Il lodo può essere impugnato per incompetenza degli arbitri, anche da chi non ha partecipato al giudizio arbitrale

L’eccezione di incompetenza dell’arbitro di cui all’art 817, comma 2, c.p.c., al di là dell’ipotesi di nullità della clausola compromissoria per vizio suo proprio e genetico, relativo ad una ipotesi di controversia non arbitrabile, è da considerarsi quale eccezione di rito in senso stretto e come tale incontra il limite temporale indicato dall’articolo 817, comma 3, c.p.c., solo per la parte che ha partecipato al relativo giudizio arbitrale, e non per quella parte che, rimasta assente, in sede di impugnazione del lodo, contesti in radice che la lite sia devolvibile agli arbitri.

Con la sentenza numero 5824 del 28.2.2019, la terza sezione civile della Corte di Cassazione è intervenuta in tema di arbitrato rituale, facendo luce sulla natura dell’eccezione di incompetenza degli arbitri e sulle preclusioni dettate dall’articolo 817 c.p.c., commi 2 e 3. Fatto. La questione in fatto nasce nell’anno 2004, quando viene sottoscritto in Ronchi di Massa un contratto di locazione di ramo d’azienda, avente ad oggetto un bar-ristorante, ove, all’articolo 18, le parti inseriscono una clausola compromissoria con la quale devolvono ogni controversia nascente dal rapporto di locazione ad un arbitro unico. A distanza di quattro anni, alla presenza dei rispettivi legali, gli stessi contraenti rinunciano alla suddetta clausola, pattuendo di devolvere ogni possibile controversia inerente all’interpretazione, applicazione ed esecuzione del contratto alla competenza del Tribunale di Massa. Il 2.3.2010, la conduttrice cita in giudizio la locatrice, innanzi al suddetto Tribunale di Massa, per chiedere la risoluzione del rapporto ex articolo 1453 c.c., assumendo la non fruibilità del bene, a causa di un grave dissesto dell’immobile, che aveva già comportato la sospensione dei pagamenti del canone. Successivamente, in data 21.9.2010, alla ricorrente viene notificato il lodo arbitrale del 12.4.2010, emesso a seguito di un procedimento arbitrale promosso dalla locatrice e nel quale essa conduttrice era rimaste assente. Il lodo è stato impugnato dalla conduttrice innanzi alla Corte di merito di Genova, per inesistenza o nullità, ex articolo 829, comma 1, c.p.c., per incompetenza degli arbitri, in forza della modifica contrattuale intervenuta nel 2008. La decisione di merito. Con sentenza numero 1125/2016, la Corte di appello ha respinto il gravame, ritenendo che la parte avrebbe dovuto eccepire nell’ambito del procedimento arbitrale, come prima eccezione, l’incompetenza dell’arbitro nominato. Avverso tale pronuncia è stato interposto ricorso in cassazione affidato a due motivi di diritto 1. La violazione degli articolo 817, comma 3, e 829, numero 1, c.p.c., ai sensi dell’articolo 360, comma 1, numero 3, c.p.c. 2. La violazione dell’articolo 360 numero 3 in relazione all’articolo 817, comma 3, e all’articolo 829, numero 1, c.p.c Il giudizio di legittimità. La Suprema Corte ha trattato i motivi congiuntamente e li ha ritenuti meritevoli di accoglimento. Ciò perché giurisprudenza e dottrina concordano nella visione “paragiurisdizionale” del procedimento per arbitrato rituale, tale da ritenere che, nel giudizio ordinario, l’eccezione di compromesso deve ricomprendersi, a pieno titolo, nel novero di quelle di rito. Sicché, mentre la questione di invalidità, come di inesistenza, della clausola compromissoria per arbitrato rituale è un’eccezione processuale rilevabile anche d’ufficio, funzionale all’accertamento di un error in procedendo, ove il vizio denunciato non investa la validità della clausola arbitrale o, comunque, la devolvibilità della controversia ad arbitri, la fattispecie è da ricondurre alla previsione dell’art 829, comma 1, numero 4, c.p.c., ovverosia, al superamento, da parte degli arbitri, dei limiti loro imposti dal compromesso – come nel caso di specie -. Tale ultima ipotesi non è, pertanto, rilevabile d’ufficio ma deve essere proposta nei limiti dettati dall’articolo 817, comma 3, c.p.c., ovvero, come prima difesa, nel medesimo giudizio arbitrale. Tuttavia, tale preclusione non opera per la parte che non ha partecipato all’arbitrato, posto che non vi è nessuna norma che equipara il giudizio arbitrale a quello giurisdizionale in contumacia pertanto, qualora una delle parti contesti in radice che la lite sia arbitrabile e, quindi, rifiuti di partecipare al procedimento di arbitrato, non opera l’articolo 817, comma 3, c.p.c. e può adire il giudice ordinario perché accerti che il lodo è inefficace o inesistente nei suoi confronti. Ciò premesso, la Suprema Corte ha accolto il ricorso e rimesso gli atti alla Corte di appello di Genova, in diversa composizione, anche per le spese.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 11 dicembre 2018 – 28 febbraio 2019, numero 5824 Presidente Amendola – Relatore Fiecconi Rilevato Che 1. Con ricorso regolarmente notificato a mezzo PEC il 13/2/2017 R.L. ricorre per cassazione avverso la sentenza numero 1125-2016 della Corte d’appello di Genova con la quale è stata rigettata l’impugnazione del lodo arbitrale pronunciato tra D.M. S.a.S. di A.R. e C. snc D. e la medesima, rimasta contumace nel procedimento arbitrale. La parte intimata non ha resistito nel presente giudizio. 2. La ricorrente assume che nel contratto di locazione di ramo d’azienda - avente ad oggetto un’azienda di ristorazione e bar, denominato Ristorante il D. , sito in omissis -, concluso con la società D. il 16.12.2004 veniva inserita, all’articolo 18, una clausola compromissoria con la quale le parti devolvevano ogni controversia nascente dal rapporto di locazione a un arbitro unico, nominato di comune accordo tra le parti o, in difetto, dal Presidente del tribunale di Massa. In data 16/5/2008 le parti, alla presenza dei rispettivi legali, avevano consensualmente rinunciato alla clausola compromissoria di cui all’articolo 18 con una clausola che devolveva in via esclusiva alla competenza del Tribunale di Massa ogni controversia in relazione all’interpretazione, applicazione ed esecuzione del contratto. In data 2/3/2010 la ricorrente conduttrice citava la locatrice innanzi al Tribunale di Massa per una grave inadempienza determinatasi in ragione del dissesto in cui si trovava l’immobile, chiedendo la risoluzione del contratto ex articolo 1453 c.c Tale azione faceva seguito alla sospensione del pagamento del canone di locazione, visto il sopraggiungere di eventi che rendevano difficoltoso il godimento del bene. Successivamente, in data 21/9/2010 veniva notificato alla ricorrente il lodo arbitrale emesso in data 9 agosto 2010 a seguito di un procedimento arbitrale instaurato il 12/4/2010 dalla locatrice, in cui la conduttrice era rimasta assente. Il lodo veniva impugnato dalla ricorrentecon atto di citazione del 27/9/2010 con cui deduceva l’inesistenza o la nullità del lodo impugnato, ex articolo 829 c.p.c., comma 1, numero 1, per carenza di competenza in capo all’arbitra unico ex articolo 819 ter c.p.c. comma 1, in forza della modifica contrattuale intervenuta. 3. La Corte d’appello respingeva entrambi i motivi d’impjgnazione del lodo sull’assunto che, in base all’articolo 817 c.p.c., comma 3, la parte avrebbe dovuto eccepire nel giudizio arbitrale, come prima difesa, la carenza di competenza dell’arbitro nominato per quanto riguarda il secondo motivo, attinente alla incompetenza arbitrale in ragione della pendenza di un medesimo procedimento tra le medesime parti, la Corte d’appello, a norma dell’articolo 819 ter c.p.c., comma 1, riteneva che la causa instaurata nell’ambito del giudizio arbitrale, attinente alla risoluzione del contratto di affitto ai sensi dell’articolo 1456 c.c. avesse oggetto diverso rispetto a quella pendente innanzi al tribunale di Massa, ove era chiesta la risoluzione del contratto ai sensi dell’articolo 453 c.c. per grave inadempimento della convenuta rispetto ad alcune obbligazioni nascenti dal contratto. La Corte d’appello assumeva quindi che la proposizione della domanda di risoluzione ex articolo 1453 c.c. impedisse l’ingresso nel giudizio della domanda proposta ai sensi dell’articolo 1456 c.p.c., se su di essa non vi era stata accettazione del contraddittorio, richiamando giurisprudenza della Corte di cassazione in proposito. Considerato Che 1. Con il primo motivo ex articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 2 la ricorrente denuncia ex articolo 360 c.p.c., numero 3 violazione degli articolo 817 c.p.c., comma 3, e articolo 829 c.p.c., numero 1 con il secondo motivo sostiene la violazione dell’articolo 360 c.p.c., numero 3 in relazione all’articolo 817 c.p.c., comma 3, e articolo 829 c.p.c., numero 1. 1.1. I motivi vanno trattati congiuntamente inerendo alla medesima questione in punto di violazione di norme processuali. Sostiene la ricorrente che il giudice di merito abbia erroneamente individuato la norma processuale da applicare nell’articolo 817 c.p.c., comma 3, e che tale errore si riverbera in negative sull’applicabilità dell’articolo 829 c.p.c., comma 1, numero 1, e dunque sull’ammissibilità dell’impugnazione del lodo per invalidità della clausola arbitrale. In particolare la sentenza sarebbe errata nel punto in cui afferma l’inammissibilità dell’impugnazione del lodo nell’ipotesi in cui la parte sia stata regolarmente convenuta nel giudizio arbitrale, ma abbia volontariamente scelto di non parteciparvi e di non proporre quindi le eccezioni previste a pena di inammissibilità del giudizio . 1.2. Il motivo è fondato. 1.3. L’articolo 829 c.p.c., comma 1, numero 1, ammette l’impugnazione per nullità del lodo emesso con arbitrato rituale, nonostante qualunque preventiva rinuncia, solo ove il lodo risulti invalido tale disposizione fa salvo lo sbarramento processuale di cui all’articolo 817 c.p.c., comma 3, per ogni altra eccezione diversa da quella inerente alla inesistenza o invalidità della clausola compromissoria. Più precisamente, la norma di cui all’articolo 817 c.p.c., comma 2, stabilisce che la parte che non eccepisce nella prima difesa successiva all’accettazione degli arbitri l’incompetenza di questi per inesistenza, invalidità e inefficacia della convenzione d’arbitrato non può per questo motivo impugnare il lode, salvo il caso di controversia non arbitrabile, in ciò raccordandosi al disposto di cui all’articolo 829 c.p.c., comma 1, numero 1. 1.4. In merito agli effetti del mancato rilievo della incompetenza dell’arbitro sancito dall’articolo 817 c.pc., comma 2, questa Corte, già nel vigore delle vecchie norme che regolavano il giudizio arbitrale, ha sancito che la mancata proposizione, nel corso del procedimento arbitrale, dell’ eccezione di incompetenza degli arbitri sull’assunto che le conclusioni della controparte esorbitino dai limiti del compromesso , determina un semplice effetto preclusivo della relativa azione per nullità e non importa, invece, che tra le parti si debba ritenere concluso un nuovo compromesso per allargare la materia del decidere, perché in tale ipotesi l’articolo 817 c.p.c. non avrebbe un suo fondamento nell’operato processuale delle parti, ma nella loro volontà contrattuale, che non viene invece in considerazione nella specie, in cui si è solo di fronte alla inattività di una delle parti che, in tal modo, preclude a se stessa la possibilità di impugnare la sentenza arbitrale per un motivo che essa medesima ritiene irrilevante durante procedimento dinanzi agli arbitri v. Cass. numero 600-1962 . 1.5. L’interpretazione data dalla giurisprudenza si dimostra coerente con l’orientamento dottrinale che tende ad accogliere una visione para-giurisdizionale del procedimento che si instaura per mezzo della clausola compromissoria per arbitrato rituale in deroga alla giurisdizione del giudice ordinario. Recependo tale orientamento, in tema di clausola compromissoria, la giurisprudenza ha da ultimo riconosciuto che, nel giudizio ordinario, l’eccezione di compromesso, attesa la natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario da attribuirsi all’arbitrato rituale in conseguenza delle disciplina complessivamente ricavabile dalla L. 5 gennaio 1994, numero 5 e dal D.Lgs. numero 2 febbraio 2006, numero 40, deve ricomprendersi, a pieno titolo, nel novero di quelle di rito . Cass., sez. Unumero , 25 ottobre 2013, numero 24153, m. 627787, Cass., sez. Unumero , 20 gennaio 2014, numero 1005, m. 628870, Cass., sez. 6, 6 novembre 2015, numero 22748, m. 637741 Sez. U., Sentenza numero 23463 del 18/11/2016 . Tuttavia, la giurisprudenza non ha ritenuto di doversi spingere fino al punto da ritenere che la statuizione di un collegio arbitrale, che pronunci sulla propria competenza a decidere la controversia sottopostagli, sia impugnabile con il regolamento di competenza, atteso che, anche alla stregua della novella introdotta dal D.Lgs. numero 40 del 2006, emerge chiaramente dal tenore letterale dell’articolo 819 ter c.p.c. che il legislatore ne ha consentito l’utilizzo esclusivamente avverso la pronuncia del medesimo tenore resa da un giudice ordinario Sez. 6 - 1, Ordinanza numero 23473 del 06/10/2017 . 1.6. Sicché nell’attuale giudizio arbitrale para-giurisdizionale - nell’accezione anzidetta - la questione dell’invalidità, come dell’inesistenza Cass., sez. 1, 8 ottobre 2014, numero 21215 , della clausola compromissoria per arbitrato rituale è da intendersi un’eccezione processuale, rilevabile anche d’ufficio, funzionale all’accertamento di un error in procedendo, come tale in grado di viziare una decisione avente valore potenzialmente giurisdizionale, qual è il lodo, mentre nelle altre ipotesi ove il vizio dedotto non investa la validità della clausola o la possibilità giuridica di devoluzione della controversia ad arbitri la questione processuale si riferisce alla fattispecie prevista dall’articolo 829 c.p.c., comma 1, numero 4 ovverosia al superamento, da parte degli arbitri, dei limiti loro imposti dal compromesso. Quest’ultima ipotesi - concernente il caso de quo non è pertanto analoga alla diversa ipotesi di originaria e totale carenza di potere, rilevabile d’ufficio, e rimane preclusa dal mancato rilievo della relativa eccezione processuale relativa alla sopravvenuta incompetenza dell’arbitro. Cass. 10132/2006 Sez. 1, Sentenza numero 21215 del 08/10/2014 Sez. U., Sentenza numero 23463 del 18/11/2016 Sez. 6 - 1, Ordinanza numero 23473 del 06/10/2017 . 1.7. L’effetto preclusivo regolato dalla norma in questione, tuttavia, vale solo con riferimento alla parte che ha partecipato al giudizio arbitrale, ma non per la parte che è rimasta in ipotesi assente dal giudizio arbitrale, in attesa di vederne l’esito. 1.8. L’articolo 817 c.p.c., comma 3, difatti, trova fondamento nell’operato processuale delle parti che, tramite il loro comportamento di sostanziale acquiescenza, determinano il radicamento della competenza degli arbitri che, in tale modo, non può più essere messa in discussione dalle parti in sede di impugnazione del lodo. Pertanto, al di fuori dell’ambito di illiceità o nullità della clausola compromissoria, rilevabile d’ufficio dal Giudice, l’effetto preclusivo della mancata eccezione di cui all’articolo 817 c.p.c., comma 3, di natura processuale, non può desumersi dalla contumacia della parte nel giudizio arbitrale, i cui effetti non sono regolati in materia di arbitrato. 1.9. Conseguentemente, in subiecta materia, la questione inerente alla sopravvenuta inefficacia della convenzione d’arbitrato per effetto di una diversa e contraria volontà delle parti, non può ritenersi un tema di eccezione implicitamente rinunciato dalla parte che, pur regolarmente chiamata a partecipare al giudizio arbitrale, è rimasta assente dal giudizio, posto che non vi è nessuna norma che equipara il giudizio arbitrale a quello giurisdizionale in contumacia. Pertanto, anche dopo la novella del 2006 introdotta dal D.Lgs. numero 40 del 2006, appare ancora attuale l’orientamento secondo cui qualora una delle parti contesti in radice che la lite sia devoluta ad arbitri e, quindi, rifiuti di parteciparvi, non opera l’articolo 817 c.p.c., comma 3 e, perciò, non subisce la preclusione posta da tale disposizione, con la conseguenza che può adire il giudice ordinario perché accerti che il lodo, comunque emesso pur in mancanza di clausola compromissoria, sia inefficace o inesistente nei suoi confronti. Nella specie, la S.C., enunciando tale principio, ha rigettato il ricorso e confermato l’impugnata sentenza con la quale era stata ritenuta - al fine dell’esclusione dell’applicabilità dell’articolo 817 c.p.c. - la sussistenza di entrambe le condizioni autonomamente sufficienti e risolutive riconducibili alla deduzione della parte ricorrente riguardante la radicale negazione della clausola compromissoria e il carattere comunque irrituale della procedura arbitrale instaurabile a seguito della contestata clausola compromissoria Sez. L, Sentenza numero 4156 del 24/02/2006 . 1.10. In sintesi, è del tutto coerente con la nuova accezione paragiurisdizionale dell’arbitrato rituale il principio in base al quale l’eccezione d’incompetenza dell’arbitro di cui all’articolo 817 c.p.c., comma 2, al di là dell’ipotesi di nullità della clausola compromissoria per vizio suo proprio e genetico relativo a un’ipotesi di controversia non arbitrabile, è da considerarsi quale eccezione di rito in senso stretto, e come tale incontra il limite temporale indicato dall’articolo 817 c.p.c., comma 3, solo per la parte che ha partecipato al relativo giudizio arbitrale, e non per quella parte che, rimasta assente, in sede di impugnazione del lodo contesti in radice che la lite sia devolvibile agli arbitri . 2. Conclusivamente, la Corte accoglie il ricorso, cassa in relazione ai due motivi, rinviando il procedimento alla Corte d’appello di Genova, in diversa composizione, anche per le spese. P.Q.M. In accoglimento del ricorso, cassa la sentenza e rinvia alla Corte d’appello di Genova, in diversa composizione, anche per le spese.