di Carmen Ceschel
di Carmen CeschelIl rifiuto del promissario acquirente di stipulare la compravendita definitiva di un immobile privo dei certificati di abitabilità o di agibilità e di conformità alla concessione edilizia è giustificato, pur se il mancato rilascio dipende da inerzia del Comune l'acquirente, infatti, ha interesse ad ottenere la proprietà di un immobile idoneo ad assolvere la funzione economico - sociale e a soddisfare i bisogni che inducono all'acquisto, cioè la fruibilità e la commerciabilità del bene, per cui i predetti certificati devono ritenersi essenziali. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza numero 14899 del 6 luglio.La questione. Nel caso affrontato nella pronuncia in rassegna, il promissario acquirente di un immobile si rifiutava di stipulare il contratto definitivo e conveniva in giudizio il promittente venditore per sentir dichiarare risolto il contratto preliminare per inadempimento del convenuto, che non aveva fornito, come promesso, il certificato di conformità e quello di abitabilità ai fini della stipula del contratto definitivo. Il tribunale accoglieva la domanda attorea e la Corte di appello confermava la sentenza di primo grado. Il promittente venditore, quindi, ricorreva per Cassazione.Dubbi sull'interpretazione del contratto preliminare. In particolare, il ricorrente ritiene che la Corte di merito abbia interpretato erroneamente una clausola inserita nel preliminare, ai sensi degli articolo 1362 e 1363 c.c. In base alla citata clausola, la stipula del contratto definitivo era stata condizionata all'ottenimento dei due certificati di conformità ed abitabilità tuttavia, sostiene il promittente venditore, se effettivamente vi fosse stata tale condizione si sarebbe dovuto inserire un termine entro il quale doveva avvenire la consegna dei certificati e, in caso di inerzia del Comune, si sarebbe dovuto indicare con quali mezzi ottenere gli stessi. La comune intenzione delle parti di cui all'articolo 1362, I comma, c.c. doveva ritenersi, quindi, altra rispetto al tenore letterale della clausola.La S.C. rigetta il motivo. Interpretazione letterale la conclusione del definitivo è subordinata all'ottenimento dei certificati da parte del venditore. Chiarisce, infatti, che la Corte di merito ha correttamente rilevato come la clausola sia assolutamente inequivoca, ponendo a carico del promittente venditore l'obbligo di ottenere sia il certificato di conformità che quello di abitabilità. Al di là della considerazione che l'obbligo di ottenere tali certificazioni spetta, per legge, al venditore, si deve rilevare che proseguendo nella lettura del preliminare emerge chiaramente la volontà delle parti di porre a carico del venditore tale obbligo.In tema di interpretazione dei contratti, continua la Corte, il riferimento al senso letterale delle espressioni usate rappresenta lo strumento di interpretazione fondamentale e prioritario, con la conseguenza che, ove tali espressioni siano chiare e di univoco significato e consentano, quindi, di cogliere la comune intenzione delle parti, resta superata la necessità del ricorso agli ulteriori criteri ermeneutici cfr. Cass., numero 13991/2000 .L'inerzia del Comune giustifica il rifiuto del promissario acquirente di stipulare il definitivo. Inoltre, continua la Corte, l'obbligo di procurare i certificati suddetti è posto a carico del venditore ai sensi degli articolo 1477, III comma, c.c. ed articolo 220 e 221 R.D. numero 1265 del 1934, in conformità con la giurisprudenza della stessa Cassazione, per cui il rifiuto del promissario acquirente di stipulare la compravendita definitiva di un immobile privo dei certificati di abitabilità o di agibilità e di conformità alla concessione edilizia è giustificato anche se anteriore all'entrata in vigore della legge 28 febbraio 1985, numero 47 pur se il mancato rilascio dipende da inerzia del Comune nei cui confronti, comunque, è obbligato ad attivarsi il promittente venditore l'acquirente, infatti, ha interesse ad ottenere la proprietà di un immobile idoneo ad assolvere la funzione economico - sociale e a soddisfare i bisogni che inducono all'acquisto, cioè la fruibilità e la commerciabilità del bene, per cui i predetti certificati devono ritenersi essenziali Cass., numero 10820 dell'11 maggio 2009 .
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 17 maggio - 6 luglio 2011, numero 14899Presidente Schettino - Relatore BurseseSvolgimento del processoL.C., con atto del 13.04.95, conveniva in giudizio avanti al tribunale di Catania, V D.B per sentirsi dichiarare risolto il contratto preliminare con lui stipulato in data 23.3.93 per inadempimento del convenuto, il quale non le aveva fornito, come promesso, il certificato di conformità e quello di abitabilità ai fini della stipula dell'atto definivo chiedeva inoltre la condanna del medesimo D.B. al pagamento di altre somme a titolo di restituzione del doppio della caparra, di quanto versato in conto prezzo ed a titolo di risarcimento danni. Si costituiva il convenuto chiedendo il rigetto della domanda avversaria e formulando a sua volta domanda riconvenzionale, assumendo che la mancata stipula del definitivo era addebitabile alla stessa attrice.L'adito tribunale di Catania, con sentenza numero 448/02 depos. il 20.2.2002 accoglieva la domanda della C., dichiarando risolto il preliminare di vendita e condannava il D.B. al pagamento di somme per i titoli richiesti. Avverso la suindicata pronuncia il D.B. proponeva appello contestando la responsabilità a lui addebitata per la mancata conclusione del contratto e deducendo l'errata quantificazione dei danni.La corte d'Appello di Catania, con la sentenza numero 218/05, depos. in data 7.7.05, accoglieva in parte l'impugnazione e condannava il D.B. al pagamento della minor somma complessiva di lire 66.065.000, confermando nel resto la semenza impugnata, ribadendo, in specie, l'inadempimento del promittente venditore per il mancato rilascio dei certificati di conformità e di quello di abitabilità, obbligo posto a suo carico ope legis.Avverso la predetta pronuncia, ricorre per cassazione D.B.V. sulla base di 4 mezzi resiste l'intimata con controricorso.Motivi della decisioneCon il primo motivo l'esponente denunzia la violazione e/o falsa applicazione delle norme sull'interpretazione dei contratti articolo 1362 e 1363 c.c. . Sostiene che la Corte di merito ha errato nell'interpretare la clausola contrattuale inserita nel preliminare, nel senso che la stipula dell'atto pubblico era stata condizionata all'ottenimento dei certificati in parola se così fosse stato, le parti avrebbero dovuto inserire nel contratto un termine entro il quale doveva essere consegnato il certificato e, in caso d'inerzia del Comune, indicare con quali mezzi si sarebbe potuto ottenere lo stesso certificato, posto che la richiesta del predetto documento era stata fatta al momento della stipula clausola numero 3 del preliminare , e di ciò era consapevole la stessa promissaria acquirente. La comune intenzione delle parti ex articolo 1362 c.c. era invero desumibile solo attraverso l'interpretazione congiunta delle clausole numero 3 e 4 del preliminare in discorso. Con il 2 motivo il ricorrente denunzia il vizio di motivazione con riferimento alle norme che regolano l'esame delle prove. La corte territoriale non aveva tenuto conto che il certificato di conformità era stato richiesto già il 4.2.93, mentre non corrispondeva al vero che esso esponente non aveva fatto nulla per attivarsi ad ottenerlo presso la competente autorità comunale.Con il 3 motivo il D.B. denunzia la violazione dell'articolo 1453 c.c. e 1183 c.c. e il vizio di motivazione deduce che le condizioni per la pronuncia di risoluzione devono sussistere alla data del contratto definitivo e che non era configurabile l'inadempimento del venditore perché non era stato previsto un termine per il rilascio del certificato, termine che se mai poteva essere stabilito dal giudice. I predetti motivi sono infondati.La Corte di merito a questo riguardo ha puntualmente osservato pag. 5 che è assolutamente inequivoca la clausola del preliminare al punto 4 che pone a carico del promittente venditore l'obbligo di ottenere sia il certificato di conformità che quello di abitabilità . ma, a parte la considerazione che l'obbligo di ottenere tali certificazioni spetta per legge al venditore, è anche vero che proseguendo nella lettura del testo del preliminare, la volontà delle parti di porre a carico del promittente venditore tale obbligo emerge chiaramente dal concatenamento con la frase successiva che testualmente aggiunge fermo restando, ora per allora che il promittente venditore dovrà farsi carico di richiedere oltre che a propria cura anche a proprie spese il certificato di abitabilità . Ha precisato in proposito questa Corte regolatrice, che, .in tema di interpretazione dei contratti, il riferimento al senso letterale delle espressioni usate rappresenta lo strumento di interpretazione fondamentale e prioritario, con la conseguenza che, ove tali espressioni siano chiare e di univoco significato e consentano, quindi, di cogliere la comune intenzione delle parti, resta superata la necessità del ricorso agli ulteriori criteri ermeneutici . Cass. numero 13991 del 24/10/2000 .Peraltro - come ha opportunamente ricordato il giudice a quo - l'obbligo di procurare la certificazione in parola, è posto per legge a carico del venditore ex articolo 1477, 3 co. c.c. e articolo 220 e 221 R.D. numero 1265 del 1934, tutto ciò in conformità con la giurisprudenza di questa S.C. secondo la quale Il rifiuto del promissario acquirente di stipulare la compravendita definitiva di un immobile privo dei certificati di abitabilità o di agibilità e di conformità alla concessione edilizia, pur se il mancato rilascio dipende da inerzia del Comune - nei cui confronti, peraltro, è obbligato ad attivarsi il promittente venditore - è giustificato, ancorché anteriore all'entrata in vigore della legge 28 febbraio 1985, numero 47, perché l'acquirente ha interesse ad ottenere la proprietà di un immobile idoneo ad assolvere la funzione economico sociale e a soddisfare i bisogni che inducono ali1 acquisto, e cioè la fruibilità e la commerciabilità del bene, per cui i predetti certificati devono ritenersi essenziali Cass. numero 10820 del 11/05/2009 .Passando infine all'esame del 4 motivo, con esso l'esponente denunzia violazione e falsa applicazione degli arti 1475 e 1218 c.c. deduce che la corte di merito ha errato nel riconoscere alla promittente compratrice il risarcimento delle spese di mediazione, che non possono configurarsi come spese accessorie alla vendita, essendo solo eventuali e volontarie. Sottolinea che non può essere applicato l'articolo 1218 c.c. in quanto tra la provvigione per mediazione e l'eventuale azione di danni per inadempimento da parte di uno dei contraenti, non esiste alcun nesso teleologico.La doglianza è fondata.Le spese accessorie del contratto di vendita, che l'articolo 1475 c.c. pone a carico del compratore, in difetto di una specifica pattuizione contraria, sono tutte quelle che si rendano necessarie per la conclusione del contratto pertanto l'onere gravante sul compratore viene meno quando sia palese la non necessità della spesa rispetto ai fini e al contenuto dell'atto posto in essere e quando i contraenti abbiano, al riguardo, diversamente pattuito. Ciò premesso, nel caso di specie, non può ritenersi che la provvigione dovuta al mediatore rientrasse tra le spese del contratto di compravendita e le altre accessorie, che, ai sensi dell'articolo 1475 c.c. salvo diverso accordo tra le parti, sono poste a carico del compratore. Si tratta infatti di una spesa che non può qualificarsi come accessoria al contratto di compravendita, perché ha origine da un diverso rapporto negoziale, quale quello di mediazione e del diritto che, nell'ambito di questo rapporto, è attribuito al mediatore nei confronti di ciascuna delle parti che ha concluso l'affare e per la quota ad esso spettanti Cass. numero 22.63 del 24.2.1993 . L'accoglimento di tale censura comporta l'accoglimento del ricorso - rigettati i primi 3 motivi - e la cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto potendosi decidere la causa nel merito ex articolo 384 c.p.c., non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, deve dichiararsi non dovuta la somma richiesta e liquidata a titolo di rimborso spese di mediazione. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio, che compensa in misura di 1/4 si ritengono invece congrue - attesi i profili sostanziali e processuali della fattispecie - le spese del giudizio di 2 grado, come liquidate nella sentenza impugnata, che dunque su tale specifico punto, va confermata.P.Q.M.La Corte, rigetta i primi tre motivi accoglie il 4 motivo del ricorso cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, e,decidendo la causa nel merito, dichiara non dovuta a C.L. la somma richiesta e liquidata a titolo di rimborso delle spese per mediazione. Condanna il ricorrente al pagamento delle speseci questo giudizio che compensa per il 50% e che liquida quindi per il residuo 50% in complessive Euro 1.200,00, di cui Euro 1.000,00 per onorario, oltre spese accessorie.