di Attilio Ievolella
di Attilio IevolellaL'immagine della scopa di saggina richiama alla mente l'idea della pulizia, dell'immondizia da rimuovere. E se ad essere spazzata è la bandiera italiana, allora il reato di vilipendio è consequenziale, noblesse oblige.E nulla cambia se a proporre questa immagine sia un esponente politico il caso Bossi docet e se questa immagine sia stata diffusa attraverso manifesti elettorali. Che, non a caso, debbono anche essere sequestrati.Bandiera come immondizia Tutto nasce dalla richiesta di indipendenza della comunità di lingua tedesca della provincia autonoma di Bolzano. Come certificato anche dai manifesti fatti pubblicare da una esponente politica del movimento Süd-Tiroler Freiheit in italiano Libertà Sud-Tirolese , il Sud Tirolo può fare a meno dell'Italia . E per rendere più esplicito il concetto, ecco l'immagine della scopa che spazza via la bandiera italiana, lasciando spazio a quella sudtirolese.Sullo slogan nulla da eccepire - si è sentito di peggio, in Italia -, sul simbolismo utilizzato, beh, è tutto un altro discorso. Non a caso, è stato prima disposto il sequestro dei manifesti, e poi il Tribunale di Bolzano ha confermato il provvedimento, respingendo il ricorso dell'imputata e spiegando che era stato contestato, a ragione, il reato di vilipendio alla bandiera italiana, così come sancito dall'articolo 292 c.p ..ma è il ricorso a essere spazzato via. La questione è arrivata, però, fino a Roma. I difensori della donna, difatti, hanno presentato ricorso in Cassazione, deducendo violazione di legge perché il fatto contestato non era riconducibile alla figura del reato di vilipendio alla bandiera. Quest'ultima affermazione era stata accompagnata dal richiamo alla legge 85 del 2006, che ha aggiornato l'articolo 292 c.p. secondo i difensori non era più punibile l'offesa recata ai colori dello Stato ove non riportati su bandiere ufficiali o emblemi .Secondo i giudici della Suprema Corte la tesi difensiva non regge. Per questi ultimi sussiste il reato di vilipendio alla bandiera, rappresentata, sui manifesti, come qualcosa da eliminare, come sporcizia e sudiciume . Anche perché, alla luce degli aggiornamenti di legge, continua ad essere tutelata la bandiera italiana, intesa come emblema dello Stato essendo stato eliminato ogni riferimento ai colori nazionali, come poteva ritenersi prima della riforma del 2006 . E sui manifesti sequestrati, viene ribadito, la bandiera è rappresentata ad evidente fine di dileggio e con chiaro intento denigratorio .Peraltro, dall'esame degli atti emerge che quella riprodotta sul manifesto elettorale oggetto di sequestro è la bandiera italiana, rappresentata nel suo tradizionale drappeggio tricolore, esattamente come descritto dall'articolo 13 della Costituzione . Nulla quaestio, quindi, sul reato di vilipendio alla bandiera. Ricorso respinto con condanna al pagamento delle spese processuali.La bandiera non si tocca. Chiusa la questione giudiziaria, resta in piedi l'attività del Süd-Tiroler Freiheit. Il movimento creato dall'imputata, con tanto di sito web in lingua tedesca, difatti, continua a chiedere l'indipendenza del Sud Tirolo dall'Italia. Questo l'obiettivo centrale dell'azione politica. Che però dovrà trovare altre strade, magari più sobrie, per la campagna elettorale. Perché, come hanno ribadito i giudici di piazza Cavour, la bandiera non si tocca.
Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 4 maggio - 13 giugno 2011, numero 23690Presidente Bardovagni - Relatore CapozziRitenuto in fattoCon ordinanza del 28 ottobre 2010, il Tribunale di Bolzano ha respinto la richiesta di riesame, proposta da K. E. avverso il provvedimento del G.I.P. in sede del 13 ottobre 2010, con il quale era stato disposto il sequestro preventivo di manifesti recanti la dicitura il sud Tirolo può fare a meno dell'Italia e raffiguranti una scopa di saggina, che spazzava via la bandiera italiana per far posto a quella tirolese.Il Tribunale ha ritenuto la sussistenza dei presupposti di legge per far luogo al sequestro impugnato, avendo rilevato che alla ricorrente era stato contestato il reato di vilipendio alla bandiera italiana, di cui all'articolo 292 c.p., atteso che la bandiera nazionale, quale univoco emblema dello Stato italiano, era stata raffigurata come spazzata via, alla stregua di sporcizia.Avverso detto provvedimento del Tribunale di Bolzano K. E. ha proposto ricorso per cassazione ex articolo 325 c.p.p. per il tramite dei suoi difensori, che hanno dedotto violazione di legge in quanto il fatto contestato non era riconducibile alla figura di reato prevista dall'articolo 292 c.p.Tale ultimo articolo, modificato con legge numero 85 del 2006, aveva ristretto l'area di punibilità del reato in questione in quanto non era più punibile l'offesa recata ai colori dello Stato ove non riportati su bandiere ufficiali o emblemi ed invero la norma incriminatrice, a seguito della modifica legislativa anzidetta, prevedeva che, agli effetti della legge penale, per bandiera nazionale era da intendere la bandiera nazionale e ogni altra bandiera portante i colori nazionali, mancando pertanto qualsiasi riferimento ad ogni altra cosa riportante i colori nazionali.Nel caso in esame il tricolore era stato raffigurato su di un manifesto elettorale e dunque su cosa diversa da una bandiera pertanto il fatto contestato non aveva alcuna valenza penale, ai sensi della norma incriminatrice anzidetta.Considerato in dirittoIl ricorso proposto da K. E. è infondato.Premesso che, ai sensi dell'articolo 325 c.p.p., il ricorso per cassazione, avverso i provvedimenti adottati dal Tribunale del riesame in materia di sequestro preventivo e limitato alla violazione di legge, ritiene il Collegio che il provvedimento impugnato sia condivisibile, per avere esso ritenuto sussistere, a carico della K., il reato di cui all'articolo 292 c.p., consistente nell'avere vilipeso la bandiera italiana, siccome raffigurata su di un manifesto come spazzata via da una scopa di saggina, rappresentandola pertanto come qualcosa da eliminare, siccome sporcizia e sudiciume.E' noto che l'articolo 292 c.p. e stato modificato dall'articolo 5 della legge 24 febbraio 2006 numero 85, il quale, oltre a diversamente modulare le sanzioni in precedenza previste per il delitto in esame, ha abrogato il precedente terzo comma dell'articolo in esame, il quale espressamente disponeva che le disposizioni dell'articolo si applicavano anche a chi vilipendeva i colori nazionali raffigurati su cosa diversa da una bandiera.Si osserva tuttavia che, pur nella sua attuale formulazione, l'articolo 292 c.p. continua ad avere ad oggetto la tutela della bandiera italiana, intesa come emblema dello Stato e, affinché detto reato possa ritenersi sussistente, è necessario che la condotta qualificabile come vilipendio si concretizzi in un atto di denigrazione di una bandiera nazionale, essendo stato eliminato ogni riferimento ai colori nazionali, come poteva ritenersi prima della riforma legislativa del 2006, il vilipendio della bandiera nazionale si ha quando sia stata proprio quest'ultima ad essere stata oggetto di manifestazione di disprezzo.Nella specie in esame non può revocarsi in dubbio la sussistenza, a carico della K. del reato di cui all'articolo 292 c.p., atteso che, dall'esame degli atti, emerge che, nel manifesto elettorale sottoposto a sequestro, è raffigurata una vera e propria bandiera italiana, rappresentata ad evidente fine di dileggio e con chiaro intento denigratorio, siccome portata via da una scopa, per far posto a quella tirolese, raffigurata come la bandiera pulita, che segue al sudiciume ramazzato dalla scopa.Si osserva invero che quella riprodotta sul manifesto elettorale oggetto di sequestro e la bandiera italiana, rappresentata nel suo tradizionale drappeggio tricolore, esattamente come descritto dall'articolo 13 della costituzione, si che è da ritenere che sia stata proprio essa ad essere stata oggetto di vilipendio, con conseguente configurabilità del delitto contestato alla ricorrente.Il ricorso proposto da K. E. va pertanto respinto, con sua condanna al pagamento delle spese processuali.P.Q.M.Sciogliendo la riserva espressa il 15/04/2011 ai sensi dell'articolo 615 c.p.p., rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.