Il CdS chiarisce i concetti di edificabilità di fatto, di diritto e legale, di vincolo espropriativo e conformativo. Dalla loro distinzione si desume se l’indennizzo dovrà essere calcolato in base al valore agricolo medio VMA e venale del bene od a quello di mercato.
È quanto analizzato dal Consiglio di Stato sentenza numero 5113 dello scorso 27 settembre nel decidere sul rifiuto di un indennizzo per esproprio proposto da un comune toscano, perché ritenuto incongruo e contrario alla sentenza di cui si chiedeva l’ottemperanza. La vicenda. I proprietari di un terreno occupato d’urgenza dal comune, per la realizzazione di un tratto stradale, convenivano l’ente per il dovuto risarcimento innanzi al Tar. Il G.A., accogliendo le loro istanze, liquidava una somma quantificata «ai sensi dell’articolo 35 del d.lgs. numero 80/1998, sulla base del valore venale stimato in relazione alla disciplina urbanistica vigente alla data del 25 settembre 2003 ed alla quotazione di mercato di analoghi terreni esistenti in zona» Tar Firenze numero 396/10 . La PA faceva un’offerta che era rifiutata per i motivi di cui sopra. I proprietari, perciò, agivano per la sua esatta ottemperanza, ma il Tar questa volta respingeva la loro domanda Tar Firenze sez. 3 numero 417/11 e, perciò, adivano il CDS che confermava questa decisione con articolate e complesse conclusioni, stante la natura conformativa e non espropriativa dell’atto, come sostenuto dagli attori. È questo il punto focale per risolvere la lite. Differenze tra il vincolo conformativo ed espropriativo dell’occupazione per pubblica utilità. La giurisprudenza di legittimità afferma che il piano regolatore contiene il programma generale sullo sviluppo urbanistico e, quindi, ha desunto «che la destinazione di parti del territorio a determinati usi, anche se prelude all’acquisizione pubblica dei suoli necessari, non costituisce vincolo espropriativo, pur comportando un vincolo di inedificabilità» articolo 9 e 32 DPR 327/01 . La Cassazione sent. numero 26615/08 e conformi ha stabilito un’eccezione a questo criterio l’occupazione necessaria di terreni per la costruzione di «reti stradali all’interno e a servizio delle singole zone, come tali riconducibili a vincoli imposti a titolo particolare, di carattere espropriativo, trattandosi di limitazioni particolari incidenti su beni determinati in funzione non già di una generale destinazione di zona ma della localizzazione lenticolare di un’opera pubblica» Tar 417/11 . Questo ultimo è l’unica ipotesi in cui è legittimato l’indennizzo. La distinzione tra i due vincoli in epigrafe sarà incentrata sulla potenzialità edificatoria degli immobili e, perciò, saranno espropriativi «tutti i vincoli, connessi alla previsione della realizzazione dell’opera pubblica, i quali, determinando un totale svuotamento del diritto dominicale del privato, precluderebbero in radice l’edificazione sia di opere private che di quelle di pubblica utilità». Saranno conformativi, invece, tutti gli altri. Occorre quindi tener conto delle previsioni del piano urbanistico che nella fattispecie «precludeva l’iniziativa privata». Si deve far riferimento al piano vigente all’epoca dei fatti, non rilevando eventuali successive variazioni, cambi di destinazione e che le stesse aree o quelle limitrofe fossero state adibite a parcheggio pubblico. Edificabilità di fatto, di diritto e legale. Il G.A. con un ragionamento per assurdo distingue tra queste tre tipologie di «potenzialità edificatoria». Nella prima essa sarà presunta «a seguito di una doverosa indagine sulla sussistenza della concreta possibilità di destinare le aree a finalità diverse da quelle agricole, per i cosiddetti “usi intermedi”». È un parametro suppletivo è ininfluente che l’area sia riservata ad usi agricoli. La seconda si basa sulla distinzione data dal piano regolatore e dalla legislazione urbanistica vigente, entrambi espressione di «un’attività pianificatoria» della PA verso una «generalità di beni e di soggetti», sì che c’è l’obbligo di conformarsi «alla destinazione impressa al suolo in funzione di salvaguardia della programmazione urbanistica, indipendentemente dall’eventuale instaurazione di procedure espropriative cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 13 marzo 2008, numero 1095 ». Infine la terza afferma che «anche quando sussistono le infrastrutture urbanistiche, l’edificabilità di un suolo è, infatti, una condizione legale e non una qualità naturale ontologica propria dei terreni». Nel nostro caso, ai fini dell’indennizzo, non si terrà conto dell’edificabilità di fatto, ma solo di quelle di diritto e legale Cass. nnumero 8707/06 e 21092/05 . Modalità di risarcimento. Alla luce di quanto sopra, si conferma la natura conformativa del provvedimento de qua, perché è «una prescrizione di natura programmatica, che come tale, non avrebbe consentito l’immediata diretta espropriabilità dell’area senza l’interposizione di un provvedimento applicativo e che, come tale, dava luogo ad un vincolo meramente conformativo sulle relative aree». Ergo ai sensi dell’articolo 40, DPR 327/01, non è invocabile l’articolo 3, lett. e , DPR 380/01. L’indennizzo, perciò, sarà quantificato prendendo in considerazione il valore venale dei terreni limitrofi ed il VAM, che non necessariamente coinciderà con quello nominale e di mercato dell’immobile.
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 12 giugno – 27 settembre 2012, numero 5113 Presidente Numerico – Estensore Realfonzo Fatto Con una prima sentenza numero 396 del 12 febbraio 2010, passata in giudicato, il TAR ha accolto, in parte, l’impugnativa degli odierni appellanti di conseguenza - ha annullato il decreto di esproprio di un loro terreno di mq. 31.666, occupati d’urgenza dal Comune di Campi Bisenzio in data 14/6/2001 per la costruzione del 2° lotto della strada Firenze Perfetti Ricasoli - Prato Mezzana -- ha condannato il Comune a risarcire i danni, ai sensi dell’articolo 35 del d.lgs. numero 80/1998, sulla base del valore venale stimato in relazione alla disciplina urbanistica vigente alla data del 25 settembre 2003 ed alla quotazione di mercato di analoghi terreni esistenti in zona. L’amministrazione, in dichiarata esecuzione della predetta decisione, aveva offerto agli interessati un importo risarcitorio ritenuto dagli appellanti incongruo ed elusivo del giudicato. Con il presente gravame gli appellanti, che erano insorti innanzi al TAR avverso le predette determinazioni dell’amministrazione, chiedono I. l’annullamento della sentenza per l’ottemperanza numero 417/2011 del TAR Toscana, con cui è stato respinto il ricorso diretto all’esatta ottemperanza della predetta sentenza numero 396/2010 II. l’annullamento o comunque la declaratoria di nullità, di tutti i provvedimenti elusivi del giudicato ed in particolare a della nota del 20.5.2010 del Dirigente del Comune di Campi Bisenzio, di offerta del risarcimento e dell'allegata perizia di stima redatta dall’Ing. Sandro Chiostrini b della nota del 16.8.2010, di conferma della somma di cui alla sopra III. la condanna del Comune di Campi Bisenzio al pagamento in loro favore della somma di € 7.000.000,00 o della diversa somma, maggiore o minore, ritenuta di giustizia previa eventuale C.T.U. tecnico – estimativa, oltre agli accessori nella misura derivante dall'applicazione del criterio stabilito con la citata sentenza numero 396/2010. L’appello denuncia l’erroneità della quantificazione del risarcimento dei danni sotto quattro rubriche di gravame. Il Comune di Campi Bisenzio si è ritualmente costituito in giudizio con un’analitica memoria difensiva. Con memoria per l’udienza pubblica gli appellanti hanno sottolineato come la sentenza della Corte d’appello di Firenze invocata dal Comune, peraltro concernente altre proprietà, è stata poi revocata da una successiva decisione della medesima Corte d’appello numero 148/2012, e hanno insistito sulle proprie domande. Con memoria di replica il Comune ha analiticamente contestato le censure di controparte ed ha concluso per il rigetto dell’appello. Chiamata ala camera di consiglio di discussione, la causa, uditi i patrocinatori delle parti, è stata ritenuta in decisione. Diritto 1.§ . Per ragioni di economia espositiva le quattro rubriche di gravame, afferendo ad un unico nucleo sostanziale di censura possono e devono essere confutate unitariamente. 1.§ .1. Per gli appellanti la sentenza del TAR sarebbe erronea -- nella parte in cui si sarebbe “appiattita” sulla giurisprudenza, ritenuta criticabile, della Cassazione che ha affermato la natura conformativa e non espropriativa delle previsioni dei piani urbanistici generali -- laddove, anche ammettendo la natura espropriativa delle prescrizioni, comunque sostiene che la determinazione del risarcimento del danno avrebbe dovuto essere riferita alla potenzialità edificatoria delle aree limitrofe al cui servizio la destinazione a strada è concepita. L’articolo 32, comma primo, del d.p.r. numero 327/2001 e l’articolo 9, 1° comma del citato d.p.r. non solo confermerebbero che la distinzione tra vincoli espropriativi e vincoli di diverso tipo avrebbe rilievo solo a fini indennitari e non risarcitori, ma indurrebbero ad attrarre alla prima tipologia tutti i vincoli, connessi alla previsione della realizzazione dell’opera pubblica, i quali, determinando un totale svuotamento del diritto dominicale del privato, precluderebbero in radice l’edificazione sia di opere private che di quelle di pubblica utilità. In conseguenza, dato che nel caso la previsione urbanistica precludeva l’iniziativa privata la destinazione urbanistica ad asse viario non avrebbe potuto essere realizzata, infatti, dai privati , ci si sarebbe trovati in presenza di un vincolo di natura espropriativa e non conformativa Il corrispettivo spettante al proprietario per l’ablazione di un suolo avrebbe dovuto tener conto delle potenzialità edificatoria delle aree limitrofe al cui servizio la destinazione pubblicistica era ed è concepita. Il valore nominale dei beni occupati senza titolo avrebbe quindi dovuto essere commisurato con riguardo alle destinazioni urbanistiche dei terreni di proprietà degli appellanti ed alle caratteristiche di particolare prego dell’area, di fatti confinante con una zona industriale e produttiva di notevole valore per la sua nevralgica localizzazione strategica a confine dei comuni di Prato e di Calenzano come chiarito anche dalla perizia dello stesso tecnico dal comune . Pertanto erroneamente il Comune avrebbe considerato il loro valore agricolo in ragione della loro presunta appartenenza ad una zona non edificabile. 1.§ .2. Illegittimamente si sarebbe perciò affermata la spettanza del risarcimento del danno da occupazione legittima con riferimento al valore agricolo medio VAM , ignorando la radicale diversità strutturale e funzionale delle obbligazioni risarcitorie rispetto a quelle indennitarie Cass. civile sezione prima 10 novembre 2007 numero 21143 Corte Costituzionale 21 novembre 1996 numero 369 Corte Europea dei diritti dell’uomo sezione II, 30 ottobre 2003 . Una volta dichiarata l’illegittimità della procedura espropriativa ed accertato il diritto al risarcimento del danno, il valore agricolo medio non poteva in alcun modo essere utilizzato per determinare il risarcimento. Né si poteva fare ricorso all’articolo 16 della legge numero 865/1971, concernente l’indennità di esproprio, che non disciplina il diverso caso del risarcimento del danno da occupazione appropriativa di aree agricole così Consiglio di Stato sezione VI 10 ottobre 2002 numero 5453 . In ogni caso il valore di mercato non avrebbe potuto coincidere con il VAM, ma avrebbe dovuto essere valutato sulla base della potenzialità edificatoria “di fatto” dell’area, a seguito di una doverosa indagine sulla sussistenza della concreta possibilità di destinare le aree a finalità diverse da quelle agricole, per i cosiddetti “usi intermedi”. Si sarebbe dovuto tener conto della possibilità di locazione dei terreni, come gli stessi appellanti avevano fatto, cedendo ad uso piazzale alla società “Interporto della Toscana centrale s.p.a.” alcuni dei terreni residui di loro proprietà confinanti su di un lato con l’asse stradale “Perfetti-Ricasoli” al prezzo tutt’altro che irrisorio di € 22 al metro quadro per anno. 1.§ .3. Illogicamente il Tar avrebbe, da un lato, attribuito una natura conformativo-pubblicistica alle aree e, dall’altro, affermato una loro generalizzata destinazione agricola. Invece, in base al certificato storico urbanistico le aree agricole sarebbero state di ridottissima estensione. Inoltre si sarebbe illegittimamente dato rilievo ad un elemento di fatto quale l’effettiva coltivazione dei terreni nell’epoca antecedente alla loro occupazione. Tale circostanza non avrebbe alcun rilievo ai fini estimativi, perché doveva unicamente utilizzarsi il criterio suppletivo della cosiddetta “edificabilità di fatto”. 1.§ .4. Infine si lamenta l’erroneità della decisione impugnata, che avrebbe confermato l’esattezza della stima effettuata dall’ingegnere nominato dal Comune alla luce dei prezzi emergenti dalle compravendite di terreni analoghi prodotti dalla difesa dall’amministrazione comunale, mentre il tecnico comunale non avrebbe assolutamente acquisito né valutato alcuna compravendita. Tali atti di compravendita sarebbe stati inutilizzabili, perché avrebbero riguardato terreni con destinazione agricola ed inoltre non risulterebbe provata la concreta corrispondenza delle caratteristiche dei diversi terreni. 2.§ . I vari profili vanno complessivamente respinti. In primo luogo coglie nel segno la difesa del Comune quando ricorda che la sentenza numero 396/2010 -- della quale oggi gli appellanti lamentano l’elusione sostanziale -- aveva affermato che, per ciò che attiene “alla quantificazione del danno ”, si sarebbe dovuto “ far riferimento al valore venale del terreno in questione cfr. anche C. Cost. numero 349 del 2007 , alla data del 25 settembre 2003 quando, come già accennato, sono venute meno le legittime ragioni di occupazione , tenuto conto della disciplina urbanistica ‘illo tempore vigente’, in base alla quotazione di mercato dei terreni analoghi, esistenti nelle medesime zone”. E’ dunque evidente che risultano ormai coperti dal giudicato, formatosi sulla prima sentenza numero 396/2010, i due elementi fondamentali ai fini della quantificazione del risarcimento da occupazione illegittima, vale a dire il riferimento all’edificabilità “di diritto” ed alla disciplina urbanistica vigente alla data del 25 settembre 2003. Si deve, perciò, rilevare l’inconferenza, nel caso in esame, sia dei principi, pure astrattamente condivisibili, di cui alla giurisprudenza nazionale e comunitaria in materia di diritto di proprietà, di cui al secondo motivo. sia della sentenza revocatoria della Corte di Appello di Firenze ricordata nella memoria di replica degli appellanti. Ciò posto, ha ragione il TAR quando afferma che doveva comunque ritenersi la natura eminentemente conformativa delle previsioni urbanistiche in essere fin dal 1973 data di approvazione da parte della Regione del PRG adottano nel 1971 , con le quali i terreni in questione erano stati classificati in parte come zona agricola ed in parte come suoli destinati a opere di viabilità, con le relative aree verdi di rispetto stradale, e tranvia. A quest’ultimo riguardo, la giurisprudenza ha correttamente concluso che il vincolo di inedificabilità della fascia di rispetto stradale -- che è una tipica espressione dell’attività pianificatoria della p.a. nei riguardi di una generalità di beni e di soggetti -- non ha natura espropriativa, ma unicamente conformativa, perché ha il solo effetto di imporre alla proprietà l’obbligo di conformarsi alla destinazione impressa al suolo in funzione di salvaguardia della programmazione urbanistica, indipendentemente dall’eventuale instaurazione di procedure espropriative cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 13 marzo 2008, numero 1095 . Nel caso, poi, la natura conformativa delle destinazioni urbanistiche era direttamente confermata dal carattere della prescrizione relativa all’asse viario, che era dichiaratamente “di massima e pertanto non rigidamente vincolante per il tracciato definitivo, il quale sarà stabilito dal P.P. p del progetto dell’opera” così l’articolo 17 delle NTA allegate al PRG del 1985 . E’ dunque evidente che ci si trovava di fronte ad una prescrizione di natura programmatica, che come tale, non avrebbe consentito l’immediata diretta espropriabilità dell’area senza l’interposizione di un provvedimento applicativo e che, come tale, dava luogo ad un vincolo meramente conformativo sulle relative aree. Al riguardo ha ragione il primo Giudice quando ricorda che comunque le eventuali – non meglio specificate dalle parti -- modifiche alle destinazioni di piano operate con il Piano Strutturale, adottato definitivamente dal Comune con delibera numero 122 del 27 settembre 2004, nella specie non rilevavano, in ragione del fatto che si trattava di un atto successivo, approvato quasi un anno dopo la data del 25 settembre 2003 di riferimento per l’indennizzo. In ogni caso, non vi sono quindi dubbi che, ai fini della salvaguardia delle relative prescrizioni di piano, la presenza di vincoli conformativi e di fasce di rispetto viario precludesse in radice l’edificabilità dei suoli in questione. Contrariamente poi a quanto vorrebbero gli appellanti con il primo ed il secondo motivo, agli effetti della determinazione del ristoro dei danni, doveva tenersi esclusivamente conto del criterio della “edificabilità legale”. Anche quando sussistono le infrastrutture urbanistiche, l’edificabilità di un suolo è, infatti, una condizione legale e non una qualità naturale ontologica propria dei terreni. Deve dunque concordarsi con la Cassazione che, in presenza di un vincolo conformativo previsto dalla legge quale è la fascia di rispetto , non sono predicabili riferimenti di effettualità edificatoria “di fatto”, ma, ai fini del ristoro del proprietario inciso, rileva solo la distinzione tra aree edificabili “di diritto” ed aree “ giuridicamente “non edificabili cfr. infra multa Cassazione civile, sez. I, 13 aprile 2006, numero 8707 Cassazione civile, sez. I, 28 ottobre 2005, numero 21092 . In tale scia, per la determinazione nel caso dell'indennità di espropriazione di aree site in fascia di rispetto stradale, era dunque necessario considerare la destinazione urbanistica degli stessi e quindi l’incidenza del vincolo conformativo di inedificabilità, derivante dalla legge e dai relativi provvedimenti di attuazione, e non poteva affatto tenersi conto di altri possibili usi, come, ad esempio, la stessa destinazione di fatto dei suoli a parcheggio autoveicoli peraltro di dubbia legittimità, in quanto, ai sensi della lett. e dell’articolo 3 del D.P.R. 6 giugno 2001 numero 380, implica un’inequivocabile trasformazione del territorio . Nel caso doveva farsi applicazione dell’articolo 40 primo e secondo comma del d.p.r. numero 327 D.P.R. 8 giugno 2001, in base al quale “1. Nel caso di esproprio di un'area non edificabile, l'indennità definitiva è determinata in base al criterio del valore agricolo, tenendo conto delle colture effettivamente praticate sul fondo e del valore dei manufatti edilizi legittimamente realizzati, anche in relazione all'esercizio dell'azienda agricola, senza valutare la possibile o l'effettiva utilizzazione diversa da quella agricola. 2. Se l'area non è effettivamente coltivata, l'indennità è commisurata al valore agricolo medio corrispondente al tipo di coltura prevalente nella zona ed al valore dei manufatti edilizi legittimamente realizzati.”. Per questo, contrariamente a quanto vorrebbero poi i ricorrenti con la seconda e terza rubrica, in considerazione della sussistenza di vincoli e della presenza della coltivazione dei terreni a quella data, legittimamente il Comune ha fatto riferimento al c.d. “valore agricolo medio” VAM ed ha tenuto conto della esistenza di coltivazioni. In base al portato sostanziale del giudicato, del quale i ricorrenti pretendono l’esatta ottemperanza, la valutazione doveva essere quindi effettuata “ in base alla quotazione di mercato dei terreni analoghi, esistenti nelle medesime zone”. In conseguenza è del tutto infondato anche il quarto motivo. Quanto poi al riferimento, da parte del TAR, agli atti di compravendita di terreni analoghi, introdotti dalla difesa del Comune in sede di giudizio di primo grado, tale deduzione non costituisce affatto una sorta di successiva integrazione giudiziale della motivazione, ma si pone, sul piano processuale, come elemento di prova circa la correttezza sostanziale delle valutazioni effettuate dal Comune nella sua offerta di ristoro. In conclusione tutti i motivi di appello sono privi di fondamento giuridico. L’appello deve conseguentemente essere respinto. Le spese, ai sensi dell’articolo 26 del c.p.a., seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta definitivamente pronunciando 1. respinge l'appello, come in epigrafe proposta 2. condanna gli appellanti al pagamento delle spese del presente giudizio, che vengono liquidate in € 3.000,00 tremila/00 in favore del Comune di Campi Bisenzio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.