalmente ne subordinassero l'ammissibilità al previo riconoscimento del previsto grado di invalidità da parte delle apposite commissioni. 11. La normativa dettata dalla L. numero 482 del 1968 è stata poi modificata dalla L. numero 68 del 1999 e successivamente dalla L. n 247 del 2007. La L. numero 68 del 1999, vigente fino al 1 gennaio 2008, all'articolo 1, comma 1, prevedeva che la legge si applicasse alle persone in età lavorativa affette da minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali e ai portatori di handicap intellettivo, che comportino una riduzione della capacità lavorativa superiore al 45 per cento, accertata dalle competenti commissioni per il riconoscimento dell'invalidità civile in conformità alla tabella indicativa delle percentuali di invalidità per minorazioni e malattie invalidanti approvata, ai sensi del DLgs_ 23 novembre 1988, numero 509, articolo 2, dal Ministero della sanità sulla base della classificazione internazionale delle menomazioni elaborata dalla Organizzazione mondiale della sanità. Il quarto comma dello stesso articolo precisava che 'L'accertamento delle condizioni di disabilità di cui al presente articolo, che danno diritto di accedere al sistema per l' inserimento lavorativo dei disabili, è effettuato dalle commissioni di cui alla L. 5 febbraio 1992, numero 104, articolo 4 secondo i criteri indica nell'atto di indirizzo e coordinamento emanato dal Presidente del Consiglio dei ministri . . Infine l'articolo 8, comma 1, con specifico riferimento all'avviamento al lavoro, e all'iscrizione nei relativi elenchi, faceva riferimento alle persone di cui all'ars. 1, comma 1 . In questo quadro, per le fattispecie regolate ratione temporis dalla più recente disciplina l'esperimento del procedimento per l'accertamento dell'invalidità da parte delle apposite commissioni è propedeutico all'iscrizione negli elenchi degli invalidi aspiranti al collocamento agevolato. Ciò fin quando la L. 24 dicembre 2007, numero 247, articolo 1, comma 35, non ha sostituito il testo della L. numero 118 del 1971, articolo 13, introducendo, in luogo del requisito dell'incollocazione, quello più generico del mancato svolgimento di attività lavorativa. In definitiva, come chiarito ancora da Cass. numero 9502 del 2012 e numero 19833 del 2013, il requisito della incollocazione al lavoro previsto dalla L. numero 118 del 1971, articolo 13, nello specifico contesto normativo che caratterizza il periodo di tempo tra l'entrata in vigore della L. numero 68 del 1999, e l'entrata in vigore della L. numero 247 deI 2007, poteva dirsi sussistente qualora l'interessato, che ne ha l'onere, provasse 1 di non aver svolto attività lavorativa e 2 di aver richiesto I' accertamento di una riduzione dell'attività lavorativa, in misura tale da consentirgli l'iscrizione negli elenchi della L. 12 marzo 1999, numero 68, articolo 8, da parte delle commissioni mediche competenti a tal fine. 12. A tutto quanto premesso consegue che il quarto motivo proposto dalla ricorrente non è idoneo a scalfire la ratio decidendi autonoma ed ulteriore rispetto a quella dell'insussistenza del requisito sanitario in base alla quale la Corte d'appello ha respinto la domanda per difetto della prova dell'incollocabilità al lavoro. In effetti, non è sufficiente la deduzione secondo la quale il requisito dell'iscrizione negli elenchi provinciali dei lavoro e della massima occupazione ai fini dell'assunzione obbligatoria non sarebbe stata possibile, non essendo stata la ricorrente riconosciuta invalida in misura superiore al 45%, considerato che non risulta in alcun modo che laC. si sia almeno attivata per richiedere tale iscrizione, secondo la normativa di cui alla L. numero 482 del 1968, articolo 19, comma 2, vigente all'epoca della presentazione della domanda amministrativa 15.4.1992 , né che abbia comunque dedotto e dimostrato di non avere svolto attività lavorativa. 13. Segue coerente il rigetto del ricorso, senza necessità di procedere all'esame degli ulteriori motivi ivi formulati. 14. Nulla sulle spese del giudizio, non avendo svolto l'intimato attività difensiva. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.