Attenzione alle parole: dare del ‘cretino’ è offesa vera, non espressione semplicemente censurabile

Rimessa completamente in discussione la pronunzia del Giudice di pace che aveva considerato nulla la rilevanza penale di espressioni come ‘stupido’ e ‘cretino’. Ora viene invece sottolineata la valenza offensiva di quelle parole, soprattutto in un contesto, come in questo caso, di discussione per mere ragioni debitorie.

“Sei un cretino” può sembrare, oggi più che in passato, espressione di poco peso, rispetto a epiteti ben più grevi, ma ciò non ne riduce affatto la potenzialità lesiva nei confronti della dignità di una persona. A maggior ragione quanto quella frase viene inserita all’interno di una diatriba in materia di soldi Cassazione, sentenza numero 27980, Quinta sezione Penale, depositata oggi . Questione di soldi Scenario è un confronto «non amichevole» – come definito da un testimone – tra due uomini, che discutono, con toni accesi, per alcune «questioni debitorie». Ma la scintilla è rappresentata dal ricorso ai termini ‘cretino’ e ‘stupido’, utilizzati per apostrofare la persona offesa. Questione da chiudere subito? Assolutamente no. Non a caso, la vicenda approda dinanzi al Giudice di pace, il quale, però, decide di azzerare ogni contestazione in fondo, viene spiegato, le espressioni utilizzate sono «censurabili, dal punto di vista comportamentale» ma «non idonee», in questo caso, a «offendere onore e decoro». Parole grosse. Ma l’ottica ‘modernizzatrice’ adottata dal Giudice di pace viene fatta a pezzi dai giudici del Palazzaccio, i quali, accogliendo il ricorso della persona offesa, mostrano di non condividere assolutamente l’idea che «dare del ‘cretino’» a una persona «sia solo manifestazione di inurbanità». Essendo acclarata la ricostruzione dell’episodio – ossia una discussione poco amichevole tra i due uomini –, è illogico pensare, secondo i giudici, che «nei rapporti fra due soggetti in contenzioso per questioni debitorie» sia «sedimentata una sorta di sensibilizzazione ai termini offensivi, che perderebbero, per consuetudine, rilevanza penale». Basti pensare, concludono i giudici, che neanche «in sede di dialettica politica, dove il ricorso a espressioni ‘forti’ è certamente da intendere più tollerato» è in discussione la «rilevanza penale» del ricorso a espressioni offensive.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 15 gennaio - 26 giugno 2013, numero 27980 Presidente Zecca – Relatore Micheli Ritenuto in fatto Il difensore / procuratore speciale di G.B., parte civile costituita nel processo svoltosi dinanzi al Giudice di pace di Castrovillari a carico di C.A., imputato di ingiurie e minacce in danno del B., ricorre avverso la sentenza emessa all'esito di detto giudizio, in virtù della quale l'imputato è stato mandato assolto, con la formula perché il fatto non costituisce reato , ai sensi dell'articolo 530, comma 2, cod. proc, penumero Il ricorrente si duole in particolare, deducendo erronea applicazione degli articolo 594 e 612 cod. penumero , nonché mancanza e manifesta illogicità della motivazione, della circostanza che secondo il giudice dl prime cure le deposizioni dei vari testimoni sarebbero state fra loro contrastanti, quando invece - gli assunti dei B. erano stati riscontrati dalla teste B. - il teste R. non aveva confermato la dinamica dei fatti come descritta in rubrica, ma al contempo risultava acquisito formalmente il verbale delle sommarie informazioni rese dai medesimo nel corso delle indagini preliminari prodotto sull'accordo delle parti in cui aveva invece sostenuto il contrario, ed era stato altresì appurato che medio tempore il R. era stato assunto in prova dall'A. come lavoratore subordinato, aspetto non considerato dal Giudice di pace nel vagliare l'attendibilità del dichiarante - il teste S. aveva sì negato di avere udito frasi minacciose, ma pur sempre descrivendo il contesto del confronto verbale tra l'A. e il B. come “non amichevole , e ricordando che il primo aveva apostrofato il secondo dandogli del cretino e dello stupido. A quest'ultimo proposito, il ricorrente censura in ogni caso come frutto di erronea applicazione della legge penale la parte della motivazione della sentenza in cui viene ritenuto che quelle espressioni sarebbero da un lato «censurabili dal punto di vista comportamentale e nei rapporti sociali», ma al contempo non avrebbero rilevanza penale giacché «nel caso di specie non sono di per sé idonee a offendere l'onore e il decoro» affermazioni in evidente antinomia l'una rispetto all'altra, e dunque indicative dell'illogicità delle argomentazioni adottate dal giudicante. Considerato in diritto Il ricorso è fondato. Nel corpo della motivazione adottata dal Giudice dl pace di Castrovillari debbono infatti rinvenirsi carenze e profili di contraddittorietà rilevanti al fini indicati dall'articolo 606, comma 1, lett. e del codice di rito, atteso che - per quanto implicitamente evidenziato nel dare atto che tra i protagonisti della vicenda esisterebbero pregressi contenziosi in sede civile e penale, il giudicante non ha chiarito per quali ragioni, con riguardo allo specifico episodio che si sarebbe verificato il 25/09/2007, la parte civile non meriterebbe credibilità, dal momento che la ricostruzione offerta dal B. parrebbe pienamente riscontrata da almeno uno dei testimoni escussi la B., sulla cui attendibilità o meno non viene parimenti segnalato alcunché - del teste R. si rappresenta un attuale rapporto di lavoro con l'A. mentre all'epoca del fatto sarebbe stato un dipendente del B. , ma non viene chiarito perché tale circostanza, rapportata al rilievo che lo stesso R. appare aver mutato versione rispetto al contenuto delle sommarie informazioni rese alla polizia giudiziaria, dovrebbe considerarsi indifferente sul giudizio di credibilità da formulare nel confronti del testimone medesimo - il Santoro avrebbe comunque confermato gli epiteti di cretino e stupido che l'A. rivolse alla controparte, al di là di «non aver sentito frasi minacciose» non viene dunque argomentato in sentenza che il teste escluse che frasi di quest'ultimo genere vennero pronunciate, ma solo che egli non le percepì al contrario della B. e, almeno stando alle prime dichiarazioni comunque utilizzabili perché oggetto di produzione concordata, del suddetto R. - si sostiene che gli epiteti appena ricordati costituirebbero «espressioni [ ] censurabili dal punto di vista comportamentale e nei rapporti sociali», tuttavia prive di rilevanza penale «nel particolare caso di specie», giacché «di per sé idonee a offendere l'onore e il decoro». Si tratta di argomenti in evidente, reciproca contraddizione, anche perché la presunta inoffensività di quegli appellativi risulta oggetto di una affermazione puramente apodittica non sì vede perché, proprio nel caso concreto, dare dei cretino sia solo manifestazione di inurbanità. La giurisprudenza di questa Corte, con riguardo all'uso della parola in questione che del resto appare riportata anche nel capo di imputazione , ha avuto modo di affermare ad esempio che «non costituisce esercizio del diritto di critica politica, con effetto scriminante della condotta ingiuriosa, l'espressione che ecceda il limite della continenza, consistendo non già in un dissenso motivato espresso in termini misurati e necessari, bensì in un attacco personale lesivo della dignità morale ed intellettuale della persona che, anche nel contesto dl vivace polemica di un confronto politico, resta penalmente rilevante» Cass., Sez. V, numero 31096 del 04/03/2009, Spartà, Rv 244811 e non si vede perché nei rapporti fra due soggetti in contenzioso per questioni debitorie dovrebbe intendersi sedimentata una sorta di sensibilizzazione a€ termini offensivi, che perderebbero, per consuetudine, rilevanza penale, quando ciò va escluso addirittura in sede di dialettica politica, dove il ricorso ad espressioni forti e certamente da intendere più tollerato. Si impongono pertanto, visto che il ricorso in esame risulta riguardare i soli effetti civili della sentenza impugnata, le determinazioni di cui al dispositivo. P.Q.M. Annulla ai soli effetti civili la sentenza impugnata, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello.