Tardività della notifica: questione inammissibile se sollevata per la prima volta in appello dal contribuente

È nulla la sentenza di gravame per violazione dell’articolo 57, D.lgs. numero 546/1992, per aver in ogni caso ritenuto decaduta l'amministrazione dalla pretesa impositiva in accoglimento di un motivo di doglianza sollevato per la prima volta proposto in appello, giacché il ricorso in primo grado era stato incentrato unicamente sull'infondatezza nel merito della pretesa tributaria.

Tale interessante principio è stato statuito dalla Corte di Cassazione, con la sentenza numero 8340 del 25 maggio 2012. La vicenda. Nel caso di specie, il giudice del gravame ha accolto l'appello del contribuente in quanto la cartella era stata notificata il 10.1.2008, in guisa tale da doversi ritenere tardiva in relazione al disposto ex articolo 1, comma 5-bis, lett. a , D.L. numero 106/2005, conv. in L. numero 156/2005. Il giudice di legittimità, in accoglimento del ricorso in cassazione del fisco, ha precisato che è inammissibile, nel giudizio d'appello davanti alla commissione tributaria regionale, la prospettazione della violazione del termine per la notifica della cartella esattoriale, se in primo grado sia stata fatta valere esclusivamente l'infondatezza nel merito della pretesa fiscale, basata sul disconoscimento di un credito su dividendi esposto nella dichiarazione annuale, trattandosi di nuovo motivo di gravame, vietato dall’articolo 57, D.Lgs. numero 546/1992. Termine di decadenza. In materia tributaria, il termine di decadenza stabilito, a carico dell’ufficio tributario ed in favore del contribuente, per l’esercizio del potere impositivo ha natura sostanziale e non appartiene a materia sottratta alla disponibilità delle parti, in quanto tale decadenza non attiene alla materia dei diritti indisponibili dello Stato alla percezione di tributi, ma incide unicamente sul diritto del contribuente a non vedere esposto il proprio patrimonio - oltre un certo limite di tempo - alle pretese del fisco, sicchè è riservata alla valutazione del contribuente stesso la scelta di avvalersi o meno della relativa eccezione. Pertanto, ai sensi dell’articolo 2969 c.c., detta decadenza non può essere rilevata d’ufficio dal giudice, con l’ulteriore conseguenza che la relativa eccezione non può essere proposta per la prima volta in grado di appello. Ratio. Invero, seppure la materia tributaria attiene secondo la concezione preferibile ad obbligazioni nascenti ex lege e di contenuto pubblicistico, ciò non significa che tutta la relativa disciplina, ivi compresa quella dei rimedi giurisdizionali contro l’esercizio del potere di imposizione sia sottratta alla disponibilità delle parti. Mentre il fisco, infatti, non può disporre del potere –dovere di imposizione ed è tenuto ad applicare sempre ed in ogni caso le imposte nella misura prevista dalla legge , il contribuente al contrario non è tenuto ad esperire i rimedi e tutti i rimedi possibili contro l’esercizio del potere di imposizione, ben potendo prestare acquiescenza ad una imposizione tardiva. Regime. Le norme giuridiche vigenti, desunte dal principio di diritto appena ricordato e modellate per specificazione della disposizione normativa congiunta contenuta nell’articolo 57, comma 2, D.Lgs. numero 546/1992, sono, dunque, le seguenti 1 «L’eccezione di decadenza dell’ufficio tributario dall’esercizio del potere impositivo non è rilevabile d’ufficio dal giudice» 2 «L’eccezione di decadenza dell’ufficio tributario dall’esercizio del potere impositivo proposta per la prima volta in appello è un’eccezione nuova» 3 «L’eccezione di decadenza dell’ufficio tributario dall’esercizio del potere impositivo non può essere proposta per la prima volta in appello». Effetti processuali. I risvolti processuali della decadenza del fisco dal potere impositivo possono così essere riassunti a le condizioni di validità dell'atto impositivo, quali prescritte dalle relative norme, vanno tenute distinte logicamente e cronologicamente dalle condizioni di validità della sua notificazione. Pertanto, l'irritualità della notificazione può essere fatta valere dal contribuente unicamente al fine di eccepire la decadenza dell'amministrazione dalla possibilità di esercitare la pretesa tributaria, o la prescrizione dell'azione, ovvero al fine di dimostrare la tempestività dell'impugnazione dell'atto, altrimenti il contribuente non ha interesse a dedurre un vizio della notificazione che non ridonda, di per sé, in vizio dell'avviso di accertamento b l’eccezione di decadenza del fisco dal potere impositivo deve essere formulata necessariamente con un motivo specifico nel ricorso introduttivo di primo grado poiché è difficilmente ipotizzabile ,in riferimento all’eccezione stessa ,la possibilità dell’integrazione dei motivi del ricorso ex articolo 24, comma 2, dlgs 546/92 è necessario sollevare in primo grado l’eccezione di decadenza de qua in modo non generico ma tramite motivi specifici poichè la CTP che si faccia carico di prendere in considerazione motivi generici incorre nel divieto dell’ultra petizione ex articolo 112 c.p.c. mentre la CTR che prenda in esame tale eccezione generica incorre nella violazione del divieto dello ius novorum di cui all’articolo 57, Dlgs 546/92 la CTR non può esaminare ed accogliere d’ufficio una eccezione rilevabile solo ad istanza di parte ma da questa sollevata in modo generico nel ricorso di primo grado c l’eccezione di decadenza non può essere proposta per la prima volta in appello ex articolo 57, dlgs 546/92. Il divieto dello ius novorum si estende alle eccezioni nuove peraltro, oggetto della preclusione in esame sono le eccezioni in senso proprio ossia quelle che la CTR può esaminare se non ad istanza di parte. L’eccezione di merito de qua , che non abbia formato oggetto di esame della CTP in quanto non proposta, è inammissibile in sede di appello viceversa, le eccezioni processuali o di merito in senso largo possono essere prospettate come motivi di gravame, anche se non sono state proposte in primo grado, poiché trattasi d’eccezioni rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del processo La sentenza di gravame che viola siffatto divieto, per aver posto a fondamento della pronuncia anche l’eccezione nuova de qua, che doveva essere dichiarata inammissibile d’ufficio, è nulla per error in procedendo d allorquando con la sentenza di primo grado venga respinta l’eccezione di decadenza dal potere impositivo e avverso tale capo non venga proposta impugnazione l’eccezione deve ritenersi rinunciata e sul relativo capo si forma il giudicato parziale interno, con la conseguenza che l’eccezione è definitivamente preclusa. Per effetto del giudicato interno si forma una preclusione processuale interna che incide sui limiti oggettivi del giudice del gravame, che è investito della cognizione di altri capi della domanda espressamente riproposti resta precluso al giudice del gravame il riesame di questioni decise o assorbite dal giudice di primo grado e non riproposte in modo specifico in sede di gravame con le forme previste. La CTR che decida sul capo di merito non impugnato ovvero passato in giudicato interno incorre nel vizio di ultrapetizione ex articolo 112 c.p.c., rilevabile anche d’ufficio nel giudizio di legittimità viceversa, non può essere tacciata di omessa pronuncia la CTR che non decida su una questione prospettata in primo grado ma passata in giudicato interno per non essere stata riproposta in sede di gravame e il contribuente pienamente vittorioso nel merito in primo grado per avere la CTP accolto nel merito il ricorso non ha l'onere di proporre, in ipotesi di gravame formulato dal soccombente ufficio, appello incidentale specifico per richiamare in discussione l’eccezione di decadenza dell’ufficio dal potere impositivo che risulti superata o assorbite, difettando di interesse al riguardo, ma è soltanto tenuta a riproporla espressamente nel nuovo giudizio in modo chiaro e preciso, tale da manifestare, in forma non equivoca, la sua volontà di chiederne il riesame, al fine di evitare la presunzione di rinuncia derivante da un comportamento omissivo, ai sensi dell'articolo 346 c.p.c

Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 4 aprile - 25 maggio 2012, numero 8340 Presidente Pivetti – Relatore Terrusi Svolgimento del processo La commissione tributaria regionale della Lombardia, con sentenza numero 33/18/2010, ha accolto l'appello proposto da R.L. avverso la decisione di primo grado, della commissione provinciale di Milano, che, sul presupposto della mancanza di documentazione a supporto della esistenza di un credito d'imposta su dividendi, aveva respinto l'opposizione avverso una cartella di pagamento contenente il recupero a tassazione dell'importo corrispondente, ai sensi del D.P.R. numero 600 del 1973, articolo 36 ter, a seguito di controllo formale della dichiarazione dei redditi mod. unico 2004. La commissione regionale ha accolto l'appello del contribuente in quanto la cartella era stata notificata il 10.1.2008, in guisa tale da doversi ritenere tardiva in relazione al disposto D.L. numero 106 del 2005, ex articolo 1, comma 5 bis, lett. a , conv. in L. numero 156 del 2005. L'agenzia delle entrate ha chiesto la cassazione della sentenza d'appello sulla base di due motivi. L'intimato ha resistito con controricorso. Motivi della decisione 1. - Col primo motivo la ricorrente deduce nullità della sentenza per violazione dell'articolo 112 c.p.c., in relazione all'articolo 360 c.p.c., numero 4. Censura la decisione per aver omesso di pronunciare sull'eccezione di inammissibilità del motivo d'appello l evocante, per la prima volta in secondo grado, la questione della decadenza per tardività della notifica della cartella. Col secondo motivo, invece, la ricorrente denunzia la nullità della sentenza attesa la violazione del D.P.R. numero 546 del 1992, articolo 57, in relazione all'articolo 360 c.p.c., numero 4, per aver in ogni caso ritenuto decaduta l'amministrazione dalla pretesa impositiva in accoglimento di un motivo di doglianza per la prima volta proposto in appello, giacchè il ricorso in primo grado era stato incentrato unicamente sull'infondatezza nel merito della pretesa tributaria. 2. - E' assorbente l'esame del secondo motivo, col quale si deduce la violazione del D.Lgs. numero 546 del 1992, articolo 57. Il motivo è fondato. 3. - Il principio che regola il contenzioso tributario è che esso abbia un oggetto rigidamente delimitato dalle contestazioni comprese nei motivi dedotti col ricorso introduttivo D.Lgs. numero 546 del 1992, articolo 18 e 24 . In questo senso, invero, i motivi di impugnazione avverso l'atto impositivo costituiscono la causa petendi rispetto all'invocato annullamento dell'atto medesimo, con conseguente duplice inammissibilità i di un mutamento delle deduzioni avanti al giudice di secondo grado ex plurimis Cass. numero 22010/2006 Cass. numero 7766/2006 Cass. numero 10896/2005 ovvero ii dell'inserimento di temi d'indagine nuovi cfr. Cass. numero 16829/2007 . Ora, in base alla sentenza d'appello la controversia in esame - che concerne una cartella di pagamento, emessa D.P.R. numero 600 del 1973, ex articolo 36 ter, con la quale l'amministrazione finanziaria aveva disconosciuto, in quanto non documentato, un credito d'imposta su dividendi risulta caratterizzata dall'avere il contribuente impugnato la cartella facendo presente di non essere riuscito a reperire il responsabile del procedimento e di aver prodotto la documentazione richiesta ad altro funzionario . Se ne deduce che il ricorrente aveva affidato la linea di difesa, determinativa dell'oggetto del processo tributario, unicamente al profilo della esistenza della documentazione comprovante il credito disconosciuto. Soltanto in appello - dopo che la commissione provinciale aveva confermato, invece, l'inesistenza della documentazione detta - risulta essere stata sollevata la questione, consegnata ad apposito motivo di gravame, della decadenza dell'amministrazione per l'infruttuoso decorso del termine di cui al D.L. numero 106 del 2005, articolo 1, comma 5 bis, lett. a questione connaturata a un' eccezione di decadenza della pretesa impositiva non rilevabile d'ufficio e, dunque, nuova, siccome determinativa di una modifica sostanziale della causa petendi dell'azione di annullamento contro la cartella di pagamento. Questo perchè, in materia tributaria, il termine di decadenza, di natura sostanziale, in favore del contribuente stabilito per l'esercizio del e la connessa soggezione al potere impositivo non rientra nel novero della materia - sottratta alla disponibilità delle parti - dei diritti dello Stato alla percezione di tributi, ma incide unicamente sul diritto del contribuente a non vedere esposto il proprio patrimonio - oltre un certo limite di tempo - alle pretese erariali. L'eccezione di decadenza, pertanto, configura, nei termini indicati, un'eccezione in senso proprio che, in sede giudiziale, è riservata al contribuente e che non può, quindi, ai sensi dell'articolo 2969 c.c., essere rilevata d'ufficio dal giudice ovvero dedotta per la prima volta in appello cfr., ex multis, Cass. numero 14028/2011 numero 26261/2006 numero 22015/2004 . IV. - Merita aggiungere che in effetti, e diversamente da quanto sostenuto dall'agenzia delle entrate nel primo mezzo dell'odierno ricorso, la novità del motivo non era stata eccepita. E in tal senso quanto affermato nel controricorso corrisponde a verità. La sentenza difatti riferisce - e la ricorrente ne da conferma trascrivendo, in seno al ricorso, la corrispondente parte dell'atto di controdeduzioni - che l'eccezione dell'appellata attenne alla novità del motivo diretto ad affermare la presunta inapplicabilità dell'articolo 36 ter alla fattispecie in esame . E tuttavia il giudice d'appello avrebbe dovuto rilevare l'inammissibilità dell'eccezione d'ufficio, secondo il regime specificamente dettato dal D.Lgs. numero 546 del 1992, articolo 57. La rilevabilità d'ufficio deriva invero dalla natura di norma imperativa dell'articolo 57 citato, cui consegue contrariamente a ciò che è ritenuto nel controricorso - che resta irrilevante il comportamento processuale della parte contro la quale la nuova deduzione sia rivolta, consistente nella tacita o finanche espressa accettazione del contraddittorio sulla stessa. 5. - Può quindi in conclusione fissarsi il seguente principio di diritto è inammissibile, nel giudizio d'appello davanti alla commissione tributaria regionale, la prospettazione della violazione del termine per la notifica della cartella esattoriale, stabilito nel D.L. numero 106 del 2005, articolo 1, comma 5 bis, lett. a , conv. in L. numero 156 del 2005, se in primo grado sia stata fatta valere esclusivamente l'infondatezza nel merito della pretesa fiscale, basata sul disconoscimento di un credito su dividendi esposto nella dichiarazione annuale, trattandosi di nuovo motivo di gravame, vietato dal D.Lgs. numero 546 del 1992, articolo 57 . L'impugnata sentenza, essendo in contrasto col ripetuto principio, va dunque cassata in accoglimento del secondo mezzo, il primo restando assorbito con rinvio alla medesima commissione regionale - diversa sezione - per l'esame dei residui motivi di appello. Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il secondo motivo, assorbito il primo cassa l'impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla commissione tributaria regionale della Lombardia.