Due distinte denunce nei confronti di un avvocato e professore universitario, senza però mai incolparlo esplicitamente dei gravi atti ritorsivi di cui era rimasto vittima. Il solo dubbio, circa l’estraneità della vittima ai fatti calunniosi, esclude il dolo.
Ai fini dell’elemento psicologico del delitto di calunnia, non basta la mera insinuazione di fatti riconducibili a reati a carico dell’accusato, né il semplice dubbio circa l’innocenza di quest’ultimo, essendo invece indispensabili la coscienza e la volontà di accusare un soggetto pur avendo la certezza della sua innocenza. Lo ha stabilito la Seconda sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza numero 45045/2011, depositata il 5 dicembre. Il dubbio sull’innocenza dell’accusato non è sufficiente Il reato di calunnia, previsto e punito dall’articolo 368 c.p., trova il proprio fondamento nella necessità di tutelare l’Amministrazione giudiziaria da condotte ingannevoli e/o decettive circa i reati che il calunniatore asserisce essere stati commessi dal soggetto ingiustamente accusato. Si tratta di un tipico delitto plurioffensivo, atteso che soggetto passivo di esso è, oltre all’Amministrazione della giustizia, anche il calunniato, il cui onore è leso dalle false accuse mosse nei suoi confronti dall’autore del reato. Il reato di calunnia può inoltre essere accompagnato dall’evento aggravatore costituito dalla condanna del calunniato, implicando così considerevoli aumenti di pena articolo 368, comma 3, c.p. . Sul piano dell’elemento psicologico, la dimostrazione della consapevolezza, in capo al calunniatore, della certezza dell’innocenza dell’incolpato, presenta profili sicuramente problematici, tali da condurre spesso a pronunce assolutorie, stante l’impossibilità di attribuire all’imputato la concreta volontà di accusare falsamente taluno. occorre la certezza dell’innocenza dell’incolpato. In generale, la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato la necessità di ricostruire il momento volitivo della condotta dell’agente sulla base di tutte le circostanze e le modalità proprie del fatto di reato, che indichino la rappresentazione, in capo al calunniatore, del fatto di accusare falsamente un determinato soggetto. In altri termini, è necessario far riferimento all’intera vicenda da cui la falsa accusa è scaturita, al fine di verificare se il calunniatore abbia scientemente e consapevolmente denunciato fatti di reato che egli sapeva non essere stati commessi dall’accusato. Il caso. L’imputato aveva sporto due distinte denunce nei confronti di un avvocato e professore universitario, senza però mai incolparlo esplicitamente dei gravi atti ritorsivi di cui era rimasto vittima, bensì limitandosi ad insinuazioni prive di effettiva valenza calunniosa. In aggiunta a quanto appena detto, la stessa Corte di Cassazione ha precisato che l’innocenza del calunniato costituisce elemento del fatto di reato ne consegue che, anche in presenza del solo dubbio, in capo all’autore del reato, circa l’estraneità della vittima ai fatti calunniosi, il dolo richiesto dalla fattispecie incriminatrice sub articolo 368 c.p. deve ritenersi insussistente. Nella decisione in commento, la Seconda sezione della Suprema Corte ha deciso in conformità al predetto indirizzo giurisprudenziale, secondo cui, in assenza di prove da cui risulti sine ullo dubio che il calunniatore agì con la certezza dell’innocenza dell’accusato, il dubbio incide sulla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, con conseguente assoluzione perché il fatto non costituisce reato.
Corte di Cassazione, sez. II Penale, 16 novembre – 6 dicembre 2011, numero 45045 Presidente Esposito – Relatore Davigo Ritenuto in fatto Con sentenza in data 16.1.2003, il Tribunale di Palmi dichiarò C.R.C. responsabile dei reati di calunnia commesso il omissis ed il omissis , ingiuria e diffamazione, unificati sotto il vincolo della continuazione e - concesse le attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti - lo condannò alla pena di anni 1 mesi 8 di reclusione, pena sospesa. L'imputato fu altresì condannato al risarcimento dei danni ed alla rifusione delle spese a favore della parte civile P.V. . Avverso tale pronunzia l'imputato propose gravame ma la Corte d'appello di Reggio Calabria, con sentenza in data 20.6.2006, confermò la decisione di primo grado, condannando l'imputato alla rifusione delle ulteriori spese a favore della parte civile A seguito di ricorso dell'imputato, la Corte Suprema di cassazione, Sezione 6^ penale, con sentenza 8.5.2009, annullò la sentenza impugnata senza rinvio in ordine ai reati di ingiuria e diffamazione perché estinti per prescrizione e con rinvio in ordine al delitto di calunnia. La Corte di legittimità rilevava che l'imputazione di calunnia a carico del C. traeva origine da due distinti atti di denuncia datati 4-10-99 e 15-10-99, nei quali il predetto, dopo avere asserito di essere stato costretto, a seguito di gravi atti intimidatori e ritorsivi incendi di tre autovetture di sua proprietà , a dimettersi dall'incarico di perito ed amministratore giudiziario della società OMISSIS , avrebbe insinuato che il mandante di tali fatti delittuosi fosse l'avv. P.V. , difensore dell'ex amministratore unico di detta società, Ch.Lu. . Le imputazioni di diffamazione di ingiurie derivano dalle offese alla reputazione ed all'onore del P. contenute nelle due denunce citate. La Corte di Appello, ricostruito il contesto complessivo della vicenda in esame che era stata originata dal contenzioso civile che aveva visto contrapposti i coniugi M.F. e S.M. ai coniugi Ch.Lu. e S.T. aveva ritenuto che il C. , negli atti sopra menzionati, non si fosse limitato a denigrare pesantemente, sul piano personale e professionale, il P. , ma avesse subdolamente inserito il riferimento agli attentati subiti alle proprie automobili, ricollegando gli incendi a una sorta di attività induttiva , posta in essere dal P. , difensore dei coniugi Ch. - S. , quale stratega occulto delle intimidazioni realizzate ai suoi danni . La Corte di cassazione affermava che è vero che ai fini della configurazione del delitto di calunnia non è richiesta una denunzia in senso formale contenente l'addebito specifico di una determinata fattispecie criminosa ma è sufficiente anche una semplice insinuazione a carico di persona, che si sa innocente, di fatti dai quali si possa desumere l'esistenza di un reato Sez. 6^, Sentenza numero 10125 del 20/10/1997, Rv. 208818, Dell'Olmo Sez. 6^, Sentenza numero 1638 del 07/11/2002 Rv. 223246, Volontario . Tuttavia ai fini della configurabilità del reato di calunnia è pur sempre necessaria la formulazione di una accusa, che abbia il carattere della certezza, non essendo sufficiente una mera insinuazione, una malignità o una maldicenza Sez. 6^, Sentenza numero 10699 del 05/10/1984, Rv. 166910, Orlandi e, in secondo luogo, che la insinuazione di fatti riconducibili a reati a carico dell'accusato deve essere formulata da persona che sia certa della innocenza dell'incolpato. Nella fattispecie in esame la Corte di Appello di Reggio Calabria si era limitata a trarre il carattere calunniatorio ai danni dell'avv. P. dei due esposti presentati dal C. dalla ricostruzione del contesto complessivo della vicenda , precisando soltanto che doveva ritenersi che il riferimento agli attentati subiti era stato subdolamente inserito dal prevenuto, in quanto appariva del tutto gratuito ed esulava completamente dai rapporti intrattenuti fino a quel momento con il P. , il quale aveva unicamente svolto l'incarico di difensore dei coniugi Ch. - S. . A queste apodittiche conclusioni la Corte di merito aveva aggiunto che la causale di tale riferimento doveva rinvenirsi nel profondo malanimo covato dal C. nei confronti del P. , considerato responsabile per avere segnalato le varie scorrettezze del suo operato quale amministratore giudiziario nella causa civile da ultimo promossa a tutela dei propri assistiti . Per poi concludere che essendo stato costretto alle dimissioni per effetto di tale iniziativa giudiziaria, il C. non si era fatto scrupolo di lanciare pesanti insinuazioni sulla persona del P. , collegando gli attentati ad una sorta di attività induttiva posta in essere da quest'ultimo, quale stratega occulto delle intimidazioni realizzate ai suoi danni . La Corte suprema aveva ritenuto tali affermazioni assertive, che nulla spiegavano segnatamente in ordine alla necessaria sussistenza dell'elemento psicologico del reato, non spiegandosi in alcun modo le ragioni per le quali il C. , che, in concomitanza con le iniziative giudiziarie afe quibus, aveva subito gli attentati, non avesse potuto metterli comunque in relazione con queste, anche in considerazione del fatto che il P. non è mai stato indicato come ispiratore dei gravi fatti incendiari ma unicamente come persona a conoscenza del loro accadimento. A parte il fatto che l'accanimento del C. verso il prof. P. a seguito delle iniziative giudiziarie da quest'ultimo intraprese v. sentenza di primo grado non basta di certo da solo ad escludere che l'imputato avesse comunque agito nel convincimento che ad indurre i responsabili agli incendi delle sue vetture fosse stato l'astio creatosi nei suoi confronti per l'abusivo esercizio della qualità di amministratore giudiziario, dedotto nel corso della difesa dei coniugi Ch. - S. esercitata dal P. , con conseguente mancanza nell'imputato della indispensabile certezza della innocenza dell'incolpato. Riteneva perciò lacunosa su questi punti la motivazione della sentenza impugnata. La Corte d'appello di Reggio Calabria, quale giudice di rinvio, con sentenza in data 1.6.2010, rideterminava la pena per il delitto di calunnia in anni 1 mesi 4 di reclusione e condannava l'imputato alla rifusione a favore della parte civile delle ulteriori spese di giudizio. Ricorre per cassazione il difensore dell'imputato deducendo 1. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dell'elemento oggettivo del delitto di calunnia il giudice di rinvio ha affermato di poter ravvisare quella insinuazione che, secondo la Corte di legittimità ed il principio di diritto affermato nella sentenza di annullamento con rinvio integra gli estremi del reato contestato invece nella sentenza della Corte di legittimità si afferma che non è sufficiente una mera insinuazione ma è necessaria la formulazione di un'accusa che abbia il carattere della certezza 2. violazione di legge e vizio di motivazione sempre in relazione all'elemento oggettivo del delitto di calunnia, dal momento che la Corte di cassazione aveva affermato che P. non era mai stato indicato come ispiratore dei gravi fatti incendiari ma unicamente come persona a conoscenza del loro accadimento i fatti attribuiti a P. non sarebbero mai stati falsi mai C. ha affermato che P. abbia intenzionalmente ispirato alcuno C. non avrebbe mai formulato un'accusa certa 3. violazione di legge e vizio di motivazione sempre in relazione all'elemento oggettivo del delitto di calunnia dal momento che l'imputato ha riferito fatti realmente accaduti, quali l'aspra critica al suo operato che tale critica avesse ingenerato atti di ritorsione è solo una sua personale convinzione 4. violazione di legge e vizio di motivazione sempre in relazione all'elemento oggettivo del delitto di calunnia in quanto la condotta di C. sarebbe scriminata dall'esercizio del diritto di difesa 5. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'elemento soggettivo del delitto di calunnia di momento che il giudice di rinvio ha motivato l'esistenza dello stesso con riferimento all'elemento oggettivo, alle qualità della persona offesa, al fatto che questa si era limitata a svolgere la sua attività professionale, ma che aveva scoperto la attività abusive di C. e la consapevolezza dell'innocenza di P. sull'assunto che aspettava una querela nessuno di tali elementi potrebbe sorreggere l'assunto e la sentenza di annullamento aveva già chiarito che l'accanimento di C. verso P. non era sufficiente a provare la certezza in capo al primo dell'innocenza del secondo 6. violazione di legge e vizio di motivazione sempre in relazione all'elemento soggettivo del delitto di calunnia in quanto C. aveva la convinzione, ancorché rivelatasi errata, che gli episodi ritorsivi muovessero dall'astio determinato dalla difesa svolta da P. , come emerge dalle missive 4.10.1999 e 15.10.1999. Il difensore della parte civile con memoria datata 8.11.2011 chiedeva che il ricorso fosse dichiarato inammissibile o rigettato. Considerato in diritto Il primo, secondo e terzo motivo di ricorso sono infondati. La Corte territoriale ha anzitutto trascritto nella motivazione della sentenza impugnata parte degli esposti in data 4.10.1999 ed in data 15.10.1999, diretti a P. e per conoscenza alla Procura della Repubblica di Palmi ed all'Ordine degli Avvocati di Reggio Calabria ed ha ritenuto, sulla scorta dei termini adoperati, dei passaggi logici effettuati, dei destinatali e della lettura incrociata degli stessi di poter ravvisare la insinuazione che integra gli estremi del reato contestato. La sentenza di annullamento con rinvio non ha escluso che una insinuazione possa integrare il delitto di calunnia, giacché ai fini della configurazione del delitto di calunnia non è richiesta una denunzia in senso formale contenente l'addebito specifico di una determinata fattispecie criminosa ma è sufficiente anche una semplice insinuazione a carico di persona, che si sa innocente, di fatti dai quali si possa desumere l'esistenza di un reato . Peraltro ha chiarito che é pur sempre necessaria la formulazione di una accusa, che abbia il carattere della certezza, non essendo sufficiente una mera insinuazione, una malignità o una maldicenza . Inoltre la insinuazione di fatti riconducibili a reati a carico dell'accusato deve essere formulata da persona che sia certa della innocenza dell'incolpato . La lettura che si propone nel primo motivo di ricorso ascrive alla sentenza di annullamento con rinvio un'insanabile contraddittorietà che non sembra in realtà sussistere. I passi riportati non possono avere, anche alla luce dei precedenti giurisprudenziali citati, altro significato di quello che anche un'insinuazione può integrare il delitto di calunnia purché implichi un accusa certa mossa nella certezza dell'innocenza dell'incolpato. La Corte territoriale, muovendosi nel senso sopra indicato ha ritenuto che C. avesse attribuito a P. di aver determinato con i suoi insegnamenti l'incendio delle tre autovetture, stante il riferimento alla capacità degli argomenti usati a trasformare i clienti in fiammeggianti giuristi di fama , qualificandolo così come ispiratore morale degli incendi. Ad avviso della Corte territoriale con tali scritti, diretti anche alla Procura della Repubblica, C. espose inevitabilmente P. ad un procedimento penale, dal momento che gli veniva appunto attribuito il ruolo di ispiratore degli incendi. Non rileva che siano stati riferiti anche fatti realmente accaduti, poiché la Corte d'appello ha sottolineato anche la messa in relazione di P. con tali fatti ed è questa l'incolpazione ritenuta non vera. In tali argomenti non si ravvisa alcuna violazione di legge o manifesta illogicità che le renda sindacabili in questa sede. Il quarto motivo di ricorso è manifestamente infondato e generico. La calunnia è stata ravvisata in esposti e non in atti di un procedimento riguardante C. e comunque nel ricorso non è neppure indicato quale esigenza difensiva tali esposti avrebbero dovuto esprimere. Il quinto e sesto motivo di ricorso sono fondati. La Corte territoriale ha ravvisato la consapevolezza dell'innocenza dell'incolpato in capo a C. con la considerazione che, alla luce delle sue competenze professionali, doveva essergli ben chiaro che la persona offesa, Avvocato e Docente di Diritto commerciale presso l'Università di Messina, si era limitato a svolgere la sua attività professionale e che il collegamento fra tale attività e gli incendi era del tutto arbitrario e di natura ritorsiva. Si tratta nuovamente di affermazioni meramente assertive e congetturali che non danno risposta alle lacune indicate nella sentenza di annullamento con rinvio in punto di elemento psicologico del reato. D'altro canto l'imputato ha posto in relazione l'attività defensionale di P. con gli attentati incendiari subiti e nulla è stato indicato per motivare che egli fosse consapevole dell'arbitrarietà di tale accostamento. Poiché nessun ulteriore elemento è stato indicato dal giudice di rinvio né può ragionevolmente pensarsi che ne esistano, si impone l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato.