Ai sensi dell’articolo 18, d.l. numero 67/1997, convertito in l. numero 135/1997, la rimborsabilità delle spese legali per i dipendenti statali non può essere assoggettata alla determinazione pattizia tra il dipendente pubblico assistito e il suo difensore di fiducia, o anche alla sola verifica del Consiglio dell’Ordine, giacché necessità del parere di congruità rilasciato dall’Avvocatura dello Stato secondo i canoni della discrezionalità tecnica.
Il fatto. La vicenda processuale in esame trae origine da una domanda di rimborso nei confronti della P.A. delle spese legali sostenute da un dipendente statale. Come noto, ai sensi dell’articolo 18, L. numero 135/1995, «le spese legali relative ai giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali» sono rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dall’Avvocatura dello Stato, sempreché tali giudizi si siano «conclusi con sentenza o provvedimento che esclusa la responsabilità» dei dipendenti medesimi. Orbene, nel caso di specie, sia in primo che in secondo grado, al dipendente era stato riconosciuto un quantum inferiore rispetto a quanto sborsato in favore del suo legale per la difesa in giudizio. Scaturiva così il ricorso per cassazione. Per quanto qui interessa, il ricorrente si duole che la Corte d’Appello abbia negato rilievo al parere di congruità espresso favorevolmente sulla nota spese dal competente Consiglio dell’Ordine unico, organo, a suo dire, effettivamente terzo rispetto all’Avvocatura chiamata a tutelare gli interessi dello Stato. Addebitabili solo le spese di importo controllabile. La Corte bolla il ricorso per non essere meritevole di tutela. La ratio della L. numero 135/1995 è quella di addebitare allo Stato, secondo le regole di ogni buona amministrazione, solo quelle spese che siano di importo controllabile. E’ così che il rimborso delle spese per onorario non possono rimanere determinate solo in via negoziale tra il dipendente pubblico assistito ed il proprio difensore di fiducia, perché occorre tenere in debita considerazione anche la posizione del terzo obbligato lo Stato . Il legislatore, senza violazione di alcun principio costituzionale di uguaglianza articolo 3 Cost. o di diritto di difesa articolo 24 Cost. , ha ritenuto che in capo all’erario non possano essere posti oneri eccedenti da quanto strettamente necessario. Questo parere di congruità ai fini del rimborso non può essere sottoposto all’esclusivo vaglio del Consiglio dell’Ordine perché, se così fosse, si negherebbe rilevanza pubblicistica alla spese e ai relativi doveri di buon governo della spesa pubblica in questo delicato ambito. In conclusione. Dalla sentenza in esame si evince come non sussista una equiparazione tra il debito del dipendente pubblico assistito verso il proprio difensore di fiducia e quello di protezione del primo che è a carico dello Stato. Questa impostazione risulta ragionevole e scevra da errori di prospettiva, perché il debito per compensi legali può risentire dall’impostazione difensiva prescelta. Ad esempio, vi sono voci es. consultazioni, trasferte, ecc. che potrebbero risultare non indispensabili per la difesa eppure concordate in via pattizia tra cliente e proprio avvocato. Di tali oneri, però, non può farsi carico la P.A. ecco dunque la necessità di un vaglio di congruità operato dall’Avvocatura dello Stato secondo i principi di discrezionalità tecnica. Giudizio di congruità, però, che non dovrà essere confinato nel ritenere applicabili solo i minimi tariffari, ma che dovrà spingersi verso quel contemperamento di interessi tale da bilanciare l’esigenza di salvaguardia della prudenza nell’erogazione della spesa pubblica e di protezione del dipendente ingiustamente accusato.
Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 14 aprile – 6 luglio 2015, numero 13861 Presidente Santacroce – Relatore D’Ascola Svolgimento del processo L'attore, sottoufficiale di Marina, è stato sottoposto a procedimento penale nella sua qualità e ha sostenuto spese legali, delle quali ha chiesto il rimborso all'amministrazione. Quest'ultima, acquisito il parere dell'avvocatura erariale, gli ha rimborsato circa 13 milioni di lire su 39 milioni spesi. Ha agito invano per il recupero integrale davanti al tribunale di Taormina prima e alla Corte di appello di Messina, che ha respinto l'appello con sentenza 29 ottobre 2010. L'avvocatura dello Stato in entrambi i gradi di giudizio ha eccepito il difetto di giurisdizione del giudice ordinario. Davanti alla Suprema Corte, investita da ricorso per cassazione notificato inizialmente il 2 aprile 2011 presso l'avvocatura distrettuale e nuovamente notificato all'avvocatura generale nel termine concesso dal Collegio della Terza sezione civile, è stato proposto ricorso incidentale per far valere il difetto di giurisdizione del giudice adito. La causa è stata quindi rimessa alle Sezioni Unite per lo scrutinio di detta questione. Motivi della decisione 2 In sede di discussione orale l'avvocatura dello Stato, aderendo ai principi stabiliti da Cass. SU 5456/09, ha precisato che il ricorso incidentale, ancorché inerente la giurisdizione, è da considerare condizionato all'accoglimento del ricorso principale. 3 La Corte di appello di Messina ha premesso che il rimborso effettuato dall'amministrazione ai sensi dell'articolo 18 d.l. numero 67/1997 conv. in legge numero 135/97 è dovuto nei limiti riconosciuti congrui dall'avvocatura dello Stato. Ha ritenuto che l'avvocatura compie una vantazione basata sulla discrezionalità tecnica, riferita alla tariffa penale, alla natura e alla complessità delle questioni trattate, alla durata del processo, alla qualità dell'opera prestata, al vantaggio recato al cliente. Ha negato che possa assumere rilievo il parere di congruità espresso favorevolmente dal Consiglio dell'Ordine locale ha affermato la necessità di contenimento della spesa pubblica quale criterio di contemperamento della liquidazione, posta a carico dell'erario nei limiti del necessario . 3.1 Il ricorso consta di quattro motivi. Con il primo il ricorrente denuncia violazione dell'articolo 360 numero 3 cpc in relazione agli articolo 14 e 57 rdl numero 1578/33 e all'articolo 18 L. numero 67/1997 . Sostiene che i giudici di merito avrebbero dovuto applicare la normativa in tema di parere del consiglio dell'Ordine forense, unico organo cui sarebbe demandata la competenza ad esprimere parere sulla congruità della nota delle spese . Afferma che solo il Consiglio dell'Ordine ha carattere di Ordine indipendente e di effettivo controllo dell'attività del difensore rispetto ai diritti e agli interessi del proprio rappresentato che l’articolo 18 del d.l. 67 demanda all'Avvocatura il diritto di esaminare la parcella del difensore dei dipendente statale, sebbene sia l'Avvocatura stessa il difensore dello Stato, il quale peraltro beneficia della difesa del dipendente fatta dal libero professionista. Denuncia quindi un interesse contrastante insito nella funzione dell'Avvocatura, chiamata a tutelare gli interessi dello Stato, senza avere quindi quell'indipendenza che connota il COA. Quest'ultimo esprime invece un parere assistito da presunzione di veridicità . Il secondo motivo , che lamenta la violazione dell'articolo 360 numero 5 cpc in relazione alle norme di cui sopra e anche all'articolo 36 Cost., ripropone la prima censura, circa la prevalenza del parere COA rispetto a quello dell'avvocatura, anche sotto il profilo della conseguente violazione della norma costituzionale concernente la giusta retribuzione. Tale principio verrebbe violato dal potere, che la Corte di appello ha riconosciuto all'avvocatura, di contenere la spesa entro il minimo strettamente necessario. Il terzo motivo rileva l'illegittimità della decisione appellata sotto il profilo della mancata considerazione dell'assenza di opposizione del cliente alla parcella dell'avvocato. Ciò, ad avviso del ricorrente, rendeva intangibile l'importo riconosciuto congruo dal COA. Inoltre, poiché il primo giudice non aveva disconosciuto alcuna voce della parcella, si doveva ritenere che non avesse espresso la valutazione di congruità e che il difensore non avesse materia per specifiche lamentele su detrazioni o tagli operati dal giudice di primo grado. Infine il quarto motivo rinnova l'eccezione di incostituzionalità dell'articolo 18 nella parte in cui prevede il parere di congruità dell'avvocatura dello Stato. 4 Nessuno dei motivi è meritevole di accoglimento. È da escludere in primo luogo la configurabilità della questione di costituzionalità in relazione alla norma sospettata. Essa è manifestamente infondata in riferimento agli articolo 3 e 24 della Costituzione, indicati in rubrica del motivo quali parametri di riferimento. Il tertium comparationis dell'asserita disparità di trattamento non viene esplicitamente indicato in ricorso deve credersi che il ricorrente si dolga del fatto che non sia previsto il parere di congruità espresso dal Consiglio dell'Ordine per la liquidazione delle parcelle che i professionisti intendono presentare ai propri clienti. La differenza di trattamento non contrasta con il principio di eguaglianza, giacche il rimborso delle spese legali sostenute dal dipendente pubblico a cagione del suo ufficio e la determinazione nel regime allora vigente del compenso spettante ai professionisti costituiscono due situazioni molto diverse, alle quali il legislatore può ben dare risposte dissimili, prevedendo procedimenti differenziati per valutare la congruità del compenso. 4.1 Anche sotto il profilo dell'esercizio del diritto di difesa articolo 24 Cost. non è agevole comprendere in qual senso possa essere ritenuto incostituzionale il disposto normativo che limita il rimborso alla misura ritenuta congrua dall'avvocatura. È da ricordare che prima del 1997 mancava una espressa previsione legislativa di rimborsabilità delle spese legali per i dipendenti statali e che sarebbe in palese contrasto con ogni regola di buona amministrazione articolo 97 Cost. e ora articolo 81 addebitare allo Stato una spesa di importo non controllabile. Tale spesa resterebbe soggetta alla determinazione pattizia tra il dipendente pubblico assistito e il suo difensore di fiducia, o anche alla sola verifica ordinistica, limitata alla riconducibilità delle voci alla preesistente tariffa e all'attività svolta su mandato del cliente, senza alcun riguardo per la posizione del terzo obbligato verso quest'ultimo lo Stato . 5 Quest'ultimo inciso introduce l'esame del primo e secondo motivo di ricorso. La ratio dell'articolo 18 del D.L. numero 67 del 1997, convertito in L. numero 135 del 1997 per il quale “le spese legali relative a giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con l'espletamento del servizio o con l'assolvimento di obblighi istituzionali sono rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dall'Avvocatura dello Stato”, sempreché tali giudizi si siano “conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la responsabilità” dei dipendenti medesimi è comunemente ricollegata a un interesse generale, quello di tenere indenni i funzionari pubblici che abbiano agito in nome, per conto e nell'interesse dell'amministrazione, sollevandoli dal timore di eventuali conseguenze giudiziarie connesse all'espletamento delle loro attività istituzionali. In giurisprudenza la disposizione è considerata espressione della regola civilistica generale di cui all'articolo 1720, comma 2, c.c. in tema di rapporti fra mandante e mandatario, secondo la quale il mandatario ha diritto ad esigere dal mandante il risarcimento dei danni subiti a causa dell'incarico, che declina e traduce, a sua volta, il principio generale dell'ordinamento di divieto di locupletatio cum aliena iactura , cfr in questi termini le correnti massime di Cons. Stato 11.4.2007 numero 1681 e inoltre Tar Lig., numero 882/2002 v. Cass., sez. unumero , 13. l. 2006 numero 478 Tar Lazio, Roma, sez. I, 12.2. 2007 numero 1130 , ma anche dal divieto di arricchimento senza causa di cui all'articolo 2041 celi legislatore tuttavia, nel porre a carico dell'erario una spesa aggiuntiva, ha dovuto contemperare le esigenze economiche dei dipendenti coinvolti per ragioni di servizio in un procedimento penale e quelle di limitazione degli oneri posti a carico dell'amministrazione cfr Cass. 9173/13 . Le censure proposte dal ricorrente trascurano il rilievo che inevitabilmente assume il dovere del legislatore di tener conto delle esigenze di finanza pubblica, che impongono di non far carico all'erario di oneri eccedenti quanto è necessario, e al contempo sufficiente, per soddisfare gli interessi generali e i doveri giuridici che presidiano l'istituto del rimborso spese. Queste esigenze erano già implicite nell'articolo 20 del decreto legge che ha introdotto l'istituto del rimborso. 5.1 La pretesa di condizionare l'entità del rimborso all'esclusivo vaglio del consiglio dell'Ordine degli avvocati toglierebbe qualsiasi rilevanza pubblicistica alla spesa e ai relativi doveri di governo di essa. Condurrebbe a un'equiparazione tra il debito del cliente verso il professionista e quello di protezione dei dipendente, che è a carico dello Stato. Tale equiparazione è improponibile, giacché il debito del cliente risponde al soggettivo andamento da lui impresso al rapporto professionale, cioè, esemplificando, all'impostazione difensiva prescelta alla frequenza delle consultazioni che ha richiesto al legale agli scritti difensivi non indispensabili, ma sollecitati e prodotti per sola cautela alle spese vive eventualmente concordate per trasferte e partecipazione a ogni tipo di udienze. Di oneri di tal genere, di natura casuale, in gran parte non sindacabili da parte del COA, non può farsi carico l'amministrazione, sicché prudentemente il legislatore ha previsto che siano vagliati, sotto il profilo della congruità, dall'avvocatura dello Stato. La scelta di questo organo è in funzione del ruolo che esso svolge ai sensi dell'articolo 13 r.d. numero 1611/33, norma che assegna all'avvocatura, tra gli altri, una delicata e insostituibile funzione consultiva, chiamandola a provvedere “alle consultazioni legali richieste dalle Amministrazioni dello Stato”. La posizione di autonomia che l'Avvocatura vanta rispetto alle Amministrazioni esclude ogni illazione del tipo di quelle avanzate in ricorso. Nel momento in cui l'Avvocatura rilascia il parere di congruità non è impegnata nella difesa dello Stato , difesa che assumerà in sede giurisdizionale se e quando verrà attivato da un procedimento giurisdizionale. Il suo parere è quindi scevro da doveri difensivi, ma legato solo all'obbligo di fornire consiglio nel rispetto della legge, somministrando un parere in una fase che è ancora tipicamente amministrativa. 5.2 Nel formulare il parere, l'avvocatura non può avere quale riferimento esclusivo né, come vorrebbe il ricorso, l'interesse del dipendente a risultare sempre e in ogni caso indenne da ogni costo difensivo, né quello dell'amministrazione a minimizzare la spesa, poiché il parere deve essere reso in termini di congruità. Esso è soggetto al vaglio del giudice per il necessario controllo del rispetto dei principi di affidamento, ragionevolezza e tutela effettiva dei diritti riconosciuti dalla Costituzione , come è stato già chiarito da Cass. SL, numero 1418/07, puntualmente richiamata dalla sentenza della Corte di appello di Messina. Ciò significa ovviamente che è lo stesso parere a doversi ispirare a questi criteri nel valutare sia le necessita1 difensive del funzionario, in relazione alle accuse che gli erano state mosse ed ai presupposti, alla rilevanza e all'andamento del giudizio penale, sia la conformità della parcella presentata dal difensore alla tariffa professionale o ai compensi contemplati secondo i vigenti parametri. La discrezionalità tecnica dell'avvocatura va indubbiamente intesa nel senso di dover considerare ogni elemento rilevante. 5.2.1 È questa l'occasione per chiarire e precisare che il riferimento, contenuto nella citata sentenza della sezione lavoro, al limite di quanto strettamente necessario non va inteso pedissequa mente, soprattutto dopo il venir meno del sistema delle tariffe forensi, nel senso cioè di ritenere legittima solo l'applicazione dei minimi tariffari. L'espressione strettamente necessario traduce male, e rischia di tradire, il concetto di contemperamento dell'esigenza di salvaguardia della prudenza nell'erogazione della spesa pubblica e di protezione del dipendente infondatamente accusato, che è però ben spiegata dai riferimenti, che si rinvengono già nella pronuncia suddetta e nei precedenti giurisprudenziali noti, ai principi di affidamento, ragionevolezza e tutela effettiva dei diritti riconosciuti dalla Costituzione. 6 Restano in tal modo vanificate anche le doglianze riferite, sotto profili non sempre chiaramente sviluppati, all'articolo 24 e all'articolo 36 Cost Il terzo motivo, che è ancorato all'invocazione di un peso vincolante del parere del COA, trova risposta anche nei principi testé enunciati la valutazione di congruità dell'Avvocatura, pur potendo tener conto del parere del COA, non deve limitarsi a prenderne atto e tantomeno deve limitarsi a disconoscere singole voci deve esprimersi in modo da fornire all'amministrazione gli strumenti per motivare comprensibilmente la eventuale riduzione rispetto alla pretesa di rimborso. Va aggiunto, per completezza, che nel ricorso non v'è alcuna specifica censura in ordine ai profili di congruità propriamente detti, né contestazione concreta del riferimento al costo strettamente necessario, sicché la sentenza impugnata può essere confermata con il rigetto del ricorso. Resta assorbito il ricorso incidentale ed è dovuta la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo, in relazione al valore della controversia. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso principale. Assorbito il ricorso incidentale. Condanna parte ricorrente alla refusione a controparte delle spese di lite, liquidate in Euro 3.000,00 per compenso, oltre accessori e rimborso delle spese prenotate a debito.