Assoluzione a sorpresa per il proprietario del locale di un piccolo paese del Sud Italia. La visione del big match come a casa, assieme a pochi amici. Decisiva anche la considerazione sulla mancata applicazione del sovrapprezzo tipico sulle consumazioni legato alla possibilità di seguire un grande evento sportivo.
Dallo stretto salotto di casa all’ampio open space del pub per guardare meglio il big match della ‘Serie A’ italiana di calcio. Tanto entrambi gli spazi sono di proprietà, ci si può portare appresso l’abbonamento alla pay-tv – Mediaset Premium, per la precisione – e il televisore è già lì, bello e pronto Unico problema l’abbonamento è quello domestico, non utilizzabile nei locali pubblici. Ma anche questo ostacolo è sormontabile, perché lo scarso numero di clienti e la mancata ‘promozione’ – secondo la Cassazione, sentenza numero 7051, sezione Terza Penale, depositata oggi – azzerano lo scopo di lucro, e rendono l’attività penalmente non rilevante. Luci a San Siro. Appuntamento d’eccezione per gli amanti del calcio italiano, caratterizzato, peraltro, da una rivalità storica, e sempre più esacerbata in questi ultimi anni Internazionale-Juventus, epoca pre-Calciopoli. L’importantissima partita viene seguita da milioni di telespettatori, tutti disposti a pagare per vedere lo spettacolo, nelle case come nei bar come nei ristoranti. Però, in un piccolo paese del Sud Italia, in un pub, il fischio finale non è quello dell’arbitro la visione della partita viene interrotta bruscamente. Difatti, al proprietario del locale viene contestato l’utilizzo dell’abbonamento domestico a lui intestato, regolare e regolarmente pagato ma non utilizzabile nei locali pubblici. Colpevole forse no. A prender parte alla battaglia giudiziaria, indossando i panni di parte civile, è anche Reti televisive italiane spa! Ma l’esito, almeno in primo grado, è favorevole al proprietario del pub, assolto con ampia formula, perché essendosi limitato «a ricevere il segnale della smart card legittimamente posseduto e a trasmetterlo a mezzo del decoder e del televisore in suo uso», non ha posto in essere «alcuna attività di diffusione, ovvero di ritrasmissione del servizio criptato», e, allo stesso tempo, perché non essendo stato provato un «guadagno economicamente apprezzabile». A ribaltare la pronuncia, però, provvede la Corte d’Appello, che opta per la condanna dell’uomo, ragionando su elementi precisi, ovvero la violazione della norma e la condotta posta in essere, consistita nel «consentire ai clienti di fruire della visione di un programma contrattualmente riservato» all’ambito domestico, e, di conseguenza, la «finalità di lucro». Pub di casa. Questione chiusa? Assolutamente no. Perché il proprietario del pub presenta ricorso per cassazione, contestando, su tutto, l’accertamento, in secondo grado, della «finalità di lucro», ossia l’obiettivo di vedere accresciuto il numero dei clienti e, di conseguenza, anche le consumazioni. Su quest’ultimo punto, la giurisprudenza è netta, ricordano i giudici di piazza Cavour, ma la vicenda in esame presenta aspetti ulteriori. Più precisamente, viene affermato che «non vi è trasmissione delle immagini televisive nella mera condotta di chi associa a sé stesso altre persone nella fruizione dello spettacolo televisivo». Ancora più legata alla situazione specifica, poi, è la considerazione che la diffusione nel pub di un evento sportivo «non risultava essere funzionale a far confluire nel locale un maggior numero di persone». Ciò perché «non era stata pubblicizzata» la visione della partita i clienti presenti nel pub erano «pochissimi» «nessun sovrapprezzo era stato richiesto» per l’evento calcistico. Di conseguenza, secondo i giudici della Cassazione, è assente il «fine di lucro», e cade la «rilevanza penale della condotta» legittima, quindi, l’assoluzione definitiva dell’uomo.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 2 dicembre 2011 – 23 febbraio 2012, numero 7051 Presidente Petti– Relatore Amoroso Svolgimento del processo I. Con sentenza in data 5 giugno 2007. il giudice monocratico presso il Tribunale di Lecce - sezione di Gallipoli mandava assolto con ampia formula, perché il fatto non sussiste. D.A. D., gestore del pub “Pura Vida”, corrente in Sannicola, alla via , rinviato a giudizio per rispondere del delitto p. e p. dall'articolo 171 ter, lett. e , L. 633/41 “per avere, in assenza di accordo con il legittimo distributore, ritrasmesso al pubblico un servizio criptato incontro di calcio Inter - Juventus ricevuto per mezzo di apparati atti alla decodificazione di trasmissioni ad accesso condizionalo acc. in Sannicola, il 2 febbraio 2006 . In concreto, era accaduto che nel locale del Dell'Anna venisse trasmessa l'anzidetta partita del campionato di calcio di serie A, visibile attraverso la piattaforma a pagamento per la televisione digitale terreste Mediaset Premium, ancorché l'imputato fosse titolare di un contratto con la menzionata emittente di tipo domestico. Anziché del tipo denominato Mediaset Premium Club. che consente appunto la visione dei programmi trasmessi dall'emittente medesima nei locali pubblici, circoli ed associazioni. Sennonché, secondo l'impostazione accolta dal giudice di primo grado, essendosi il Dell'Anna “limitato a ricevere il segnale della smart card legittimamente posseduta e a trasmetterlo a mezzo del decidere del televisore in suo uso”, egli, cosi facendo. non avrebbe posto in essere “alcuna attività di diffusione ovvero di ritrasmissione del servizio criptato” - tali essendo le sole condotte sanzionate dalla norma incriminatrice, da intendersi secondo l'accezione strettamente tecnica propria dei termini impiegati dal legislatore bensì “una mera ricezione/trasmissione dello stesso, non penalmente rilevante benché non consentita dal contratto di distribuzione”. Inoltre nella fattispecie doveva reputarsi insussistente anche l'elemento soggettivo. richiesto dalla contestata norma incriminatrice nelle forme del dolo specifico, quale finalità di lucro perseguita dal soggetto agente con il suo comportamento, 'non essendosi in alcun modo provato quale guadagno economicamente apprezzabile il D.A. abbia tratto o inteso trarre con la sua condotta”. 2. Avverso detta statuizione interponevano impugnazione tanto il P.G. in sede. quanto il patrono della costituita pane civile. R.T.I. Reti Televisive Italiane s.p.a., quest'ultima ai soli effetti civili. Con sentenza del 6 ottobre 2010 la corte d'appello di Lecce riformava la sentenza di primo grado e dichiarava D.A. D. colpevole del reato a scrittoglli e lo condannava. previo riconoscimento delle attenuanti generiche, alla pena di mesi quattro di reclusione ed euro 1.800.000 di multa, oltre alle pene accessorie di cui all'articolo 171 ter co. 4 L. 633/41 computate nel minimo quelle temporanee e con pubblicazione della sentenza. per estratto e per una sola volta. sul quotidiano “La Repubblica” e sul periodico “Sorrisi e Canzoni T.V.” lo condannava altresì al pagamento delle spese processuali del doppio grado di giudizio, verso l'Erario e verso la costituita parte civile. Dichiarava le pene inflitte sospese alle condizioni di legge e concedeva all'imputato il beneficio ulteriore della non menzione. Osservava la Corte territoriale che l'articolo 171 ter, lett. e . L. numero 63.311941 sanziona la condottta di chi, in assenza di accordo con illegittimo distributore, ritrasmette o diffonde con qualsiasi mezzo un servizio criptato ricevuto per mezzo di apparati o parti di apparati atti alla decodificazione di trasmissioni ad accesso condizionato. Per ciò che concerne l'elemento materiale, la corte considerava che la condotta posta in essere dall'imputato si era concretizzata nel consentire agli utenti dell'esercizio dallo stesso gestito di fruire della visione di un programma contrattualmente riservato alla utenza domestica. Quanto all'elemento soggettivo, osservava la corte che era sufficiente che il soggetto agente si fosse determinato a porre in essere la materialità della condotta incriminata per finalità di lucro, indipendentemente dalla sua effettiva realizzazione. In conclusione, la corte territoriale ha ritenuto la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della contestata fattispecie di cui all'articolo 171 ter, comma 1, lett. e , L. 633/41. 3. Avverso questa pronuncia l’imputato propone ricorso per cassazione con due motivi. La società reti televisive italiane S.p.A. ha depositato memoria. Motivi della decisione 1. Con il ricorso, articolato in due motivi, il ricorrente deduce in particolare la violazione di legge censurando la sentenza impugnata quanto alla ritenuta sussistenza dell'elemento soggettivo del reato. Erroneamente la sentenza della corte d'appello ha ritenuto che il fine di lucro consistesse nel fatto che la trasmissione della partita nel locale dell'imputato fosse funzionale a far confluire nel locale un maggior numero di persone, attratte dalla possibilità di seguire gratuitamente l'evento sportivo in questione, o comunque a farvi trattenere per un tempo più lungo quelle presenti, al fine di incrementare le vendite delle varie consumazioni servite nel locale. 2. Il ricorso è fondato. L'articolo 171-ter legge 22 aprile 1941, numero 633 così come sostituito dalla L. 18 agosto 2000, numero 648, sanziona come fatto penalmente rilevante la condotta di chi, per uso non personale e a fini di lucro, in assenza di accordo con il legittimo distributore, ritrasmette o diffonde con qualsiasi mezzo un servizio criptato ricevuto per mezzo di apparati o parti di apparati atti alla decodificazione di trasmissioni ad accesso condizionato. È vero che - come questa Corte ha, anche di recente, affermato - il reato di cui all'articolo 171 ter. comma 1, lett. e , legge numero 633/1941, integrato dalla condotta di chi, utilizzando una “smart card”, legittimamente detenuta in base al contratto ed idonea a consentire la ricezione di programmi televisivi a pagamento per uso esclusivamente privato, diffonda in pubblico i programmi stessi in assenza di accordo con il distributore cfr. Cass., sez. III, 24 novembre 2010 – 28 dicembre 2010, numero 45567 . E parimenti è corretta l'affermazione della corte d'appello che ha qualificato come “diffusione” la condotta di consentire indebitamente, perché non autorizzato sul piano contrattuale, ad un numero indeterminato di soggetti all'interno di un esercizio pubblico la fruizione di uno spettacolo televisivo protetto dal diritto d'autore. La nozione di diffusione infatti, che è più ampia di quella di ritrasmissione prevista dalla disposizione citata come condotta tipica del reato, implica, come condizione sufficiente, la partecipazione ad altri, in numero indeterminato, di trasmissioni ad accesso condizionato. Invece non vi è “trasmissione” delle immagini televisive nella mera condotta di chi associa a se stesso altre persone nella fruizione dello spettacolo televisivo, a prescindere dalla liceità o meno di ciò sul piano contrattuale e quindi civilistico ciò che si critica di norma quando manca il fine di lucro. Nella specie la diffusione in un pub di un evento sportivo trasmesso dalla rete televisiva con accesso condizionato non risultava essere funzionale a far confluire nel locale un maggior numero di persone attratte dalla possibilità di seguire l'evento sportivo gratuitamente. Ciò perché - come risulta dalla sentenza impugnata - non era stata pubblicizzatala diffusione nel pub dell’evento calcistico al momento dell'accertamento della condotta contestata all'imputato erano presenti nel pub pochissimi avventori a questi ultimi nessun sovrapprezzo era stato richiesto in ragione della possibilità di seguire l'evento calcistico trasmesso dall'emittente televisiva. In sostanza nessun elemento emergeva in ordine al fine di lucro la cui mancanza escludeva la rilevanza penale della condotta. 3. Pertanto il ricorso va accolto con conseguente annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato. Per Questi Motivi La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato.