L’accertamento della qualità di amministratore di fatto va desunta da elementi sintomatici di gestione o cogestione della società. Infatti, non sono sufficienti elementi meramente indiziari a sostegno della responsabilità penale del soggetto di fatto.
Affinché l’amministratore di fatto di una società possa essere ritenuto responsabile del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, occorre che abbia posto in essere atti tipici di gestione, offrendo così un contributo obiettivo alle decisioni adottate da chi è formalmente investito della qualifica di amministratore, nella consapevolezza delle implicazioni della condotta tipica del soggetto qualificato. Lo ha stabilito la Prima Sezione della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza numero 5063/2012, depositata il 9 febbraio, annullando con rinvio la decisione impugnata. La responsabilità dell’amministratore di fatto Secondo una consolidata interpretazione giurisprudenziale, sviluppatasi già prima dell’introduzione dell’articolo 2639 c.c. ad opera della riforma del diritto penale societario di cui al d.lgs. numero 61/2002, l’amministratore “di fatto” va individuato in colui che svolge in concreto le funzioni gestorie, cui è ricollegata la relativa posizione di garanzia rispetto agli obblighi penalmente sanzionati, ed è pertanto titolare dei relativi obblighi impeditivi articolo 40, comma 2, c.p. . Tale tesi è stata sostenuta pure dalla prevalente dottrina, la quale ha sottolineato come l’istituto del «soggetto di fatto» sia maggiormente rispondente al principio di personalità della responsabilità penale articolo 27, comma 1, Cost. ed alla conseguente necessità di garantire la maggiore effettività della fattispecie penale d’impresa, con l’ulteriore e non trascurabile conseguenza di prevedere e punire il reato in capo a chi effettivamente lo ha commesso. Al fine di individuare il soggetto “di fatto” bisogna, in primo luogo, ed in base ai principi generali coniati dalla giurisprudenza, ripercorrere l’organizzazione aziendale interna, anche al fine di verificarne la conformità alla disciplina extrapenale in secondo luogo, occorre risalire alla posizione di garanzia, verificando che ad essa siano connessi gli obblighi impeditivi rispetto ai fattori che hanno cagionato l’offesa. In altri termini, va verificato chi, in concreto, svolge le funzioni di amministratore, individuandolo quale diretto destinatario della norma penale nel momento in cui, mentre esercita la funzione gestoria tipica, pone in essere la condotta. Ulteriore quesito è se l’inciso «per i reati previsti dal presente titolo», di cui all’articolo 2639, comma 1, c.c., riduca la portata normativa del citato articolo ai soli reati societari, ovvero ne consenta l’estensione al diritto penal-fallimentare ed anche oltre. Secondo un recente orientamento della giurisprudenza di legittimità, anche in tema di reati fallimentari l'amministratore “di fatto” della società fallita è da ritenere gravato dell'intera gamma dei doveri cui è soggetto l'amministratore “di diritto”, per cui, ove concorrano le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, egli assume la penale responsabilità per tutti i comportamenti penalmente rilevanti a lui addebitabili Cass. Penumero , sez. V, numero 39593/2011 . Per contro, secondo altro e risalente orientamento Cass. Penumero , sez. V, numero 36630/2003 , ai reati fallimentari e dunque anche alla fattispecie di bancarotta fraudolenta patrimoniale non può essere applicato sic et simpliciter l’articolo 2639 c.c. che, nel definire il soggetto di fatto, ha sancito l’equiparazione della responsabilità dell’amministratore di fatto a quella dell’amministratore di diritto con riguardo alle sole fattispecie penali societarie. In effetti, seguendo una interpretazione letterale dell’articolo 2639, comma 1, c.c., appare possibile dedurre a contrario che l’equiparazione legislativa della responsabilità fra amministratori di fatto e di diritto opera solo per i reati societari, e non anche per quelli fallimentari. In ogni caso, la predetta equiparazione è subordinata - come già ritenuto dalla prevalente giurisprudenza in materia penale fallimentare - ai requisiti della continuità della gestione aziendale consistente nella reiterazione di atti e comportamenti e della significatività dell’esercizio della funzione gestoria tipica per cui i poteri tipici esercitati dall’amministratore di fatto non devono essere marginali . non può essere presunta La sentenza in commento appare particolarmente interessante, nella parte in cui ricollega direttamente la responsabilità penale del soggetto di fatto all’esistenza di prove dirette di atti tipici di gestione, preordinati allo «svuotamento» patrimoniale della società fallita. In tal guisa, la pronuncia de qua ribadisce che, con riferimento ai reati fallimentari, l’accertamento della qualità di amministratore di fatto va desunta da elementi sintomatici di gestione o cogestione della società, risultanti – ad esempio – dall'organico inserimento del soggetto, quale intraneus che svolge funzioni gerarchiche e direttive, in qualsiasi momento dell’ iter di organizzazione, produzione e commercializzazione dei beni e servizi. Per contro, non sono sufficienti elementi meramente indiziari a sostegno della responsabilità penale del soggetto di fatto. Peraltro, conformemente al prevalente orientamento giurisprudenziale, l’inserimento nel contesto societario e l’espletamento di funzioni analoghe a quelle che spettano all’amministratore di diritto devono essere caratterizzati da una stabilità e da una continuità e congruità temporale tali da far ritenere l’amministratore di fatto quale organo strutturale dell’ente, non essendo sufficiente la mera partecipazione estemporanea a singoli atti di gestione. e presuppone la consapevolezza dell’insolvenza societaria. Sotto il profilo dell’elemento psicologico del reato di bancarotta, a configurare la responsabilità dell’amministratore di fatto per bancarotta fraudolenta patrimoniale non è sufficiente la sola incidenza causale dell’azione del soggetto, ma occorre anche la consapevolezza, in capo a questi, del fatto illecito e della qualifica del soggetto attivo che ha posto in essere il fatto tipico. Ove poi si ritenesse di dover inquadrare la condotta del soggetto di fatto in una ipotesi di concorso di persone nel reato proprio dell’amministratore di diritto, in base ai principi generali di cui all’articolo 117 c.p., risponde di concorso in bancarotta fraudolenta chi, pur non rivestendo la qualifica formale di imprenditore commerciale amministratore, direttore generale, sindaco o liquidatore della società fallita , abbia apportato un concreto contributo materiale o morale alla produzione dell’evento. Pertanto, seguendo tale impostazione, occorre che il soggetto “di fatto” conosca la qualifica di amministratore di diritto del concorrente, e che voglia scientemente concorrere in un reato proprio, dacché altrimenti il concorrente dovrebbe essere assolto, per carenza della necessaria prova della compartecipazione sotto il profilo dell’elemento soggettivo.
Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 11 gennaio – 9 febbraio 2012, numero 5063 Presidente Giordano – Relatore Caprioglio Ritenuto in fatto 1. Con sentenza della Corte d'appello di Milano in data 17.12.2009 veniva concluso il processo di rinvio a seguito di annullamento della Corte di cassazione disposto con sentenza 23.10.2008 , nei confronti di G.M L. , C.M. , già amministratori della snc Mollificio Garzonio dichiarata fallita il omissis , nonché di S.S. , B.A. e D.R. , amministratori in tempi diversi della società IMI, anch'essa dichiarata fallita il omissis sempre dal Tribunale di Busto Arsizio. L'ipotesi d'accusa muoveva dalla ritenuta costituzione della società IMI per cagionare il fallimento del Mollificio, con coinvolgimento a titolo diretto, o di concorso, di tutti i prevenuti in sostanza veniva ritenuto che fosse stato posto in atto un piano finalizzato alla fraudolenta spoliazione del Mollificio, con un'illecita utilizzazione dei beni e dei contratti ad esso facenti capo, a vantaggio di IMI, che costituiva il perno dell'operazione di svuotamento del Mollificio, gestita in comune con C. , D. e S. , essendo stato travasato il patrimonio aziendale del Mollifico Garzonio in IMI. A comprova, erano stati indicati i prelievi di somme per un ammontare complessivo superiore al miliardo di lire, dalle casse del Mollificio, operati dalla G. quale amministratore unico la locazione di un capannone ove si svolgeva l'attività del Mollificio ad IMI per l'importo semestrale di 25 milioni di lire e l'affitto di azienda sempre ad Imi per l'importo di 60 milioni di lire semestrali, valori giudicati assolutamente incongrui, ma soprattutto non sostenibili da IMI la distrazione sempre tramite Imi di 179 milioni di lire, quali importi di fatture pagate a Mollificio e la dissipazione di oltre 80 milioni di lire per affitti non pagati da IMI la prosecuzione dell'attività, nonostante lo stato di decozione, con conseguente mancato pagamento dei contributi previdenziali dei dipendenti e senza provvedere all'accantonamento delle somme a titolo di TFR. La corte di Cassazione, avanti a cui era stata impugnata la sentenza di condanna della Corte di appello di Milano che aveva riformato la sentenza in parte assolutoria del Tribunale di Busto Arsizio, rilevava la nullità del decreto di citazione a giudizio in secondo grado della G. e per gli altri imputati sottolineava che nessuno fu amministratore di diritto della snc Mollificio, visto che B. aveva amministrato IMI dopo la sua cessione ed era estranea al Mollifico, C. era semplicemente il marito di G. , sola amministratrice della società in discorso, D. era stato procuratore, mentre S. risultava estraneo a qualsivoglia incarico in detta compagine sociale. Con il che, per ritenerli amministratori di fatto occorreva la dimostrazione di un atto tipico di gestione, non solo ma era necessario provare che gli inadempimenti di IMI fossero voluti in una con i gestori del Mollificio, in accordo implicante il vantaggio Imi, in danno del Mollificio, circostanza che non era stata adeguatamente provata, ma solo presunta. In sede di rinvio, veniva ritenuta certa la responsabilità distruttiva della G. che aveva operato i prelievi di cassa ed aveva indebitamente utilizzato un finanziamento di mezzo miliardo di lire, nonché per l'attività progressiva di svuotamento della società a favore di IMI. Quanto alle altre posizioni, C. e D. venivano ritenuti non portatori di interessi personali ed intervenuti solo occasionalmente nell'accettata attività fraudolenta, con il che venivano assolti, mentre S. e B. , succedutisi nella carica di amministratore unico di IMI, venivano ritenuti concorrenti nell'attività distrattiva a danno di Mollifico che travasò i cespiti in IMI, sul presupposto che, quando una società si libera del suo patrimonio in favore di altra e distinta impresa, si è di fronte ad un'operazione di dissolvimento della prima, ancorché venisse escluso un comune e generalizzato piano finalizzato alla fraudolenta sottrazione. Poiché alla B. venivano concesse le circostanze attenuanti generiche, così da portare a ritenere prescritto il reato, veniva dichiarato non doversi procedere nei suoi confronti, mentre il S. veniva condannato alla pena di anni tre di reclusione, oltre pene accessorie. Tra le righe la Corte territoriale milanese opinava nel senso che non fossero applicabili i nuovi termini di prescrizione più favorevoli agli imputati , avendosi riguardo a procedimento che già si trovava in fase di appello al momento della sua entrata in vigore ed essendo a tal fine irrilevante il successivo annullamento operato dalla Corte di Cassazione. 2. Avverso tale pronuncia, ha proposto ricorso per Cassazione la difesa dell'imputato, sviluppando quattro motivi di ricorso, con cui viene dedotto 2.1 mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, in ordine alla ritenuta bancarotta per distrazione ed inosservanza dell'articolo 627 comma 3 cod.proc.penumero S. fu coinvolto nell'amministrazione della IMI per soli quattro mesi che andarono dal 26.5.1992 al 14.9.1992 e fu estraneo alla gestione Mollificio. Secondo la difesa la Corte di cassazione aveva stimolato a maggiormente individualizzare il ruolo di gestore di fatto attribuito al S. , ma il giudice del rinvio ha lasciato indimostrata, sia sotto l'aspetto probatorio che sotto quello motivazionale, la natura di amministratore di fatto ricondotta all'imputato, rimuovendo la questione posta dal giudice di legittimità, anziché risolverla. In sostanza la Corte aveva sollecitato a riscontrare nella condotta tenuta dall'imputato un'influenza causale sul verificarsi dell'evento per constatare se il compartecipe avesse agito con consapevolezza della qualifica del soggetto principale e con coscienza e volontà di aderire al fatto di bancarotta. Ma dagli atti risulterebbe che S. non fu mai amministratore di fatto, rivestì una carica svuotata di poteri, non operò mai con atti tipici di gestione. Ed infatti nulla collegherebbe S. alla costituzione di IMI quale contenitore delle attività di Mollifico le operazioni contabili di svuotamento di Mollifico a vantaggio di IMI furono successive all'uscita di S. , mentre le fatture dell'anno 1992, pari a circa otto milioni di lire, si riferiscono ad acquisti di materiale di consumo l'importo dissipato per il mancato pagamento dei canoni di locazione attiene ad operazioni successive alla sua uscita i capitali prelevati da G. sono estranei alla posizione del ricorrente la stipula dei contratti di affitto e locazione tra IMI e Mollifico rientravano nella logica della compensazione per il maggior prezzo di acquisto dell'immobile e comunque l'autore dell'operazione fu il M. . La condanna suona quindi, ad opinione della difesa, del tutto priva di motivazione adeguata. 2.2 mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, con riguardo alla condanna per il reato di bancarotta impropria per inosservanza articolo 627 comma 3, cod.proc.penumero Anche sul punto la difesa rileva che il dictum della Corte non è stato seguito, posto che l'estraneo alla gestione - è stato detto - deve risultare consapevole della possibilità di risultato delle operazioni incriminate a questo diverso titolo e soprattutto in riferimento al mancato pagamento dei contributi ed al mancato accantonamento a titolo di TFR per i dipendenti, per cui deve dimostrarsi quanto meno l'accettazione del rischio del fallimento. 2.3. Erronea applicazione della legge penale, in relazione alla mancata dichiarazione di prescrizione del reato. La difesa fa rilevare che per il S. la sentenza del Tribunale di Busto Arsizio, intervenuta il 4.4.2000 fu di assoluzione e che il decreto di citazione in giudizio per l'appello interposto dal Pm intervenne il giorno 8.3.2007, quindi un anno dopo l'entrata in vigore della L. 251/2005 il concetto di pendenza riferibile alla sentenza di condanna non può essere esteso alla sentenza di assoluzione di primo grado, poiché questa sentenza non rientra tra gli atti interruttivi ex articolo 160 cod. penumero della prescrizione, con la conseguenza che va ritenuto atto interruttivo il decreto di citazione ex articolo 601 cod.proc.penumero . In proposito viene richiamato anche l'arresto delle Sez. Unite 29.10.2009, numero 47008, con cui è stato statuito che il divieto di applicazione dei termini di prescrizione in favore del giudicato scatta solo a partire dall'emissione del decreto di citazione in appello e questo in perfetta coerenza con quanto già affermato dalla Corte Costituzionale 393/2006. Pertanto nel caso di specie andava applicata la disciplina della prescrizione più recente e più favorevole ed andava dichiarata l'estinzione dei reati ascritti al S. . 2.4. Omessa e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche sarebbero state negate le attenuanti sulla base del solo dato che il S. era gravato da precedenti penali specifici, quindi non sulla base di argomentazione articolata che tenga conto dei fatti accertati e della personalità del reo, nonché del lungo tempo trascorso dalla vicenda in esame. Considerato in diritto Deve essere detto preliminarmente osservato che nelle more della celebrazione del presente processo questa Corte, a Sezioni Unite, con sentenza del 24.11.2011, in corso di pubblicazione, ha affermato il principio che, ai fini dell'operatività delle disposizioni transitorie della legge di modifica dei termini di prescrizione dei reati, la pronuncia della sentenza determina la pendenza in grado d'appello del procedimento, ostativa all'applicazione retroattiva delle norme più favorevoli, anche quando è di assoluzione. A fronte di tale precisazione intervenuta su un punto oggetto di contrasto, deve esser rigettato il motivo di ricorso sub 2.3, dovendosi nel caso di specie calcolare il termine di prescrizione del reato di bancarotta contestato, alla luce della precedente normativa, meno favorevole all'imputato, che prevede un termine di quindici anni, estensibile ex articolo 160 cod.penumero , fino ad anni ventidue e mesi sei. Ciò detto, va subito rilevato che sono invece fondati gli altri motivi del ricorso indicato sub 2.1 e 2.2, assorbenti l'ultimo motivo dedotto. Sulla posizione del S. va ricordato che nel primo giudizio avanti al tribunale di Busto Arsizio era stato escluso che avesse operato in termini significativi a livello di gestione, atteso che era stato amministratore di diritto soltanto dal 26.5.1992 al 14.9.1992 e che nel corso di tale intervallo non risultava avesse compiuto atti di gestione in senso stretto, il che portava a ritenere che non avesse operato come gestore di fatto della società nel periodo successivo, visto che gli unici effettivi titolari degli interessi economici facenti capo alla società, erano M.A. e B.A. , a cui andava ricondotta l'amministrazione della società poi fallita. A seguito del ribaltamento della decisione in secondo grado, la Corte di cassazione annullava la sentenza premettendo come il S. risultasse estraneo a qualsiasi incarico diretto per conto del Mollificio ed imponeva un più rigoroso esame della posizione, sollecitando la indicazione degli atti tipici di gestione condotti e tali da configurare un'amministrazione di fatto, nonché l'esplicitazione del contributo obiettivo offerto a decisioni altrui, nella consapevolezza delle implicazioni della condotta tipica del soggetto qualificato, mettendo in guardia dalla doppia presunzione, che porta ad eludere il dovere di rispondere secondo le regole del concorso di persone nel reato proprio altrui. I giudici del rinvio, nel richiamare nel dettaglio le precedenti vicende processuali, hanno apoditticamente concluso che il S. fu l'ispiratore dell'operazione di svuotamento della snc, laddove la Corte aveva espressamente ammonito che se si vuole ritenere l'esistenza di un accordo criminoso a monte di più fatti delittuosi, che si rapporti al dissolvimento, inteso insolvenza, bisogna dimostrarlo per sé con precisi indici, salvo rendere l'ipotesi assiomatica e come tale irriconoscibile è quindi evidente la violazione dell'articolo 627 cod.proc.penumero lamentata, poiché la sollecitazione alla dimostrazione dell'assunto con l'indicazione di indici precisi è caduta nel vuoto. Non solo, ma la Corte di Cassazione aveva sollecitato, quanto ai concorrenti esterni, la dimostrazione per ciascuno del contributo al fatto tipico di gestione dei soggetti qualificati come amministratori, nella consapevolezza della insolvibilità del Mollifico, a fronte di un danno implicato dalle singole operazioni, e ancor più delle inadempienze verso il fisco o i dipendenti . In sede di giudizio di rinvio la corte territoriale si è limitata a sostenere che poco importa che S. sia stato amministratore dal 26.5.1992 al 14.9.1992, visto che verosimilmente abbandonò detta carica, poiché impegnato in altra società dichiarata fallita nel 2002, dal Tribunale di Asti, con ciò eludendo in modo evidente gli oneri motivazionali che la corte di legittimità aveva imposto anche in ordine al capo 26 dell'imputazione, introducendo un dato del tutto disancorato alla logica motivazionale. La sentenza impugnata va quindi annullata e rinviata per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d'appello di Milano. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d'Appello di Milano.