Non si configura il reato di molestie a differenza di quanto si verifica nei c.d. sms inviati su utenze telefoniche mobili , qualora si tratti di messaggi di posta elettronica, privi, in quanto tali, del carattere di invasività.
Nella sentenza numero 44855/2012, la Cassazione Penale si è pronunciata sulla condanna, di secondo grado confermativa di quella di prime cure , nei confronti di un uomo, per i reati di tentata violenza privata articolo 56 e 610 c.p. , accesso abusivo ad un sistema informatico articolo 615- ter c.p. , intercettazione di comunicazioni informatiche e telematiche 617- quater c.p., e molestie articolo 660 c.p. . Il caso. Le condotte erano state attuate dall’imputato, a danno della persona offesa, a seguito dell’interruzione, da parte di quest’ultima, di una relazione sentimentale instaurata con l’imputato durante una crociera su di una nave a bordo della quale egli espletava attività di ufficiale addetto alle comunicazioni radio. Gli ermellini hanno accolto il ricorso soltanto limitatamente alla contravvenzione disciplinata dall’articolo 660 c.p., «dovendosi escludere che il reato di molestie possa essere configurato a differenza di quanto si verifica nei c.d. sms inviati su utenze telefoniche mobili , qualora si tratti di messaggi di posta elettronica, privi, in quanto tali, del carattere di invasività. Pertanto, l’impugnata sentenza deve essere annullata senza rinvio, nel punto concernente il confermato giudizio di colpevolezza in ordine al reato di molestie, limitatamente alla condotta consistita nell’invio di messaggi di posta elettronica perché il fatto non è previsto dalla legge come reato». Fuori dall’applicazione dell’articolo 660 c.p. le molestie via e-mail. La sentenza numero 44855/12, sul punto, ribadisce quanto affermato dalla costante giurisprudenza di legittimità per la quale sotto l’ombrello dell’articolo 660 c.p. ricadono le molestie telefoniche Cass. penumero , sez. I, 11 febbraio-1 marzo 2010, numero 8068 Cass. penumero , sez. I, 17 luglio 2008, numero 29971 , anche tramite s.m.s. Cass. penumero , sez. III, 26 marzo 2004, numero 28680 Id., sez. I, 24 aprile 2006, numero 16215 , ma non quelle attuate mediante posta elettronica. Infatti, l’articolo 660 c.p. limita l’ambito di applicazione delle molestie a quelle realizzate col mezzo del telefono, e quelle via e-mail non sono sufficienti a realizzare la fattispecie incriminatrice della norma de qua , giacché con l’invio di e-mail «non si determina un’intrusione immediata nella sfera privata del destinatario, essendo necessaria la sussistenza di altre circostanze dettate dalla norma luogo pubblico o uso del telefono ». L’esigenza di espandere la tutela del bene protetto della tranquillità della persona non può portare ad equiparare il mezzo della posta elettronica all’utilizzo del telefono, incontrando il limite del «principio di legalità e di tipizzazione delle condotte illecite, sanciti dall’articolo 25, comma 2, Cost. e dall’articolo 1 c.p.» Cass. penumero , sez. I, 17 giugno-30 giugno 2010, numero 24510 . Il principio di legalità a tutela del cittadino. La sentenza numero 44855 del 2012, ha avuto notevole risonanza mediatica laddove ha escluso che le molestie via e-mail non costituiscono reato ex articolo 660 c.p. cfr., la prima pagina de Il Corriere della Sera di sabato 17 novembre 2012, dal titolo La sentenza sms più molesti delle email. Per i giudici i messaggi online non sono invasivi, quelli sul telefonino si . In realtà, come appena visto, la pronuncia in esame si allinea nel solco della sua precedente giurisprudenza in materia e non lascia, come sembra evincersi dai commenti a prima lettura, prive di tutela penale le condotte di molestie attuate con il canale della posta elettronica. Infatti, la sentenza numero 44855/12 ribadisce che il principio di legalità, quale baluardo di garanzia e di libertà del cittadino, si pone come ostacolo insuperabile se non attraverso un’inammissibile interpretazione analogica in malam partem alla punibilità delle molestie via e-mail con la strutturazione della fattispecie incriminatrice descritta dall’articolo 660 c.p Un equivoco da chiarire. L’equivoco che bisogna immediatamente sgombrare è quello per il quale il mancato inquadramento delle molestie attuate con messaggi di posta elettronica nel reato di cui all’articolo 660 c.p. non comporta che le stesse non siano sussumibili in altre figure delittuose, in particolare in quella di stalking . Invece, le molestie via e-mail sono punibili, ricorrendone gli altri elementi costitutivi, nel delitto di atti persecutori vedasi, in tal senso, Cass. penumero , V sez., 15 aprile-24 giugno 2011, numero 25488 Cass. penumero , sez. VI, 16 luglio-30 agosto 2010, numero 32404 , di cui all’articolo 612- bis c.p., che non si è potuta contestare all’imputato solo perché le condotte stalkizzanti sono state realizzate prima del 2009 tra la fine del 2007 e gli inizi del 2008 e l’assenza del delitto di stalking all’epoca del tempus commissi delicti ha portato ad inquadrarle in altre fattispecie incriminatrici, tra le quali, erroneamente quella dell’articolo 660 c.p., inidonea a punire il pedinamento telematico.
Corte di Cassazione, sez. Feriale Penale, sentenza 6 settembre - 16 novembre 2012, numero 44855 Presidente Cassano – Relatore Dubolino Rilevato in fatto - che con l'impugnata sentenza fu confermata la condanna di B.G. alla pena di anni due di reclusione per i reati di tentata violenza privata, molestie, accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico ed intercettazione di comunicazioni informatiche o telematiche articolo 56, 610, 660,615 ter e 617 quater c.p. commessi in danno di A.G. a seguito dell'interruzione, da parte di quest'ultima, di una relazione sentimentale instaurata con esso imputato durante una crociera su di una nave a bordo della quale egli espletava attività di ufficiale addetto alle comunicazioni radio - che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la difesa dell'imputato, denunciando mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, sull'assunto, in sintesi e nell'essenziale, che 1 quanto ai reati di tentata violenza privata e molestie, indebitamente il confermato giudizio di penale responsabilità dell'imputato sarebbe stato basato sulla sola ritenuta attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa costituitasi parte civile , non validamente riscontrate da altri elementi, tra i quali, in particolare, quello, richiamato nell'impugnata sentenza, costituito dalla deposizione dell'ispettore di P.S. M. avendo questi dichiarato di non poter dire a chi appartenessero le voci di una conversazione registrata in un c.d. prodotto dalla persona offesa a corredo della propria denuncia-querela , come pure quello, parimenti richiamato nell'impugnata sentenza, costituito da taluni messaggi prodotti dallo stesso imputato a corredo di memorie presentate al pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari la cui utilizzazione ai fini del giudizio - si sostiene - sarebbe stata da ritenere vietata, non rientrando essi tra i documenti provenienti dall'imputato cui si riferisce l'articolo 237 c.p.p. dichiarazioni, quelle anzidette, che, peraltro, nella parte in cui negavano l'esistenza di rapporti intimi tra la persona offesa e l'imputato successivamente al settembre del 2007, sarebbero state smentite dal contenuto di taluni messaggi quali, in particolare, quelli inviati dalla stessa persona offesa il 29 dicembre 2007 ed il 3 gennaio 2008, di tal che, risultando da essi l'assenza di una definitiva rottura tra essa e l'imputato, sarebbe stato anche da escludere la connotazione della petulanza o del biasimevole motivo nella condotta che, secondo l'accusa, avrebbe dato luogo alla configurabilità del reato di cui all'articolo 660 c.p. 2 quanto, ancora, al reato di molestie, non sarebbe stato in alcun modo preso in considerazione il motivo d'appello con il quale, sulla scorta di un ormai costante orientamento giurisprudenziale, si censurava la ritenuta configurabilità del reato di molestie anche con riguardo alla condotta costituita dall'invio di messaggi di posta elettronica 3 quanto al reato di cui all'articolo 615 ter c.p., la ritenuta ascrivibilità al ricorrente dell'abusivo ingresso nel sistema di posta elettronica della persona offesa, previa forzatura della relativa password , come pure nel sistema informatico TIM, gestore dell'utenza cellulare intestata alla medesima persona offesa, sarebbe basata solo su supposizioni e presunzioni, essenzialmente correlate al fatto che il ricorrente sarebbe stato in possesso delle cognizioni tecniche necessarie a realizzare le suddette operazioni 4 quanto al reato di cui all'articolo 617 quater c.p.p. peraltro erroneamente indicato, nel l'impugnata sentenza, come quello di cui all'articolo 615 ter indebitamente sarebbe stata assunta come prova della sua sussistenza quella emergente dalle dichiarazioni della teste Br. , secondo cui, avendo essa risposto ad una chiamata telefonica dell'imputato diretta alla persona offesa, per dire, su incarico della medesima, sua collega di lavoro in uno studio legale, che la stessa non era sul posto, si sarebbe sentita rispondere che ciò non era possibile, alla stregua di quanto risultava ad esso imputato, avendo egli preso cognizione del contenuto della sua posta elettronica risultanza, questa, a fronte della quale sarebbe stato da considerare che la stessa persona offesa aveva riferito, nel corso del suo esame testimoniale, di aver saputo dalla Br. la quale lo aveva confermato rispondendo ad una domanda della difesa , soltanto che l'imputato le aveva detto di non credere all'assenza della donna dal momento che gli risultava l'avvenuta apertura, da parte sua, della posta diretta allo studio legale il che non implicava affatto la conoscenza del suo contenuto 5 quanto al confermato diniego delle attenuanti generiche, lo stesso sarebbe stato indebitamente ancorato alla rilevata reiterazione dei comportamenti illeciti posti in essere dall'imputato, non considerandosi il carattere necessariamente abituale del reato di cui all'articolo 660 e non considerandosi, inoltre, il contesto dell'intera vicenda, nata da un rapporto di natura sentimentale 6 quanto al pari menti confermato diniego della sospensione condizionale della pena, lo stesso, oltre che viziato per le stesse ragioni indicate al punto che precede, lo sarebbe anche per la mancata considerazione dello stato di incensuratezza dell'imputato come pure del fatto costituito dall'avvenuto esaurimento, fin dall'anno 2009, di ogni residuo rapporto con la persona offesa. Considerato in diritto - che il ricorso appare meritevole di accoglimento soltanto limitatamente al secondo motivo, dovendosi in effetti escludere che il reato di molestie possa essere configurato a differenza di quanto si verifica nel caso dei c.d. s.m.s inviati su utenze telefoniche mobili , qualora si tratti di messaggi di posta elettronica, privi, in quanto tali, del carattere della invasività in tal senso Cass. 1,17-30 giugno 2010 numero 24510, D'Alessandro, RV 247558 Cass. 1,27 settembre - 12 ottobre 2011 numero 36779, Ballarino ed altro, RV 250807 - che, pertanto, l'impugnata sentenza dev'essere annullata senza rinvio, nel punto concernente il confermato giudizio di colpevolezza in ordine al reato di molestie, limitatamente alla condotta consistita nell'invio di messaggi di posta elettronica, perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, disponendosi comunque la trasmissione degli atti ad altra sezione della corte d'appello di Milano per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio - che, quanto al resto, le proposte doglianze appaiono al collegio prive di giuridico fondamento, in quanto a con riguardo al primo motivo, le ragioni in esso indicate per le quali sarebbe da ritenere ingiustificata la credibilità attribuita dalla corte territoriale alle dichiarazioni della persona offesa non sembrano tener conto del noto e consolidato principio giurisprudenziale secondo cui le dichiarazioni della persona offesa, purché sottoposte ad adeguato vaglio critico, possono, anche da sole, costituire prova sufficiente a sostenere il giudizio di colpevolezza dell'imputato, tanto più quando quest'ultimo come si verifica nel caso di specie, stando alle non contestate affermazioni contenute nell'impugnata sentenza , non abbia neppure contrapposto ad esse una propria diversa versione dei fatti, avendo scelto di rimanere contumace e ciò a prescindere dalla pur rilevabile infondatezza delle suddette ragioni, atteso che - a/1 il teste M. , secondo quanto si legge nel ricorso, non è stato in grado di confermare, ma neppure ha smentito che le voci dei protagonisti delle conversazioni registrate dalla persona offesa fossero quelle di quest'ultima e dell'imputato - a/2 la dedotta violazione dell’articolo 237 c.p.p. appare del tutto insussistente, non vedendosi né spiegandosi nel ricorso per quale ragione, data pure per ammessa secondo quando sostenuto nel ricorso la non annoverabilità della memoria a suo tempo prodotta dall'imputato al pubblico ministero tra i documenti provenienti dall'imputato, cui fa riferimento il citato articolo 237, dovesse anche escludersi che rientrassero invece in detta categoria i messaggi che a detta memoria erano stati allegati - a/3 il fatto che, secondo quanto affermato nel ricorso, quelli scambiati tra l'imputato e la persona offesa il 29 dicembre 2007 ed il 3 gennaio 2008 fossero messaggi piuttosto intimi e che in uno di essi si facesse riferimento ad un ultimo rapporto sessuale da cui sarebbe derivata alla persona offesa una malattia, per un verso non vale certamente a dimostrare che quell’”ultimo rapporto fosse avvenuto sicuramente in data successiva alla presunta interruzione della relazione sentimentale , come del tutto apoditticamente si afferma nel ricorso per altro verso non esclude affatto la configurabilità del contestato reato di molestie, non solo perché la relativa condotta risulta protratta, secondo il testuale tenore del capo d'imputazione, fino ad epoca largamente successiva al 3 gennaio 2008, e cioè fino al 15 ottobre 2008, ma anche perché, come opportunamente e correttamente osservato nell'impugnata sentenza, una condotta come quella attribuita all'imputato ben poteva risultare molesta pur se temporalmente collocata in una fase in cui esso imputato e la persona offesa ancora intrattenevano rapporti di amicizia e frequentazione,seppure sporadica b con riguardo al terzo motivo, il fatto che nell'impugnata sentenza si indichi, ad un certo punto, come presumibile che le condotte ritenute integratrici del reato di cui all’articolo 615 ter fossero state poste in essere dall'imputato, come pure il fatto che, a conferma della fondatezza di tale presunzione, si sia fatto riferimento al non contestato possesso, da parte del medesimo imputato, delle necessarie cognizioni tecniche, non possono, di per sé, costituire motivi di censura della decisione adottata, sul punto in questione, dalla corte territoriale, trattandosi di affermazioni da leggere nel contesto di una ben più ampia motivazione, nella quale si pone in luce come le suddette condotte non potessero ragionevolmente attribuirsi ad altri che all'imputato così come, del resto, dato per certo dalla persona offesa , attesa la loro evidente inquadrabilità come si legge a pag. 18 dell'impugnata sentenza , nell'ambito di una programmata e continuativa attività molesta e persecutoria contro la G. stessa, allora intrapresa concetto, questo, ribadito alla successiva pag. 19, ove, con specifico riferimento all'intromissione nel sistema telematico TIM, si afferma che l'episodio venne posto in essere nell'ambito di una sequela “logica” di analoghi comportamenti illeciti realizzati dall'imputato medesimo c con riguardo al quarto motivo, il fatto che, secondo quanto si legge nel ricorso, la persona offesa avesse riferito, in sede di esame testimoniale, di aver appreso dalla Br. che l'imputato, parlando con costei, aveva ammesso di aver solo aperto la posta dello studio e che la stessa Br. avesse riposto si alla domanda della difesa se l'imputato avesse appunto fatto una tale affermazione, non implica affatto, in assenza di altre e più penetranti analisi critiche, che debba ritenersi inficiato quanto si legge a pag. 12 dell'impugnata sentenza circa quello che sarebbe stato il più ampio contenuto della deposizione della Br. , secondo cui, parlando con lei, l'imputato aveva, sia pur implicitamente, ammesso di essersi introdotto abusivamente nel sistema di posta elettronica della A. e di aver letto in tale occasione i messaggi e-mail della p.o. stessa tanto che èssa teste aveva anche, a suo direi, palesato all'imputato la illegalità del comportamento da questi tenuto né può dirsi che quanto rappresentato nel ricorso implichi la oggettiva inattendibilità delle, suindicate affermazioni della teste, nulla impedendo di pensare ammesso e non concesso che la persona offesa, nella propria deposizione testimoniale, avesse riferito di aver saputo dalla Br. solo che l'imputato aveva ammesso di aver aperto la posta dello studio legale , che essa teste avesse trascurato o non avesse ritenuto opportuno rendere noto alla A. tutto ciò che ella aveva sentito dire dall’imputato nel corso della precedente conversazione telefonica e ciò a prescindere dall'ulteriore, non trascurabile, elemento indiziario a carico dello stesso imputato indicalo nella sentenza ma del tutto ignorato nel ricorso , costituito dal fatto che egli stesso, secondo quanto riferito dalla persona offesa, aveva avvertito quest'ultima di poter prendere visione delle sue comunicazioni informatiche riservate e di potere in tal modo tenerla sotto costante controllo e sorveglianza d con riguardo al quinto ed al sesto motivo di cui appare possibile la trattazione unitaria, attesa la sostanziale identità o complementarietà della ragioni di doglianza esposte nell'uno e nell'altro , pur non potendosi negare che sussistessero, in astratto, le condizioni nelle quali si sarebbero potute concedere tanto le attenuanti generiche quanto la sospensione condizionale della pena, la diversa decisione adottata dai giudici di merito non può certo ritenersi priva di adeguata giustificazione, avendo essi legittimamente ritenuto di dover attribuire valenza ostativa ad elementi quali la non contestata reiterazione, per un non breve periodo di tempo, delle condotte illecite poste in essere in danno della persona offesa non certo limitate solo a quelle rubricate sotto la previsione dell'articolo 660 c.p., cui specificamente si riferisce la critica espressa, al riguardo, nell'atto di gravame , come pure le peculiari caratteristiche di dette condotte, non illogicamente assunte come indice della ritenuta incapacità del soggetto a contenere impulsi irrazionali e sentimenti di ossessiva gelosia e possessività , sì da non consentire una tranquillizzante prognosi di futura astensione del medesimo soggetto dalla commissione di reati della stessa indole vantazioni, i queste, certamente connotate da un ampio margine di opinabilità, ma non per questo suscettibili di censura in questa sede, proprio perché attinenti a materie nelle quali gli spazi entro i quali può esercitarsi il potere discrezionale del giudice di merito sono particolarmente ampi, con correlativa riduzione al minimo di quelli lasciati al giudice di legittimità. P.Q.M. La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata in ordine al reato di cui al capo C limitatamente alle condotte consistite nell'invio di messaggi di posta elettronica perché il fatto non è previsto dalla legge come reato. Dispone la trasmissione degli atti ad altra sezione della corte d'appello di Milano per la rideterminazione del trattamento sanzionatorie. Rigetta nel resto il ricorso. Riserva al definitivo la liquidazione delle spese sostenute dalla parte civile anche nel presente giudizio.