Al falso lavoratore autonomo, ingiustamente licenziato, spetta il risarcimento del danno in base alle erogazioni fatte “in misura costante”.
Questo è quanto affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza numero 12909 depositata il 24 maggio 2013. Il caso. Un uomo veniva licenziato da una S.r.l. con la quale aveva stipulato un contratto di agenzia avente ad oggetto la promozione di contratti di vendita di prodotti alimentari surgelati e congelati. Il Tribunale di Milano adito sulla questione aveva accertato l’esistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato e l’illegittimità del licenziamento, condannando la società a reintegrarlo nel posto di lavoro e a risarcirgli il danno in misura corrispondente alla retribuzione spettante ai sensi dell’articolo 18, comma 5, in quanto il lavoratore rinunciava alla reintegra. La società proponeva appello avverso tale decisione, contestando la qualificazione del rapporto di lavoro come subordinato e rivendicando la legittimità del licenziamento. La Corte d’Appello, tuttavia, confermava la decisione del primo Giudice, condannando la Società alla corresponsione del TFR come conseguenza naturale della rinuncia alla reintegrazione espressa dal lavoratore. Contro quest’ultima pronuncia la società ricorreva per cassazione. Licenziamento illegittimo via libera la risarcimento. In particolare, la Suprema Corte, nel rigettare il ricorso della società, ha affermato che, una volta accertata l’illegittimità del licenziamento - andava riconosciuto al lavoratore, «il risarcimento del danno in ragione della retribuzione, la cui misura era stata correttamente determinata dal primo Giudice sulla scorta dei calcoli effettuati dal consulente tecnico, in accordo con i consulenti di parte, prescegliendo tra le ipotesi sottopostegli quella che ricomprendeva tra gli emolumenti le erogazioni fatte in misura costante così da farne ritenere il carattere retributivo».
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 26 febbraio - 24 maggio 2013, numero 12909 Presidente Roselli – Relatore Stile Svolgimento del processo Con sentenza non definitiva, depositata in data 15 ottobre 2005, il Tribunale di Milano, dopo avere accertato l'esistenza tra la Eissmann s.r.l. e L D.V. di un rapporto di lavoro subordinato e l'illegittimità del licenziamento di quest'ultimo, assunto dal 1994 con un contratto di agenzia avente per oggetto la promozione di contratti di vendita di prodotti alimentari surgelati e congelati, condannava la società a reintegrarlo nel posto di lavoro e a risarcirgli il danno in misura corrispondente alla retribuzione spettante ai sensi dell'articolo 18, comma 5 SL, avendo il D.V. rinunciato alla reintegrazione. Avverso tale decisione e, successivamente anche avverso quella definitiva del 26 maggio 2006, diretta alla determinazione del quantum, proponeva appello la Eissmann, contestando la qualificazione del rapporto come subordinato anziché come autonomo, in quanto contraria alla volontà espressa dalle parti e alle modalità di esecuzione del rapporto, rivendicando la legittimità del recesso anche se qualificato come disciplinare per giusta causa, criticando la stessa quantificazione della retribuzione fatta dal CTU e adottata nella sentenza definitiva. L'appellato resisteva, proponendo, a sua volta, appello incidentale. Con sentenza del 25 giugno - 16 settembre 2008 la Corte d'appello di Milano condivideva, sulla base del materiale probatorio acquisito, quanto ritenuto dal primo Giudice circa la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato e circa la illegittimità dell'intimato licenziamento, stante la inconsistenza dei fatti addebitati ritardo nel versamento in banca delle somme incassate, omessa riparazione di un cancello elettrico cui era seguito un furto di merci che si trovavano sul camion e calo del fatturato , nell'esecuzione di incombenze e di adempimenti allo stesso D.V. assegnatigli. Pertanto,-aggiungeva la Corte territoriale - tenuto conto dell'illegittimità del licenziamento, al D.V. era stato giustamente riconosciuto dal primo Giudice il risarcimento del danno in ragione della retribuzione, la cui misura era stata determinata sulla scorta dei calcoli effettuati dal consulente tecnico, in accordo con i consulenti di parte. Doveva, poi, essere respinto anche l'appello incidentale del D.V. riguardante il compenso per il patto di non concorrenza, non risultando che l'obbligo fosse stato esteso oltre l'ambito di cui all'articolo 15 del contratto, che ricadeva nella previsione dell'articolo 2105 cc, mentre andavano assorbite le domande oggetto di appello incidentale, condizionato all'accoglimento dell'appello principale, circa la natura di agenzia del rapporto. Doveva, dunque, essere emessa la condanna della società appellante alla corresponsione del tfr che, una volta cessato il rapporto per rinuncia alla reintegrazione,diveniva conseguenza naturale, nella misura non contestata indicata dall'appellante incidentale. Nella conferma delle rimanenti parti era ricompresa oltre alla sentenza non definitiva anche la definitiva. Per la cassazione di tale pronuncia ricorre la Eissmann s.l. con cinque motivi. Resiste L D.V. con controricorso, proponendo ricorso incidentale condizionato. Motivi della decisione Va preliminarmente disposta la riunione del ricorso principale e di quello incidentale, trattandosi di impugnazioni avverso la medesima sentenza articolo 335 c.p.c. . Con i primi due motivi di ricorso principale la Eissmann srl denuncia violazione e falsa applicazione degli articolo 2094, 1742, 1748 cc, nonché omessa e/o insufficiente motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia, ed, ancora violazione e falsa applicazione dell'articolo 2094 cc in relazione alla volontà espressa dalle parti di costituire e mantenere un rapporto di lavoro autonomo, nonché omessa e/o insufficiente motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia. Più in dettaglio, la ricorrente con i suddetti motivi lamenta che il Giudice del gravame abbia omesso di accertare il vincolo etero-direttivo e, contestualmente, abbia ritenuto applicabili alcuni indici sussidiari della subordinazione. Lamenta ancora che detto Giudice non abbia attribuito la dovuta rilevanza alla volontà delle parti di costituire e mantenere in essere in rapporto di lavoro di natura autonoma, omettendo inoltre di considerare una circostanza decisiva al fine di accertare il contenuto di detta volontà ovvero la proposta di trasformazione del rapporto autonomo in rapporto subordinato, come da documento prodotto dallo stesso D.V. . Le censure sono destituite di fondamento, avendo la Corte territoriale adeguatamente illustrato i motivi per cui aderiva alle argomentazioni del Giudice di primo grado, fondate su una complessa istruttoria e sulla consolidata giurisprudenza di legittimità. La Corte d'appello, infatti, ha espresso piena condivisione alle argomentazioni del primo Giudice circa l'esistenza di chiari sintomi di subordinazione, individuati, nell'accurata motivazione, nei seguenti elementi il potere direttivo datoriale tratto tipico della subordinazione , esercitato de die in diem attraverso la ripetuta specificazione della prestazione lavorativa richiesta i frequenti e prolungati controlli cui il D.V. era sottoposto da parte del capo-area l'inserimento del D.V. nell'organico aziendale con mansioni di coordinatore degli altri dipendenti per i quali rappresentava il referente per l'illustrazione dei prodotti, la soluzione dei problemi e le strategie di mercato, oltre che per le ferie e i permessi e persino per la selezione del personale . A ciò era da aggiungersi, quali ulteriori elementi idonei ad escludere il rapporto di agenzia “l’assenza di un organizzazione con proprio rischio , la continuità ed esclusività della prestazione, l'orario di lavoro, ed, infine, la sottomissione del lavoratore al potere disciplinare datoriale, esercitato con il licenziamento per giusta causa. Nella sua indagine, inoltre, la Corte d'Appello non ha mancato di valutare anche la volontà delle parti, desumendo dalle dichiarazioni rese dal Direttore Generale signor P. , in sede di interrogatorio formale, ulteriori elementi a sostegno della natura subordinata del rapporto. Di nessun pregio è inoltre la questione di cui al secondo motivo di impugnazione nella parte in cui il ricorrente censura la decisione della Corte per avere, a suo dire, omesso di considerare una circostanza decisiva al fine di accertare il contenuto della volontà delle parti di costituire e mantenere un rapporto di lavoro di natura autonoma ovvero l'asserito rifiuto da parte del D.V. di trasformare il rapporto da autonomo in subordinato. La questione è da ritenersi inammissibile in questa sede in quanto non risulta sollevata nella fase di gravame. Con il terzo motivo, proposto in via subordinata, la ricorrente denuncia violazione dell'articolo 2119 c.c. nonché omessa e/o insufficiente motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia in relazione al fatti posti alla base del recesso. Il motivo è infondato in quanto gli episodi su cui la società fonda il recesso sono risultati, all'esito dell'istruttoria del Tribunale, taluno non riconducibile al ricorrente e taluno di gravità alquanto limitata , come si legge nella motivazione della sentenza non definitiva. La Corte d'appello ha condiviso i rilievi del primo Giudice circa l'inconsistenza dei fatti addebitati al D.V. ritardo nel versamento in banca delle somme incassate omessa riparazione di un cancello elettrico cui era seguito un furto di merci che si trovavano sul camion il calo del fatturato nell'esecuzione di incombenze e di adempimenti aventi chiara fonte in un normale rapporto di lavoro subordinato. Ha precisato come anche su tale problematica l'istruttoria avesse approfondito alcuni aspetti delle vicende, chiarendo le modalità della riscossione per evitare le rapine, mentre l'obbligo riguardava la custodia degli incassi, non il versamento in banca, che oltretutto sembrava cadesse in prossimità delle ferie natalizie gli autocarri frigoriferi su cui si erano verificati ripetuti furti denunciati dal D.V. , il quale aveva quindi i poteri di rappresentanza della società propri di un quadro erano di norma collocati, in prossimità delle prese di corrente, parte all'interno e parte all'esterno del capannone, mentre non si era chiarito quali fossero i difetti del cancello era invece contestata la circostanza del calo di fatturato, essendovi sul punto documenti contrastanti. Non ravvisandosi in tale argomentazione i denunciati vizi motivazionali e le specificate violazioni di legge, il motivo va disatteso. Va disatteso anche il quarto ed ultimo motivo con cui la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione dell'articolo 2099 c.c. e dell'articolo 18, comma 5, legge 20 maggio 1970 numero 300, lamenta che il Giudice d'appello abbia ritenuto, del tutto erroneamente e immotivatamente, di dover quantificare la retribuzione globale di fatto ai fini della determinazione del risarcimento del danno sulla base della seconda tipologia di calcolo prospettata dalla perizia del CTU. Il motivo non può trovare accoglimento, avendo la Corte territoriale dato conto della sua determinazione, osservando che, stante l'illegittimità del licenziamento, al D.V. andava riconosciuto il risarcimento del danno in ragione della retribuzione, la cui misura era stata correttamente determinata dal primo Giudice sulla scorta dei calcoli effettuati dal consulente tecnico, in accordo con i consulenti di parte, prescegliendo tra le ipotesi sottopostegli quella che ricomprendeva tra gli emolumenti le erogazioni fatte in misura costante così da farne ritenere il carattere retributivo ex plurimis, Cass. 15360/2002 Cass. numero 16638/2003 . Per quanto precede il ricorso principale va rigettato con assorbimento di quello incidentale condizionato. Le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte riunisce i ricorsi rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito l'incidentale. Condanna la ricorrente principale alle spese di questo giudizio, liquidate in Euro 50,00 per esborsi ed in Euro 3.500,00 per compensi professionali oltre accessori di legge.