Mansioni non definite, ipotizzabile la carenza di formazione. Per l’infortunio dell’operaio da approfondire la responsabilità del datore di lavoro

Azzerata la pronuncia di assoluzione emessa in Appello, almeno agli effetti civili. In secondo grado la morte era stata addebitata all’imprudenza dell’operaio, ma la connessione non è così scontata. Difatti, vanno approfonditi il ruolo da factotum, il range troppo ampio di mansioni e, quindi, l’ipotesi della carenza di formazione e di informazione sui rischi.

Tuttofare aziendale e uomo di fiducia del titolare della ditta, con mansioni però troppo ‘liquide’, difficilmente definibili, non inquadrabili con precisione. Ecco perché è da ricostruire attentamente la responsabilità del datore di lavoro per l’infortunio subito in azienda dal factotum, alla luce, soprattutto – come chiarisce la Cassazione, con sentenza numero 11112/2012, Quarta sezione Penale, depositata oggi –, della ipotesi di una carenza in materia di formazione e di informazione professionale. Azione fatale L’autocarro aziendale si blocca, e il dipendente factotum, di nazionalità rumena, si lancia in un’operazione di ripristino, provando a rimuovere il fango dall’albero motore, ma, per farlo, è costretto a piazzarsi tra la scocca del camion e il cassone ribaltabile. A causa dell’intervento, però, all’improvviso proprio il cassone si abbassa, travolgendo mortalmente l’operaio. e imprevedibile? Sotto accusa finiscono il datore di lavoro e il collega che si trovava, in quella occasione, a lavorare con l’operaio romeno. E il reato addebitato loro è gravissimo omicidio colposo. A sorpresa, però, in primo grado, entrambi gli imputati vengono assolti «perché il fatto non sussiste». E, ancor più a sorpresa, anche in secondo grado, l’assoluzione viene confermata. Secondo i giudici d’Appello, difatti, l’operaio romeno era da considerare un factotum e aveva cercato di «riparare il guasto, di sua iniziativa, rimanendo schiacciato», e, di conseguenza, la responsabilità della tragedia non poteva essere addebitata né all’altro operaio che «non aveva la qualifica di preposto, la sua autorevolezza gli derivava solo da essere uno dei dipendenti più anziani» né al datore di lavoro, perché l’azione rivelatasi fatale «era stata improvvisa ed imprevedibile, essendo l’azienda dotata di due persone specificamente addette alla manutenzione dei mezzi» peraltro, la riparazione del guasto era da considerare «attività al di fuori delle mansioni attribuite alla vittima». Complessivamente, per i giudici di secondo grado, la condotta della vittima era stata caratterizzata da «anomalia ed abnormità» l’operaio rumeno «aveva agito di sua iniziativa, al di fuori di ordini o prassi aziendali, pur potendo fare ricorso, per sopperire all’inconveniente, a persone specializzato presente in azienda». Difetto di formazione. A tenere aperta la questione, chiedendo giustizia, è la moglie dell’operaio morto, che, tramite il proprio legale, nella qualità di parte civile, presenta ricorso per cassazione. Centrale è la critica alla valutazione compiuta in Appello rispetto al ruolo dell’operaio romeno certo, egli era un factotum, ma, comunque, era da tener presente il fatto che «non avesse ricevuto informazioni e formazione in ordine all’attività da svolgere, considerato che più volte aveva anche svolto lavori di manutenzione meccanica». E, allargando la prospettiva, la carenza era presente anche sul fronte dei rischi connessi all’attività da svolgere nell’ambito aziendale. Mansioni troppo ‘liquide’. Ebbene, la prospettiva tracciata dall’avvocato della parte civile viene considerata legittima dai giudici di Cassazione, che accolgono, in parte, il ricorso e rimettono la questione ai giudici della Corte d’Appello. Il quadro complessivo, quello della teoria, prevede l’obbligo, per il datore di lavoro, di fornire sempre al lavoratore «un’adeguata formazione ed informazione sui rischi» dell’attività svolta, a maggior ragione quando ci sono repentini cambi di mansione. Poi, però, scendendo nei dettagli della vicenda, si evidenzia che l’operaio morto era sì qualificato come «impiegato tecnico di cantiere» ma svolgeva «svariate mansioni», mansioni «indefinite», mansioni «fluide», e ciò, secondo i giudici, alla luce delle difficoltà nel definire uno specifico «profilo professionale,» porta ad evidenziare, ancor di più, la carenza in materia di «adeguata formazione». Proseguendo nel ragionamento, se l’operaio pone in essere «comportamenti imprudenti, non può dirsi che gli eventi letali che ne conseguono sono il frutto di condotte anomale o imprevedibili», perché, sottolineano i giudici, «la imperizia del comportamento è direttamente ricollegabile alla sua mancata formazione ed informazione». Di conseguenza, non si può escludere «la responsabilità del datore di lavoro». Piuttosto, affermano i giudici, riaffidando la questione alla Corte d’Appello e indicando i temi più caldi, vanno indagate le azioni, anche quelle non compiute, dal datore di lavoro, per l’appunto, ovvero che l’operaio «non fosse investito di specifiche mansioni», non avesse ricevuto «adeguata formazione» e che gli fosse stato permesso di affrontare «svariate attività di lavoro manuale, senza una specifica formazione professionale». Tutto ciò è finalizzato, concludono i giudici – che annullano la sentenza agli effetti civili –, a stabilire, eventualmente, un «legame causale con l’evento mortale».

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 29 novembre 2011 – 21 marzo 2012, numero 11112 Presidente Marzano – Relatore Izzo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza dei 4\5\2006 Tribunale di Padova assolveva B.R. e B.E. dal delitto di omicidio colposo in danno dell’operaio C.B., di nazionalità rumena, perché il fatto non sussiste. Agli imputati veniva addebitato che, in qualità di datore di lavoro il B. amministratore della s.r.l. “Ritmo” e di preposto il B., per negligenza, imprudenza ed imperizia e violazione di specifiche norme di prevenzione infortuni mancata informazione e formazione del lavoratore sui rischi omessa previsione del rischio nel documento di valutazione mancanza di adeguata manutenzione dell’autocarro assenza di un fermo automatico del cassone in caso di accesso agli organi in movimento ecc. , avevano cagionato la morte del dipendente C., il quale per rimuovere del fango dall’albero motore di un autocarro aziendale Fiat 130 che stava utilizzando unitamente al B., postosi tra la scocca del camion ed il cassone ribaltabile, determinava l’abbassamento repentino di quest’ultimo che lo travolgeva procurandogli gravi lesioni al capo che ne determinavano l’immediato decesso acc. in Teolo – PD - il 21\11\2000 . Con sentenza del 19\7\2010 la Corte di Appello di Venezia confermava la pronuncia di assoluzione. Osservava la Corte di merito che - il C., assunto formalmente come impiegato, non era investito nell’azienda di specifiche funzioni, svolgendo diversi tipi di lavori manuali, soprattutto a beneficio della sfera privata del B., divenendo sostanzialmente un “tuttofare”, uomo di fiducia del datore di lavoro - per tale motivo, la vittima e la sua famiglia, avevano la disponibilità di un alloggio nelle pertinenze dell’abitazione del datore di lavoro, fungendo anche da custode e svolgendo lavori di piccola manutenzione - nel tempo il C. aveva soppiantato nella considerazione del datore di lavoro il più anziano B. - li giorno dei fatti C. e B., in occasione di lavori svolti all’interno del perimetro aziendale dagli stessi lavoratori della “Ritmo”, stavano trasportando del terreno di scavo ed allontanatisi dal capannone per scaricare la terra, il camion si era fermato per un guasto all’albero motore che perdeva olio - in tale occasione il B. si era allontanato per andare a prendere un secchio ove raccogliere l’olio - di sua iniziativa il C. aveva cercato di riparare il guasto, rimanendo schiacciato sotto il cassone improvvisamente abbassatosi - del fatto non doveva rispondere il B., in quanto non aveva la qualifica di “preposto”, ma la sua autorevolezza gli derivava solo da essere uno dei dipendenti più anziani inoltre svolgeva l’attività su un piano paritario con la vittima, la quale aveva preso l’iniziativa dell’intervento di manutenzione senza alcun ordine o consenso, mentre il B. non era presente e, quindi, non aveva potuto dissentire - del fatto non doveva rispondere neanche il datore di lavoro B., considerato che l’iniziativa del C. era stata improvvisa ed imprevedibile, essendo l’azienda dotata di due persone D.F. e L.F. specificamente addette alla manutenzione dei mezzi inoltre si era trattato di un’attività al di fuori delle mansioni attribuite alla vittima - nessuno degli imputati si era, peraltro, potuto accorgere dell’iniziativa del C., in quanto svoltasi in pochi minuti e fuori dell’ambito visivo dei due. La Corte distrettuale, pertanto, confermava l’assoluzione, valutando la anomalia ed abnormità della condotta della vittima, la quale aveva agito di sua iniziativa, al di fuori di ordini o prassi aziendali, pur potendo far ricorso, per sopperire all’Inconveniente, a personale specializzato presente in azienda. La Corte, inoltre, escludeva la sussistenza del nesso causale tra la carenza di manutenzione dell’albero motore ed il sinistro e dell’assenza di un dispositivo di blocco, non preinstallato ed impiegato solo in sede di operazioni di manutenzione in officina . 2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore delle parti civili, lamentando 2.1. il difetto e la contraddittorietà della motivazione, laddove la corte i merito dopo avere stabilito che la vittima era un “tuttofare” sia presso l’abitazione del datore di lavoro che presso l’azienda, aveva valutato privo di significato che non avesse ricevuto informazioni e formazione in ordine all’attività da svolgere, considerato che più volte aveva anche svolto lavori di manutenzione meccanica, richiedendo in officina la fornitura di pezzi di ricambio inoltre contraddittoria era la motivazione della sentenza ove, dopo avere affermato che il C. ed il B. erano fuori dall’organizzazione aziendale, aveva preteso che, rispettando regole aziendali si rivolgessero al personale addetto alla manutenzione per risolvere il problema del camion, nel rispetto quindi di regole aziendali 2.2. la contraddittorietà della motivazione, laddove era stato affermato che l’intervento sull’autocarro era durato solo venti minuti, mentre invece si era svolto per almeno due ore sul punto la Corte aveva stravolto le dichiarazioni del C.T. della P.C. Ing. S. 2.3. il difetto di motivazione, laddove era stata ritenuta, quella della vittima, una iniziativa anomala ed imprevedibile e quindi causa sopravvenuta, da sola idonea a determinare l’evento, a fronte dei fatto che egli era stato effettivamente utilizzato in azienda, senza avere una specifica mansione e, quindi conseguentemente, senza un’adeguata formazione ed informazione sui rischi pertanto era prevedibile che si adattasse a fare qualsiasi lavoro ritenesse rientrare nelle sue non definite mansioni. Considerato in diritto 3. Il ricorso è fondato limitatamente all’affermata esclusione di responsabilità del B. 3.1. Va premesso che, come emerso dall’istruttoria dibattimentale, l’incidente si è verificato in quanto il C., allo scopo di rimuovere del fango che non consentiva all’albero motore di funzionare regolarmente, si era messo all’interno del perimetro del telaio dell’autocarro a cassone alzato. Smontando il raccordo del tubo idraulico, aveva determinato la caduta immediata del cassone che l’ha travolto determinandone il decesso. Il mezzo non era in regola con le revisioni, ma ciò è stato giustificato con il fatto che esso veniva utilizzato solo per attività da svolgere all’interno dell’azienda. Ciò premesso va evidenziato che, al memento del fatto, il C. stava espletando delle mansioni non corrispondenti alla qualifica di assunzione che era quella di “impiegato tecnico di cantiere”. Vero che dai punto di vista del diritto civile il datore di lavoro può esercitare unilateralmente lo “ius variandi” delle mansioni dei dipendente, sebbene nei limiti consentiti dall’articolo 2103 cod. civ. Ma dal punto di vista del rispetto delle esigenze di prevenzione infortuni, al cambio delle mansioni deve seguire un’adeguata formazione del lavoratore ed informazione sui rischi della sua attività. Con consolidata giurisprudenza, questa Corte ha affermato che in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il datore di lavoro ha l’obbligo di assicurare ai lavoratori una formazione sufficiente ed adeguata in materia di sicurezza e salute, con particolare riferimento al proprio posto di lavoro ed alle proprie mansioni, in maniera tale da renderlo edotto sui rischi inerenti ai lavori a cui è addetto cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza numero 4063 dei 04/10/2007 Ud. dep. 28/01/2008 , Rv. 238540 Cass. Sez. 4, Sentenza numero 41997 del 16/11/2006 Ud. dep. 21/12/2006 , Rv. 235679 . Inoltre, poiché il datore di lavoro è tenuto a rendere edotti i lavoratori dei rischi specifici cui sono esposti, consegue che è ascrivibile al datore di lavoro, in caso di violazione di tale obbligo, la responsabilità del delitto di lesioni colpose allorché abbia destinato il lavoratore, poi infortunatosi, all’improvviso ed occasionalmente, a mansioni diverse da quelle cui questi abitualmente attendeva senza fornirgli, contestualmente, una informazione dettagliata e completa non solo sulle mansioni da svolgere, ma anche sui rischi connessi a dette mansioni Cass. Sez. 4, Sentenza numero 41707 dei 23/09/2004 Ud. dep. 26/10/2004 , Rv. 2302579 . 3.2. Nel caso di specie, la violazione di tali regole di prevenzione e sicurezza si palesa evidente, se solo si ponga mente alla attività svolta dal C., lo si ripete, qualificato “impiegato tecnico di cantiere”, ma in realtà adibito alle più svariate mansioni, anche manuali, non solo nell’ambito aziendale, ma anche come “tuttofare” rispetto alle esigenze personali del B. Pertanto la peculiarità del C., non sta tanto nel fatto che egli abbia svolto mansioni diverse da quelle di regola svolte, bensì nel fatto che a questi siano state attribuite mansioni “indefinite”, con conseguente deficit di formazione ed informazione. Ne consegue che, una volta che il lavoratore sia addetto a svolgere funzioni per le quali non ha ricevuto adeguata formazione soprattutto, come nel caso che ci occupa, quando la “fluidità” di tali mansioni non consente di definire in modo preciso il suo profilo professionale quando questi ponga in essere comportamenti imprudenti smontaggio di un circuito idraulico a cassano alzato , non può dirsi che gli eventi letali che ne conseguono sono il frutto di condotte anomale ed imprevedibili, in quanto la imperizia del comportamento è direttamente ricollegabile alla sua mancata formazione ed informazione. 3.3. Non può pertanto essere condivisa la conforme pronuncia del giudice di merito che, nell’escludere la responsabilità del datore di lavoro B., ha ricondotto l’evento mortale alla negligenza della stessa vittima, che con il suo comportamento avrebbe posto in essere una condotta idonea da sola a determinare l’evento. Il giudice di merito, alla luce dei principi sopra indicati, avrebbe dovuto valutare se, in ragione delle concrete modalità di svolgimento del lavoro, poteva riconoscersi una responsabilità in capo al datore di lavoro B., avendo questi - tollerato che il C. non fosse investito di specifiche mansioni - omesso di fornirgli, personalmente o a mezzo della struttura aziendale, una adeguata formazione ed informazione - consentito che il lavoratore, titolare di mansioni “indefinite”, si cimentasse nelle più svariate attività di lavoro manuale, senza che avesse in relazione ad esse una specifica formazione professionale. Andava pertanto valutato, se riconosciuta in fatto una colposa condotta omissiva, unitamente alla circostanze accessorie di avere tenuto in servizio un mezzo di trasporto in condizioni di scarsa efficienza e manutenzione, essa poteva ritenersi in legame causale con l’evento mortale. Si impone per quanto detto, l’annullamento della sentenza agli effetti civili, limitatamente alla posizione del B., con rinvio al giudice competente per valore in grado di appello, ai sensi dell’articolo 622 cod.proc.penumero 3.4. Quanto alla posizione del B., la sua assoluzione è stata determinata dal fatto che non è risultata provata la sua qualifica di preposto e, quindi, di sovraordinazione gerarchica rispetto alla vittima. Le argomentazioni svolte sul punto dalla Corte di merito appaiono coerenti e motivate in modo non manifestamente illogico. Si impone, pertanto il rigetto del ricorso proposto nei confronti di tale imputato. P.Q.M. La Corte annulla la sentenza impugnata agli effetti civili nei confronti di B.R., con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui demanda anche il regolamento delle spese fra le parti per questo giudizio. Rigetta nel resto il ricorso.