La “giustificatezza” legittimante il licenziamento del dirigente non coincide con il giustificato motivo

Il rapporto di lavoro del dirigente non è assoggettato alla norme limitative dei licenziamenti individuali di cui agli articolo 1 e 3 della l. numero 604/1966, e la nozione di “giustificatezza” posta dalla contrattazione collettiva al fine della legittimità del suo licenziamento non coincide con quella di giustificato motivo di licenziamento contemplata dall’articolo 3 della stessa legge.

Così si è espressa la Corte di Cassazione, sez. Lavoro, nella sentenza numero 3045, depositata il 16 febbraio 2015. Il fatto. Un dirigente di una banca interpellava il Tribunale di Milano in ordine al suo licenziamento, ritenuto ingiustificato. Le domande contenute nel suo ricorso venivano, però, respinte sia dal Tribunale che dalla Corte d’appello di Milano a cui aveva proposto successivo gravame. Il dirigente ha proposto ricorso in Cassazione contro tale decisione. I motivi del ricorso, che ci pare opportuno analizzare in questa sede, concernenti la contestata giustificatezza del licenziamento intimato appaiono infondati al Collegio. Le carenze motivazionali della sentenza impugnata, dedotte dal ricorrente, non sussistono. La causale del recesso. Infatti, la Corte d’appello ha chiaramente indicato che la causale del recesso è da individuarsi, alla stregua della lettera del recesso, nella necessità di ridurre il costo del lavoro e gli organici procedendo ad una radicale riorganizzazione dell’azienda imposta da risultati insoddisfacenti. Questa è, pertanto, la ragione a monte del licenziamento del dirigente ricorrente, e non il fatto che la sua situazione sia stata sottoposta ad una procedura di licenziamento collettivo all’epoca inapplicabile ai dirigenti e concretamente non applicata. Giustificatezza non coincide con giustificato motivo. Il Collegio ricorda l’insegnamento della Corte di Cassazione secondo il quale «il rapporto di lavoro del dirigente non è assoggettato alla norme limitative dei licenziamenti individuali di cui agli articolo 1 e 3 della l. numero 604/1966, e la nozione di “giustificatezza” posta dalla contrattazione collettiva al fine della legittimità del suo licenziamento non coincide con quella di giustificato motivo di licenziamento contemplata dall’articolo 3 della stessa legge. Ne consegue che, ai fini dell’indennità supplementare prevista dalla contrattazione collettiva in caso di licenziamento del dirigente, la suddetta “giustificatezza” non deve necessariamente coincidere con l’impossibilità della continuazione del rapporto di lavoro e con una situazione di grave crisi aziendale tale da rendere impossibile o particolarmente onerosa tale prosecuzione, posto che il principio di correttezza e buona fede, che costituisce il parametro su cui misurare la legittimità del licenziamento, deve essere coordinato con quello di iniziativa economica, garantita dall’articolo 41 Cost., che verrebbe negata ove si impedisse all’imprenditore, a fronte di razionali e non arbitrarie ristrutturazioni aziendali, di scegliere discrezionalmente le persone idonee a collaborare con lui ai più alti livelli della gestione dell’impresa». La Corte territoriale, dunque, ha correttamente verificato che, posta l’esistenza di una valida ragione di ordine produttivo ed economico all’origine del recesso, questo non fosse irragionevole e discriminatorio ed ha, altresì, verificato che era stato disposto nei confronti di soggetto che aveva già raggiunto i requisiti per la pensione di vecchiaia. Pertanto, la motivazione appare al Collegio congrua, coerente ed in sintonia con la citata giurisprudenza. Il criterio su cui si basa il licenziamento. Il criterio, dunque, che ha portato al licenziamento del dirigente, è quello della maturazione dei requisiti per essere collocato in pensione di anzianità. Come più volte affermato dalla giurisprudenza, questo è un criterio oggettivo, che dà la possibilità di scegliere, a parità di altre condizioni, il lavoratore che subisca il danno minore dal licenziamento, potendo sostituire il reddito da lavoro con il reddito da pensione. L’applicazione di tale criterio oggettivo deve presentare anche il requisito della esaustività, nel senso che deve essere da solo idoneo ad individuare un numero di lavoratori pari od inferiore a quello di coloro che a causa della ristrutturazione aziendale risultano in esubero. La Corte d’appello, pertanto, appare essersi correttamente attenuta a tali principi e criteri ed in loro applicazione ha ritenuto sussistente il requisito della “giustificatezza” del licenziamento del dirigente. Per tali ragioni, la S.C. ha rigettato il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 21 ottobre 2014 – 16 febbraio 2015, numero 3045 Presidente Roselli – Relatore Bronzini Svolgimento del processo R.A. , dirigente Banca Intesa spa ora Banca S. Paolo spa, chiedeva al Tribunale di Milano il riconoscimento del diritto a percepire l'indennità supplementare da ingiustificato licenziamento, la differenze per indennità di preavviso, per TFR e per 13a dovute in relazione all'incidenza di alcune voci retributive sui medesimi istituti, le differenze degli accantonamenti su alcuni fondi integrativi. Il Tribunale rigettava la domanda. La Corte di appello di Milano con sentenza del 22.6.2007 rigettava l'appello. La Corte territoriale ricostruiva l'orientamento di legittimità in ordine alla tutela contrattuale del licenziamento del dirigente ed osservava che il recesso era avvenuto per la necessità di ridurre il costo del lavoro e gli organici in relazione a risultati insoddisfacenti sia dal punto di vista reddituale che gestionale. In relazione a tale situazione era intervenuto accordo sindacale del 15.1.2003, che aveva concluso la procedura di cui agli articolo 4 e 24 L. numero 223/91 e con il quale si era convenuta la necessità del licenziamento di 5.700 unità compresi i dirigenti. A tali trattative aveva partecipato anche la Federdirigenti che aveva siglato l'accordo il recesso quindi non era né pretestuoso, né arbitrario ma anche ragionevole posto che si erano prescelti i soggetti in possesso dei requisiti di vecchiaia ed anzianità. Era stato in tal modo anche consentito l'intervento del Fondo di solidarietà previsto dal dm numero 158/2000. I contributi relativi alla previdenza complementare andavano esclusi dal computo del TFR come previsto dalla contrattazione collettiva, in specie dal CCNL del 2005 articolo 74 che aveva fornito una sorta di interpretazione autentica anche dei CCNL precedenti. Lo stesso discorso doveva farsi per il concorso spese e indennità di alloggio visto che i CCNL escludevano i trattamenti corrisposti per trasferimenti e missioni dal computo del TFR. I premi annuali avevano carattere occasionale in quanto erano stati corrisposti in ragione dei risultati raggiunti dal R. palese era anche l'occasionalità dell'erogazione del premio di anzianità in occasione del 25 anno di servizio per cui anche tali voci non andavano computate. Non potevano essere calcolate le voci concorso spese e alloggio, premi annuali sulla 13^ e sulla retribuzione feriale, stante l'inesistenza di un principio di omnicomprensività della retribuzione in ordine agli istituti indiretti. Circa il calcolo del preavviso il R. era stato iscritto al Fondo di previdenza pensionistica complementare e prima era iscritto ad altro trattamento il ricorrente aveva potuto riscattare il primo trattamento e quindi era applicabile l'articolo 27 del CCNL per il quale compete l'indennità di 6 mesi e non di 12 se il dirigente ha diritto con effetto immediato al trattamento di previdenza aziendale migliorativo. Ricorre il R. con sette motivi corredati da memoria illustrativa resiste controparte con controricorso corredato da memoria illustrativa. Motivi della decisione Con il primo motivo di ricorso si allega l'omessa e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Era stata dichiarata la giustificatezza del licenziamento sulla base della procedura di licenziamento collettivo, pur essendosi affermato che la detta procedura era inapplicabile ai dirigenti. Con il secondo motivo si allega l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo della controversia. Il R. non aveva mai beneficiato delle prestazioni a carico del Fondi solidarietà quindi non era stato licenziato per consentirgli di beneficiare delle prestazioni a carico del detto Fondo. Con il terzo motivo si allega la violazione e falsa applicazione dell'articolo 2095 c.c., nonché degli articolo 1362 e ss. c.c. in relazione agli articolo 25, 26 e 29 del CCNL aziende di credito. Il recesso poteva apparire giustificato solo in relazione a specifiche ragioni concernenti l'attività professionale del dirigente, non sussistenti nel caso in esame. Con il quarto motivo si allega l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo della controversia. La legittimità del recesso non era stato motivata idoneamente in quanto ci si era riferiti alla sola procedura ex L. numero 223/91. Con il quinto motivo si allega l'omessa e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio. Erano stati assunti numerosi dirigenti prima del recesso e non si era dimostrato in che misura la Direzione cui era addetto il R. fosse interessata alla ristrutturazione in corso. I cinque motivi debbono essere unitariamente esaminati concernendo tutti la contestata giustificatezza del licenziamento intimato ed appaiono infondati. Ora le dedotte carenze motivazionali della sentenza non sussistono. La Corte di appello ha chiaramente indicato pag. 5 della sentenza impugnata che la causale del recesso è da individuarsi, alla stregua della lettera di recesso, nella necessità di ridurre il costo di lavoro e gli organici procedendo ad una radicale riorganizzazione dell'azienda imposta da risultati insoddisfacenti . Pertanto è questa la ragione a monte del licenziamento del dirigente oggi ricorrente e non il fatto che la sua situazione sia stata sottoposta ad una procedura di licenziamento collettivo all'epoca inapplicabile ai Dirigenti e concretamente non applicata. La sussistenza della necessità di procedere anche al licenziamento di alcuni dirigenti è stata solo desunta da quanto emerso nel corso della procedura collettiva e da quanto attestato in alcuni Accordi collettivi sottoscritti anche dalla Federdirigenti. Da tali atti e documenti emergeva certamente la necessità di procedere ad una riorganizzazione aziendale procedendo alla riduzione degli organici in tutti i reparti, ivi compreso quello dirigenziale. Va ricordato l'insegnamento di questa Corte secondo il quale Il rapporto di lavoro del dirigente non è assoggettato alle norme limitative dei licenziamenti individuali di cui agli articolo 1 e 3 della legge 15 luglio 1966, numero 604, e la nozione di giustificatezza posta dalla contrattazione collettiva al fine della legittimità del suo licenziamento non coincide con quella di giustificato motivo di licenziamento contemplata dall'articolo 3 della stessa legge numero 604 del 1966. Ne consegue che, ai fini dell'indennità supplementare prevista dalla contrattazione collettiva in caso di licenziamento del dirigente, la suddetta giustificatezza non deve necessariamente coincidere con l'impossibilità della continuazione del rapporto di lavoro e con una situazione di grave crisi aziendale tale da rendere impossibile o particolarmente onerosa tale prosecuzione, posto che il principio di correttezza e buona fede, che costituisce il parametro su cui misurare la legittimità del licenziamento, deve essere coordinato con quello di iniziativa economica, garantita dall'articolo 41 Cost., che verrebbe realmente negata ove si impedisse all'imprenditore, a fronte di razionali e non arbitrarie ristrutturazioni aziendali, di scegliere discrezionalmente le persone idonee a collaborare con lui ai più alti livelli della gestione dell'impresa. In ogni caso, il recesso in questione non può risultare privo di qualsiasi giustificazione sociale perché concretizzantesi unicamente in condotte lesive, nella loro oggettività, della personalità del dirigente e, al fine di accertare la configurabilità del diritto del dirigente all'indennità supplementare di preavviso, l'ingiustificatezza del recesso datoriale può evincersi da una incompleta o inveritiera comunicazione dei motivi di licenziamento ovvero da un'infondata contestazione degli addebiti, potendo tali condotte rendere quantomeno più disagevole la verifica che il recesso sia eziologicamente riconducibile a condotte discriminatorie ovvero prive di adeguatezza sociale Cass. numero 27197/2006 . La Corte di appello ha pertanto correttamente verificato che, posta l'esistenza di una valida ragione di ordine produttivo ed economico a monte del recesso, questo non fosse irragionevole e discriminatorio ed ha verificato che era stato disposto nei confronti di soggetto che aveva già raggiunto i requisito per la pensione di vecchiaia come previsto dallo stesso accordo con Federquadri. La circostanza per cui il R. non aveva necessità di ricorrere alla prestazioni del Fondo di solidarietà appare del tutto irrilevante posto che la circostanza è riferita in sentenza in generale in relazione alla finalità dell'Accordo sindacale e non anche alla specifica posizione del R. . Parimenti irrilevante appare la circostanza per cui prima del recesso ma non dopo fossero stati assunti alcuni dirigenti visto che la sentenza impugnata ha anche sottolineato che nessuna di tali assunzioni aveva riguardato la situazione lavorativa del ricorrente. Del resto non è neppure dedotto che tali assunzioni siano avvenute quando l'azienda già conosceva la situazione di difficoltà economica nella quale versava. Pertanto la motivazione appare congrua e logicamente coerente ed in sintonia con la giurisprudenza già citata di questa Corte. Va anche ricordato che in una vicenda del tutto analoga a quella in esame licenziamento di un dirigente da parte della stessa azienda oggi resistente e in relazione al medesimo processo di ristrutturazione questa Corte ha affermato la sentenza non si limita a verificare l'effettiva sussistenza del processo di riorganizzazione aziendale, ma individua le conseguenze sui posti di lavoro che tale ristrutturazione ha comportato, dando anche conto di quanto verificato ed accertato in sede di accordi con le organizzazioni sindacali, Federdirigenti compresa. Nella motivazione della decisione, nei limiti in cui il giudice può svolgere il suo controllo sui processi di riorganizzazione aziendale verifica della effettività del processo di ristrutturazione, a fronte della insidacabilità delle scelte imprenditoriali che lo hanno determinato , si è ricostruito, anche sulla base di quanto accertato in sede sindacale, il rapporto tra ristrutturazione ed eccedenza di posti di lavoro, compresa la posizione dei dirigenti aziendali e quella del ricorrente in tale ambito. Individuata l'area dei dipendenti in esubero e verificato che in tale ambito rientrava il ricorrente, si è poi verificata la correttezza del criterio con il quale sono stati selezionati i lavoratori da licenziare. Il criterio che ha portato al licenziamento del Dr. I. , accertato dalla Corte, è quello della maturazione dei requisiti per essere collocato in pensione di anzianità. Come la giurisprudenza ha più volte affermato, si tratta di un criterio oggettivo, che permette di scegliere, a parità di altre condizioni, il lavoratore che subisce il danno minore dal licenziamento, potendo sostituire il reddito da lavoro con il reddito da pensione. L'applicazione di tale criterio oggettivo deve poi presentare, nel contesto specifico, il requisito della esaustività, nel senso che deve essere da solo idoneo ad individuare un numero di lavoratori pari od inferiore a quello di coloro che a causa della ristrutturazione aziendale risultano in esubero. In caso contrario, deve essere integrato con ulteriori criteri, analogamente oggettivi. La Corte si è attenuta a questi principi e criteri ed in loro applicazione, adeguatamente motivata, ha ritenuto sussistente il requisito della giustificatezza del licenziamento, che peraltro è criterio più ampio e più elastico di quello di giusta causa o di giustificato motivo oggettivo . Cass. numero 4186/2012 . Con il sesto motivo si allega la violazione e falsa applicazione dell'articolo 2120. c.c. in relazione all'articolo 100 del CCNL 27.10.1987, all'articolo 102 del CCNL 22.11.1990, all'articolo 107 del CCNL 22.6.1995, agli articolo 68 e 74 del CCNL 1999, del Regomaneto del Previd System, all'articolo 74 dell' Accordo del 12.2. 2005, all'articolo 29 punti 15, 16, 17 del CCNL dell'11.122000 ed all'articolo 2121 c.c., nonché l'omessa motivazione su un punto decisivo della controversia. I trattamenti pensionistici integrativi aziendali hanno natura giuridica di retribuzione differita. Le contribuzioni del datore di lavoro finalizzate al loro finanziamento non possono essere occasionali. Quanto previsto dal CCNL dell'assistenza sanitaria appare una mera dichiarazione di scienza inapplicabile comunque al caso di cui è processo. Gli emolumenti di cui si discute sono stati peraltro assoggettati a contributo di solidarietà, ma al solo scopo di favorire la previdenza completare. Analogamente il R. ha diritto a vedersi riconosciute nel TFR le somme dovute quali indennità supplementare e mancato preavviso. Il motivo appare infondato avendo la Corte di appello accertato che le parti collettive avevano inteso derogare ai criteri legali come consentito dall'articolo 2120 secondo comma ed ha richiamato i contratti succedutisi nel tempo e infine quello del 2005 che - secondo la Corte territoriale - offre una interpretazione anche della contrattazione precedente prendendola in esame. La motivazione appare congrua e logicamente coerente mentre le censure appaiono generiche ed inammissibili. Non sono stati prodotti i contratti collettivi citati in sentenza e neppure sono stati riprodotti gli articoli pertinenti per il tema decidendum. Solo di un contratto collettivo del 2000 è stato indicato l'incarto processuale ove sarebbe stato prodotto senza specificare se in copia integrale, ma gli articoli pertinenti sembrerebbe l'articolo 28 non sono stati riprodotti nella loro interezza. L'articolo 28 è stato riprodotto nel successivo motivo non è chiaro se integralmente e recita che la retribuzione annua di riferimento per il calcolo del TFR è composta il calcolo del TFR, oltre che dallo stipendio, da tutti gli emolumenti costitutivi del trattamento economico aventi carattere continuativo, anche se con corresponsione periodica la tesi della Corte di appello per cui voci come quelle relative alla previdenza complementare non sono incluse nella nozione contrattuale di retribuzione valida per il calcolo del TFR appare quindi fondata su solidi basi letterali in quanto la norma che la stessa parte ricorrente sostiene essere la sola applicabile sembra assumere una nozione di retribuzione che individua solo alcune voci, certamente non quella in discorso. Circa l'ultima parte del motivo l'indennità supplementare non spetta in quanto il recesso non può, per quanto sopra detto, ritenersi ingiustificato. Le carenze allegatone e la mancata produzione delle fonti collettive impediscono al Collegio di valutare se l'indennità di preavviso che risulta corrisposta nella misura dovuta dovesse essere computata nel TFR come si richiede al motivo sulla base della sua natura retributiva. Alla luce dell'articolo 28 del CCNL del 2000 riprodotto la motivazione della Corte di appello appare coerente con la formulazione della fonte contrattuale sull'esclusione delle somme erogate a titolo di contribuzione ai fondi di previdenza aziendale dal computo del TFR in una controversia analoga cfr. Cass. numero 24340/2010 . Con l'ultimo motivo si allega la violazione dell'articolo 112 c.p.c. e la violazione dell'articolo 2120 c.c., nonché l'omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia. La Corte di appello non ha valutato la computabilità nel TFR delle indennità a titolo di concorso spese, dei premi annuali, dell'indennità di alloggio e del premio in occasione del 25 anno di servizio. Il motivo appare infondato in quanto la Corte di appello ha escluso tutte queste voci concorso spese, indennità di alloggio, premi annuali e premio in occasione del 25 anno di anzianità in quanto escluse dalla contrattazione collettiva ex articolo 2120 c.c. Non risulta violato l’articolo 112 cpc perché le domande sono state esaminate. Circa la carenze allegatone e la mancata produzione e riproduzione delle fonti collettive si deve richiamare quanto già detto nel motivo precedente. L'articolo 28 del CCNL del 2000 non sembra consentire di ricomprendere tali voci nella nozione di retribuzione per il calcolo del TFR assunta dalle parti sociali posto che lo stesso articolo 28 esclude espressamente cfr. pag. 90 del ricorso gli emolumenti di carattere eccezionale e quanto corrisposto a titolo di effettivo rimborso, anche parziale di spese sostenute . Ora l'esclusione stabilita all'articolo 28 appare dover operare per premi annuali che sono per natura eventuali, per quello a carattere evidentemente eccezionale relativo al raggiungimento del 25 anno di anzianità, nonché per indennità che lo stesso ricorrente chiama concorso spese o per le spese di alloggio. Il fatto che siano state percepite con regolarità costituisce una circostanza di mero fatto che non elimina la loro configurazione contrattuale. La motivazione appare pertanto congrua e logicamente coerente mentre le censure appaiono generiche, non supportate dalle produzione delle fonti contrattuali e neppure dall'indicazione dei canoni ermeneutici asseritamente violati dalla Corte di appello sull'esclusione di tali voci dal computo del TFR in una controversia analoga cfr. Cass. numero 24340/2010 . Si deve quindi rigettare il proposto ricorso. Le spese di lite del giudizio di legittimità - liquidate come al dispositivo - seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte Rigetta il ricorso, condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 100,00 per esborsi, nonché in Euro 5.000,00 per compensi oltre accessori.