È entrato in vigore il decreto numero 211, con la pubblicazione sulla G.U. numero 297 del 22 dicembre 2011. Due gli obiettivi dichiarati dal Governo nel preambolo del decreto ridurre il sovraffollamento carcerario ormai insostenibile e limitare le attività di traduzione delle persone detenute da parte delle forze di Polizia. Ecco nel dettaglio le norme appena introdotte.
Cambiano le regole del giudizio direttissimo dinanzi al tribunale in composizione monocratica. L’articolo 1 del decreto interviene sulle previsioni dell’articolo 558 c.p.p. che regola il procedimento di convalida dell’arresto e del giudizio direttissimo dinanzi al giudice monocratico. E’ noto che all’arresto in flagranza di reato possono procedere solo gli ufficiali e agenti di Polizia Giudiziaria e non il Pubblico Ministero. Due i casi che si potevano prospettare di fronte ad un arresto in flagranza in relazione alle funzioni del giudice monocratico. Gli ufficiali che avevano proceduto all’arresto potevano condurlo direttamente davanti al giudice del dibattimento per il giudizio di convalida. Se il giudice non teneva udienza, doveva fissarla, ricevuta la notizia, al massimo entro quarantotto ore dall’arresto. Nel secondo caso il Pubblico Ministero poteva ordinare agli ufficiali di Polizia di mettere a sua disposizione l’arrestato. Ciò avveniva, ai sensi della previsione del comma 4 dell’articolo 386 c.p.p. mediante conduzione dell’arrestato nella casa circondariale o mandamentale del luogo ove l’arresto o il fermo era stato eseguito. Il Pubblico Ministero, poi, aveva il potere-dovere di presentare l’arrestato direttamente all’udienza in stato di arresto entro quarantotto ore dall’arresto. Se il Giudice non teneva udienza, aveva facoltà di fissarla, a richiesta del Pubblico Ministero, al più presto, e al massimo entro le successive quarantotto ore. Dunque quarantotto ore più quarantotto ore, al massimo, per poter convalidare l’arresto chiesto dal Pubblico Ministero. L’articolo 1 ha dimezzato i termini prevedendo che il Pubblico Ministero può presentare direttamente in udienza, in stato di arresto, per la convalida e il contestuale giudizio, l’arrestato entro quarantotto ore dall’arresto. Non è più prevista la possibilità che il giudice fissi udienza al massimo entro le quarantotto ore successive. Dunque, attualmente, l’arresto, deve essere convalidato entro quarantotto ore sia che l’arrestato sia stato condotto davanti al Giudice dalla Polizia Giudiziaria sia che sia stato presentato dal Pubblico Ministero. I primi inconvenienti pratici della modifica cosa accade se il giudice monocratico non tiene udienza entro 48 ore dall’arresto? Mentre nei grandi tribunali sono previsti turni specifici prestabiliti di convalide dell’arresto da parte dei giudici monocratici, che dovrebbero coprire ogni evenienza, nei tribunali di piccole e medie dimensioni, la convalida dell’arresto è in genere rimessa al giudice monocratico che in quel giorno tiene udienza dibattimentale. Il problema si pone, pertanto, se nel calendario non è prevista udienza dibattimentale. Allo stato è possibile individuare due soluzioni o il giudice fissa udienza entro quarantotto ore dall’arresto ma nulla è stato previsto dal 4 comma novellato , oppure si deve necessariamente andare a chiedere la convalida dell’arresto al Gip ex articolo 390 c.p.p. e il procedimento seguirà le forme ordinarie senza celebrazione del giudizio direttissimo. È inutile dire che questa seconda soluzione vanifica gli sforzi della riforma, perché il legislatore ha inteso evitare il fenomeno del sovraffollamento carcerario momentaneo che si crea in seguito agli arresti in flagranza. Inoltre, la riforma è destinata a riverberarsi anche sul regime delle nullità previste per il mancato rispetto dei termini per la convalida dell’arresto. Gli operatori del diritto sanno che il regime delle nullità è a carattere tassativo. Prima della modifica, l’articolo 558 c.p.p., mediante rinvio alla previsioni dell’articolo 391 c.p.p., prevedeva che le nullità che determinavano la liberazione dell’arrestato, si verificavano in due casi il primo quando la polizia giudiziaria trasmetteva il verbale di arresto al Pubblico Ministero oltre le ventiquattro ore previste dal comma 3 dell’articolo 386 c.p.p. dovendo condurre nello stesso termine l’arrestato presso la casa circondariale il secondo quando il Pubblico Ministero chiedeva la convalida oltre le quarantotto ore dall’arresto, termine previsto dall’articolo 390, comma 1, c.p.p Vi è da chiedersi se, dopo la riforma, che non ha modificato il regime precedente, la nullità si verifichi nel caso in cui il giudice non riesca a celebrare, per qualsiasi ragione, la convalida entro le quarantotto ore dall’arresto, oppure continui a farsi riferimento alle nullità previste in precedenza mancata trasmissione del verbale da parte della polizia giudiziaria o mancata richiesta di convalida del P.M. entro i termini previsti . Il divieto di conduzione degli arrestati presso le case circondariali le camere di sicurezza. L’articolo 1 ha inoltre introdotto, nell’articolo 558 c.p.p., il comma 4-bis prevedendo che l’arrestato non possa più essere condotto nella casa circondariale del luogo dove l’arresto è stato eseguito, né presso altra casa circondariale, salvo che il pubblico ministero non lo disponga, con decreto motivato, per la mancanza o indisponibilità di altri idonei luoghi di custodia nel circondario in cui è stato eseguito l’arresto, per motivi di salute della persona arrestata o per altre specifiche ragioni di necessità. L’articolo 2 del decreto ha riformulato l’articolo 123 delle disposizioni di attuazione di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale stabilendo che «salvo quanto previsto dall’articolo 121, nonché dagli articolo 449 comma 1 e 558 c.p.p., l’udienza di convalida si svolge nel luogo dove l’arrestato o il fermato è custodito. Nel medesimo luogo si svolge l’interrogatorio della persona che si trovi, a qualsiasi titolo, in stato di detenzione. Tuttavia, quando sussistono eccezionali motivi di necessità o urgenza il giudice con decreto motivato, può disporre il trasferimento dell’arrestato, del fermato, o del detenuto davanti a sé». Inoltre l’articolo 123-bis, di nuova introduzione, prevede che «nei casi previsti nell’articolo 558 del codice, l’arrestato viene custodito dagli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria presso le camere di sicurezza del circondario in cui è stato eseguito l’arresto. Il Pubblico Ministero può disporre che l’arrestato venga condotto nella casa circondariale del luogo dove l’arresto è stato eseguito, o presso altra casa circondariale, anche quando gli ufficiali e agenti che hanno eseguito l’arresto rappresentino la pericolosità della persona arrestata o l’incompatibilità della stessa con la permanenza nelle camere di sicurezza ovvero altre ragioni che impediscano l’utilizzo di esse.» Dunque, l’arrestato deve essere trattenuto fino al giudizio di convalida nelle c.d. camera di sicurezza degli uffici di Polizia. E’ lecito chiedersi quanti uffici di Polizia hanno camere di sicurezza attrezzate per trattenere in stato arresto un soggetto? E quante risorse in termini di personale di Polizia richiede la sorveglianza dell’arrestato? Date le condizioni attuali, con una sempre crescente domanda di sicurezza determinata dall’innalzamento del livello di criminalità soprattutto nei grandi centri urbani e la grave crisi economica, appare arduo pensare ad una praticabilità diffusa di tali innovazioni tanto più che all’articolo 5 del decreto è stabilito che «all’attuazione delle disposizioni del presente decreto, ad esclusione dell’articolo 4, si provvede mediante l’utilizzo delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e senza nuovi e maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato». Nulla, dunque, è stato stanziato, per migliorare, potenziare, adeguare le strutture detentive di Polizia, mentre l’articolo 4 testé citato, ha stanziato 57.277.063 euro per potenziare le infrastrutture penitenziarie. Proprio per questa riforma a costo zero è facile prevedere un ricorso massiccio a interpretazioni estensive e ai poteri in deroga conferiti al Pubblico Ministero, il quale con decreto motivato può disporre che l’arrestato venga condotto in carcere, per mancanza o indisponibilità di altri luoghi idonei di custodia nel circondario in cui è stato eseguito l’arresto, per motivi di salute della persona arrestata, per la pericolosità della persona o l’incompatibilità della stessa con la permanenza nelle camere di sicurezza ovvero per altre ragioni che impediscano l’utilizzo di esse o per altre specifiche ragioni di necessità tra cui deve farsi necessariamente rientrare la mancanza di mezzi o di risorse delle forze di Polizia che devono sfamare, custodire e sorvegliare i soggetti arrestati per al massimo quarantotto ore . L’allungamento dei termini per l’esecuzione delle pene detentive presso il domicilio. L’articolo 3 del nuovo decreto ha portato a diciotto mesi la durata della pena detentiva che può essere espiata presso il domicilio, modificando l’articolo 1 della legge 26 novembre 2010 numero 199. Tale articolo prevedeva che, fino alla completa attuazione del piano straordinario penitenziario, nonché in attesa della riforma della disciplina delle misure alternative alla detenzione, e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2013, la pena detentiva non superiore a 12 mesi, anche se costituente parte residua di maggior pena, è eseguita presso l’abitazione del condannato o altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza, di seguito denominato “domicilio” la previsione non si applica ai condannati per gravi reati specificatamente indicati, ai delinquenti abituali, professionali o per tendenza, ai detenuti sottoposti al regime di sorveglianza particolare, quando vi è la concreta possibilità che il condannato possa darsi alla fuga, quando sussistono specifiche e motivate ragioni per ritenere che il condannato possa commettere altri delitti, ovvero quando non sussista l’idoneità o l’effettività del domicilio anche in funzione delle esigenze di tutela delle persone offese dal reato . Dunque, la norma non fa altro che modificare un’altra norma già introdotta in via straordinaria per far fronte al sovraffollamento, destinata a durare al massimo fino al 31 dicembre 2013. Deve, tuttavia, rilevarsi un evidente difetto di coordinamento in cui è incorso il legislatore, perché il termine dei diciotto mesi non è stato introdotto nei successivi commi del modificato articolo, i quali continuano a fare riferimento, nel disciplinare in dettaglio le modalità di attuazione dell’esecuzione domiciliare della pena con i doveri spettanti al Pubblico Ministero che cura l’esecuzione e al magistrato di sorveglianza, al tetto massimo dei dodici mesi previsti in precedenza.