Esperibile l’azione di arricchimento avverso la PA, anche se il contratto non è stato stipulato

La mancata stipula del contratto tra privato e p.a. è assimilabile all’ipotesi di contratto nullo o annullato ai fini dell’esercizio dell’azione di arricchimento senza causa.

Sull’ammissibilità dell’azione in caso di contratto non stipulato. Il caso in esame riguarda un’azione ex articolo 2041 c.c. proposta dal titolare di una ditta individuale contro il Comune di Messina, per non aver la pubblica amministrazione corrisposto alcun compenso a seguito dei lavori di manutenzione di cui si era resa aggiudicataria la ditta e nonostante fosse stata riconosciuta l’utilità. Il Comune convenuto contestava, in primo luogo, l’ammissibilità dell’azione, in quanto se la ditta avesse prodotto in giudizio la necessaria documentazione sarebbe stato possibile stipulare regolare contratto, prima di allora non concluso proprio perché la controparte non aveva adempiuto a tale obbligo. A quel punto, attesa la natura sussidiaria dell’azione di arricchimento, si sarebbe dovuto prima proporre l’azione per chiedere la stipula del contratto e solo dopo proporre l’azione di ingiustificato arricchimento. Come è noto, l’articolo 2042 c.c. stabilisce la sussidiarietà dell’azione di arricchimento, il che vuol dire che l’azione non è proponibile quando il danneggiato può esercitarne altra specifica e quando vi sia originariamente un’azione sperimentabile contro persone diverse dall’arricchito che siano obbligate per legge o per contratto. Il tribunale di Messina per decidere il caso prende in considerazione l’insegnamento della suprema Corte in fattispecie analoghe. Secondo i giudici di legittimità, infatti, posto che la funzione dell'azione per indebito arricchimento è l’eliminazione dello squilibrio determinatosi a seguito del conseguimento di una utilità economica da parte di un soggetto con correlativa diminuzione patrimoniale di un altro, una delle situazioni tipiche che costituisce presupposto dell’azione è quella del contratto nullo nel caso in cui una delle parti abbia eseguito la sua prestazione Così Cass. 11461/2007 . Secondo la motivazione del giudice l’ipotesi ricorrente nel caso di specie, e cioè la mancata stipula del contratto, è da considerarsi assimilabile a quella di contratto nullo o annullato successivamente. Poiché in questi casi come in quello in esame la parte adempiente non potrebbe diversamente chiedere il compenso contrattuale, l’unica azione esperibile è l’azione di ingiustificato arricchimento. L’argomentazione è condivisibile, poiché in relazione all’esercizio dell’azione di indebito arricchimento l’elemento comune alla situazione di nullità o annullamento del contratto e a quella di assenza dello stesso per mancata conclusione è la carenza del titolo, della giustificazione, che potrebbe legittimare l’adempiente ad esercitare altra azione per tutelare il suo diritto. Il riconoscimento dell’utilità della prestazione mediante utilizzazione della prestazione Rispetto all’azione generale di arricchimento senza causa, l'azione di arricchimento nei confronti della pubblica amministrazione presenta delle peculiarità che le sono state conferite da una costruzione creativa tutta giurisprudenziale. La disciplina venutasi a creare conferisce all’azione di arricchimento nei confronti della pubblica amministrazione le caratteristiche di un rimedio speciale con prerogative proprie e tipiche. Presupposto per esercitare l’azione contro la p.a. è la prova del previo gradimento dell'amministrazione stessa, requisito affermato dalla giurisprudenza di legittimità sin dalla fine degli anni sessanta. Il riconoscimento dell'utilità consente inoltre l'esperibilità dell'azione di arricchimento anche nel caso in cui il servizio fornito non abbia comportato un utile effettivo per l'amministrazione stessa. Mentre in un primo tempo si riteneva necessaria una vera e propria manifestazione di volontà che fosse formale e che provenisse dagli organi competenti a costituire la volontà dell'ente, recentemente si è palesata la tendenza ad attenuare la rilevanza del requisito del riconoscimento dell'utilità, ritenendo piuttosto sufficiente ai fini del riconoscimento un uso o un impiego dei beni o dei servizi per le finalità dell'ente o che il medesimo riconoscimento possa risultare anche implicitamente per facta concludentia o attraverso l'utilizzazione della prestazione. In realtà, su quest’ultimo aspetto sussiste nella giurisprudenza di legittimità un contrasto. Secondo un primo indirizzo il riconoscimento può avvenire in maniera esplicita, cioè con un atto formale, oppure può risultare in modo implicito da atti o comportamenti della P.A. dai quali si desuma inequivocabilmente un effettuato giudizio positivo circa il vantaggio o l'utilità della prestazione promanante da organi rappresentativi dell'amministrazione interessata, mentre non può essere desunta dalla mera acquisizione e successiva utilizzazione della prestazione stessa. In questo modo, infatti, se ne dedurrebbe un giudizio positivo attribuibile alla p.a. e che tuttavia è a questa esclusivamente riservato e non può essere effettuato dal giudice ordinario, che può solo accertare se e in quale misura l'opera o la prestazione del terzo siano state effettivamente utilizzate v. per tutti Cass. 25156/2008 . Altro orientamento, più recente giacché fa capo alla sentenza 9141/2011, ritiene, invece, che la mera utilizzazione di un'opera o di una prestazione, da parte di un ente pubblico, può, avuto riguardo a tutte le circostanze del caso concreto, integrare riconoscimento implicito dell'utilità della stessa, utilità la quale va ravvisata anche in caso di risparmio di spesa. Anche a fronte di un'utilizzazione non attuata direttamente dagli organi rappresentativi dell'ente, ma da questi sostanzialmente assentita, il giudice può ritenere riconosciuta, di fatto, l'utilità dell'opera o della prestazione, conseguentemente formulando, in via sostitutiva, il relativo giudizio, con adeguata e congrua motivazione. La prima sezione civile del Tribunale di Messina ritiene giustamente di dover aderire a questo secondo orientamento più garantista per il danneggiato e di applicarlo al caso di specie. e la mancata prova del quantum dell’indennizzo. Considerando l’assimilazione tra contratto nullo e contratto non stipulato in ordine all’ammissibilità dell’azione di arricchimento, il giudice di Messina ritiene che anche per la determinazione dell’indennizzo nel caso di specie deve rifarsi a quello che la giurisprudenza ha stabilito in quei casi. A tal proposito i giudici di legittimità hanno affermato che quando ricorre la nullità del contratto stipulato da un ente locale per difetto di forma scritta, il soggetto agente ha diritto all'indennizzo previsto dall'articolo 2041 c.c., corrispondente alla minor somma tra l'arricchimento dell'ente e la sua diminuzione patrimoniale. Tanto premesso, tuttavia, nel procedimento la parte ricorrente non ha fornito alcun elemento da cui risulti l’ammontare delle somme spese e, di conseguenza, il giudice ha rigettato la domanda. La questione affrontata a tal proposito in motivazione è se in caso di mancata prova il giudice può ricorrere ad una valutazione equitativa. Ciò è ritenuto ammissibile, ma ci si deve giustamente rifare ai principi generali in materia, di cui all’articolo 1226 c.c. La norma stabilisce che «Se il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare, è liquidato dal giudice con valutazione equitativa». Pertanto, vi deve essere – secondo la dottrina - una incertezza non eliminabile sul quantum determinata da lacune istruttorie, che la giurisprudenza ha specificato debbono consistere o nell’impossibilità di fornire la prova o in una notevole difficoltà Così Cass. 10271/2002 6414/200 . Peraltro, «il potere di liquidare il danno in via equitativa non esonera la parte dall'onere di fornire gli elementi probatori e i dati di fatto in suo possesso per consentire che l'apprezzamento equitativo sia per quanto possibile limitato e ricondotto alla sua caratteristica funzione di colmare soltanto le inevitabili lacune al fine della precisa determinazione del danno» Cass. 16202/2002 3327/2002 8795/2000 . Stando così le cose, il giudice ha ritenuto nel caso di specie che la parte era in condizioni di fornire la prova del quantum dell’indennizzo, in particolare «documentando le somme spese per i lavoratori impiegati o per l’acquisto dei materiali utilizzati». Né a ciò avrebbe ostato il rito prescelto. L’azione ex articolo 2041, infatti, è stata introdotta nelle forme del rito sommario di cognizione ex articolo 702-bis c.p.c., procedimento a cognizione piena dalle forme semplificate e dall’istruttoria deformalizzata. Quest’ultima prerogativa non limita in alcun modo la richiesta dei mezzi istruttori delle parti il diritto alla prova deve essere esercitato pienamente nei limiti in cui scattano le preclusioni si ritiene in dottrina e in giurisprudenza che il termine sia la prima udienza e sta poi al giudice valutare se i mezzi di prova richiesi possono essere assunti in una istruttoria snella e sgravata dalle forme oppure no, fissando in quest’ultimo caso l’udienza ex articolo 183 c.p.c. per la conversione del rito. Secondo un’apprezzabile conduzione del procedimento, dunque, il giudice - esaurita la possibilità di produrre o chiedere mezzi probatori - ha portato la causa in decisione ritenendo che era stata data la giusta possibilità alle parti di esercitare le loro istanze e difese. Sovente, invece, si assiste nella prassi ad una sorta di prudenza del giudice del sommario nell’utilizzare questo strumento e si preferisce la scappatoia della conversione del rito in quello ordinario, con conseguente vanificazione del percorso accelerato intrapreso. Secondo il giudice di Messina, nonostante le peculiarità del rito prescelto, attesa la natura delle prestazioni da provare, «non sembra sussistere quella notevole difficoltà di una precisa quantificazione che secondo la Corte di Cassazione giustifica il ricorso alla liquidazione equitativa».

Tribunale di Messina, sez. I Civile, sentenza 28 settembre 2012 Giudice Viviana Cusolito Fatto e diritto con ricorso depositato in data 15.9.2010 G. G., nella qualità di titolare dell’omonima ditta individuale ed artigiana, esponeva che a seguito di bando del Comune di Messina, si era resa aggiudicataria del “contratto aperto di manutenzione ordinaria e straordinaria di quanto di competenza del settore urbano con la sola esclusione delle essenze arboree relativo all’anno 2005/2006” e che, con ribasso del 22,76%, i lavori erano stati aggiudicati per la somma di € 36.071,08. Aggiungeva che i lavori erano stati consegnati il 20.1.2005, senza che fosse stipulato il contratto di appalto e che gli stessi venivano ultimati in data 9.6.2006, come da verbale sottoscritto dalle parti. Deduceva che i lavori erano stati perfettamente eseguiti, che data la loro natura erano stati utilizzati dalla Amministrazione ma che, a fronte di ciò, non era stato corrisposto alcun compenso, nonostante le richieste inviate in tal senso. Deduceva che il Comune non aveva mai comunicato l’esistenza di impedimenti alla stipula del contratto, che detto ente, oltre ad essersi arricchito dal compimento delle attività, ne aveva riconosciuto l’utilità come dimostrava sia la consegna degli stessi che la redazione del verbale di ultimazione dei lavori e che, pertanto, alla ditta – in assenza di regolare contratto – spettava l’indennizzo ex articolo 2041 c.c. determinato nell’importo di € 46.700,00 mentre irrilevante, sul punto, doveva ritenersi il ribasso offerto in sede di svolgimento della gara per l’aggiudicazione. In via subordinata, chiedeva che venisse dichiarata la responsabilità precontrattuale del Comune e condannato lo stesso al risarcimento dei danni nella misura pari al valore indicato nel bando, o, ancora, riconosciuto l’obbligo della P.A. a stipulare il contratto la corresponsione della stessa somma qualificata come compenso. Con comparsa tempestivamente depositata si costituiva il Comune resistente. L’Ente ricostruiva l’iter del rapporto rilevando che, aggiudicati e consegnati i lavori, nel verbale veniva concordato che non si sarebbe potuto procedere al pagamento della prima rata di acconto se non dopo la stipula e registrazione del contratto e che la riserva dovere ritenersi sciolta solo dopo il perfezionamento degli atti sotto il profilo fiscale. Veniva, altresì, nel medesimo verbale, fatto obbligo alla Ditta di produrre, prima dell’inizio dei lavori, tutta la necessaria documentazione. Aggiungeva che con nota del 9.2.2005 l’Ufficio gare e contratti aveva richiesto al G. la documentazione e che, a causa del mancato adempimento a tale richiesta, era stata informata la Segreteria Generale dell’Ufficio Bandi di Gara e Contratti, che, nel perdurare di tale inadempimento, aveva sollecitato il G. con telegramma del 16.1.2006 a depositare la documentazione specificando che, nel caso di mancata consegna, avrebbe provveduto ad informare il RUP per la eventuale revoca dell’aggiudicazione. Analoghi solleciti venivano inviati in data 8.11.2006 e 14.112006. Deduceva, dunque, che nessuna responsabilità poteva essere ascritta all’ente e che il mancato pagamento doveva addebitarsi al G. che non aveva mai provveduto a depositare la documentazione prescritta. Deduceva, dunque, che nulla era dovuto al ricorrente, che l’azione proposta ex articolo 2041 c.c. era inammissibile perché di natura sussidiaria ed, infine che l’indennizzo non poteva eventualmente essere determinato nella misura chiesta dal ricorrente. In via riconvenzionale, ritenuto che per la mancata stipulazione del contratto il Comune aveva subito dei danni rappresentati dall’ingente impiego di risorse umane che sarebbero potute esser destinate ad altro servizio nonché sotto il profilo economico finanziario a causa dei difficili adempimenti fiscali ai quali l’aveva costretto la condotta del G. chiedeva la condanna del ricorrente al risarcimento dei danni da liquidarsi in via equitativa. Atteso, poi, il ritardo nel completamento dei lavori attestato nel relativo verbale in data 9.6.2006 a fronte del termine contrattuale previsto del 22.1.2006 chiedeva, sempre in via riconvenzionale, la condanna del convenuto al risarcimento dei danni. Le parti venivano autorizzate allo scambio di note ed il Comune, nelle note del 25.5.2001, chiedeva che venisse ordinato al G. di produrre il DURC. Rilevava che, qualora la ditta ricorrente fosse stata in possesso del DURC, sarebbe stato possibile per la stessa stipulare regolare contratto e, pertanto, l’azione proposta ex articolo 2041 c.c. si sarebbe dovuta dichiarare inammissibile, attesa la natura sussidiaria, in quanto la ditta avrebbe dovuto, dapprima, proporre l’azione per chiedere la stipula del contratto e solo dopo proporre l’azione di ingiustificato arricchimento. Deduceva, infine, che nessun riconoscimento dell’utilità della prestazione era mai stata fatta dal Comune ed, infine, rilevava l’infondatezza della domanda di condanna per responsabilità precontrattuale. Tanto ciò premesso le domande avanzate da parte ricorrente non possono essere accolte per i seguenti motivi. Deve, in primo luogo, rilevarsi l’ammissibilità della domanda ex articolo 2041 c.c. considerato che nel caso di mancata stipula del contratto, al pari dell’ipotesi di contratto nullo o annullato successivamente, poiché la parte adempiente non potrebbe richiedere il compenso contrattuale, appare quale unica azione esperibile la domanda di ingiustificato arricchimento. Sul punto ha chiarito la Suprema Corte che sussistono i presupposti dell'azione per indebito arricchimento nel caso di prestazione professionale eseguita sulla base di un contratto invalidato a seguito dell'annullamento, da parte dell'ente di controllo, delle delibere consortili precedenti e condizionanti la validità della stipulazione del contratto. Una delle situazioni tipiche riconducibili alla funzione dell'azione per indebito arricchimento eliminazione dello squilibrio determinatosi a seguito del conseguimento di una utilità economica da parte di un soggetto con correlativa diminuzione patrimoniale di un altro soggetto è, infatti, quella del contratto nullo nel caso in cui una delle parti abbia eseguito la sua prestazione Cass. 11461/2007 . Ricorre, inoltre, nel caso di specie, anche il requisito del riconoscimento dell’utilità della prestazione. Deve rilevarsi che, sul punto, sussiste nella giurisprudenza di legittimità un contrasto. Invero, secondo un primo orientamento, l'azione di indebito arricchimento nei confronti della P.A. differisce da quella ordinaria, in quanto presuppone non solo il fatto materiale dell'esecuzione di un'opera o di una prestazione vantaggiosa per l'Amministrazione stessa, ma anche il riconoscimento, da parte di questa, dell'utilità dell'opera o della prestazione. Tale riconoscimento, che sostituisce il requisito dell'arricchimento previsto dall'articolo 2041 cod. civ. nei rapporti tra privati, può avvenire in maniera esplicita, cioè con un atto formale, oppure può risultare in modo implicito da atti o comportamenti della P.A. dai quali si desuma inequivocabilmente un effettuato giudizio positivo circa il vantaggio o l'utilità della prestazione promanante da organi rappresentativi dell'amministrazione interessata, mentre non può essere desunta dalla mera acquisizione e successiva utilizzazione della prestazione stessa siffatto giudizio positivo, in ragione dei limiti posti dall'articolo 4 della legge numero 2248 all. E del 1865, é riservato esclusivamente alla P.A. e non può essere effettuato dal giudice ordinario, che può solo accertare se e in quale misura l'opera o la prestazione del terzo siano state effettivamente utilizzate orientamento espresso da ultimo da Cass. 25156/2008 . Secondo altro più recente orientamento – al quale questo Giudice ritiene di aderire – poiché la regola di diritto comune nemo locupletari potest cum aliena iactura deve avere un'applicazione tendenzialmente paritaria, sia che la pretesa venga avanzata nei confronti di un privato, sia che soggetto passivo ne sia una P.A., la mera utilizzazione di un'opera o di una prestazione, da parte di un ente pubblico, può, avuto riguardo a tutte le circostanze del caso concreto, integrare riconoscimento implicito dell'utilità della stessa, utilità la quale va ravvisata anche in caso di risparmio di spesa a fronte di un'utilizzazione non attuata direttamente dagli organi rappresentativi dell'ente, ma da questi sostanzialmente assentita, il giudice può ritenere riconosciuta, di fatto, l'utilità dell'opera o della prestazione, conseguentemente formulando, in via sostitutiva, il relativo giudizio, con adeguata e congrua motivazione. da ultimo, in tal senso Cass. 9141/2011 . Nel caso di specie, deve tenersi, in primo luogo, presente il peculiare oggetto del rapporto intercorso fra le odierne parti processuali “contratto aperto di manutenzione ordinaria e straordinaria di quanto di competenza del settore arredo urbano con la sola esclusione delle essenze arboree ed avendo riguardo alle modalità di svolgimento può ritenersi che vi sia stata, da parte dell’amministrazione, un riconoscimento dell’attività svolta dal G Risulta, invero, che in data 19.8.2005 era stato emesso un ordine di servizio e che, successivamente, in data 28.3.2011 era stata inviata alla Ditta ricorrente una nota del Municipio di Messina – Area coordinamento servizi tecnici nella quale si legge “si fa presente che stante il rapporto di fiducia che ha contraddistinto l’andamento dei lavori, successivamente all’ordine di servizio di cui sopra, le richieste di intervento sono state disposte per le vie brevi senza, pertanto, l’emissione di ordini di servizio scritti”. Appare evidente, dunque, che atteso il tempo trascorso per la esecuzione del contratto seppur non perfezionatosi per mancata stipula il Comune ha impartito, nell’arco del periodo suindicato, le indicazioni alla ditta per svolgere la attività, implicitamente riconoscendo, di volta in volta, l’attività dalla stessa svolta. Tale riconoscimento può, infine, ritenersi prestato seppur solo in forma implicita - in quanto non proveniente da soggetto legittimato ad impegnare e manifestare la volontà dell’ente all’esterno – proprio sulla base del contenuto della nota suindicata nella quale il responsabile del servizio ed il dirigente hanno comunque dato atto del rapporto di fiducia che aveva contraddistinto l’esecuzione dei lavori. Pertanto, riconosciuta l’utilità per la amministrazione, e, dunque, l’arricchimento della stessa a fronte dell’impoverimento della ditta che ha eseguito i lavori la quale, per i motivi già esposti non ha ricevuto alcun compenso dovrebbe essere riconosciuto a quest’ultima l’indennizzo previsto dall’articolo 2041 c.c. In ordine all’ammontare di detto indennizzo è ormai pacificamente riconosciuto che nel caso di nullità del contratto stipulato da un ente locale per difetto di forma scritta, il soggetto agente ha diritto all'indennizzo previsto dall'articolo 2041 cod. civ., corrispondente alla minor somma tra l'arricchimento dell'ente e la sua diminuzione patrimoniale. Tuttavia parte ricorrente non ha di fatto fornito alcun elemento dal quale risulti l’ammontare delle somme spese, in base al quale determinare l’indennizzo ex articolo 2041 c.c Invero, pur potendosi ammettere una liquidazione in via equitativa dell’indennizzo ex articolo 2041 c.c., come ha chiarito la Suprema Corte, ciò è possibile purché nel corso del giudizio, vi sia stata un’attività processuale della parte finalizzata a fornire la prova o, al contrario, la parte sia stata nell’impossibilità di fornire sicuri elementi per determinare detto ammontare da ultimo Cass. 3102/2000 . Si deve ritenere nel caso di specie che parte ricorrente ben avrebbe potuto fornire – secondo le peculiarità del rito prescelto – gli elementi probatori per determinare detto indennizzo, in particolare documentando le somme spese per i lavoratori impiegati o per l’acquisto dei materiali utilizzati. Attesa la natura delle prestazioni da provare, invero, non sembra sussistere quella “notevole difficoltà di una precisa quantificazione” che secondo la Corte di Cassazione giustifica il ricorso alla liquidazione equitativa. Per tale motivo la domanda di riconoscimento di indennizzo ex articolo 2041 c.c. – seppur ammissibile per i motivi suesposti – non può essere accolta. Non può, inoltre, essere accolta la domanda subordinata relativa al riconoscimento di una responsabilità precontrattuale del Comune convenuto, considerato che, sulla base della documentazione depositata dal Comune, emerge che la mancata stipula del contratto è dipesa dal comportamento della ditta aggiudicataria che ha omesso di consegnare la documentazione richiesta. Infine, non può trovare accoglimento la domanda riconvenzionale avanzata da parte resistente. Invero, non appare quale fatto generatore di danno l’aver costretto il Comune “ad un ingente impiego di risorse umane che sarebbero potute esser destinate ad altro servizio nonché sotto il profilo economico finanziario a causa dei difficili adempimenti fiscali ai quali l’aveva costretto la condotta del G.”. Deve rilevarsi in proposito che ben avrebbe potuto il Comune, anche al fine di evitare il verificarsi dei lamentati danni del tutto indimostrati evitare il prodursi degli stessi, a fronte della condotta del G., avvalendosi dei rimedi previsti dell’ordinamento e dallo stesso minacciati nel telegramma del 16.1.2006. In ogni caso del tutto sfornita di qualunque prova appare sia tale domanda di risarcimento danni che quella relativa ai danni conseguenti alla ritardata consegna dei lavori. Per tali motivi anche le domane riconvenzionali avanzate dal Comune di Messina devono essere rigettate Attesa la reciproca soccombenza le spese possono essere interamente compensate. P.Q.M. 1 rigetta il ricorso 2 rigetta le domande riconvenzionali svolte dal Comune resistente 3 compensa interamente le spese di giudizio. Si comunichi alle parti