30 giorni per notificare l’appello contro la sentenza di primo grado, anche se presentato con ricorso

Il provvedimento che decide sull’interdizione assume la veste di sentenza e pertanto l’impugnazione essere eseguita con citazione, notificata nel termine dei trenta giorni dalla notifica della sentenza.

Questo è il principio stabilito dalla Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza numero 21013 depositata il 13 settembre 2013, chiamata ad esprimersi sulla questione relativa ad una sentenza di Corte d’Appello che aveva dichiarato inammissibile il ricorso in appello contro una pronuncia di interdizione, poiché presentato con ricorso e non con citazione, e comunque perché non notificato nei trenta giorni dalla notifica della sentenza di primo grado. Il caso. Con ricorso ex articolo 712 c.p.c., A.F. e M.F. avevano chiesto che venisse dichiarata l’interdizione del fratello maggiore V.F., già sottoposto ad amministrazione di sostegno, sostenendo che le sue condizioni si fossero aggravate, tanto che la sua scelta di contrarre matrimonio con C.F. non fosse stata consapevole delle sue conseguenze. Si costituivano nel giudizio C.F. e A.F., fratello e amministratore di sostegno di V.F., il quale chiedeva la sospensione delle pubblicazioni del matrimonio, che però veniva comunque celebrato. Con sentenza del 3 giugno – 25 giugno 2010, il Tribunale di Vicenza dichiarava l’interdizione di V.F Contro tale decisione, proponeva appello C.F., e aderiva alla richiesta di riforma della sentenza di primo grado il tutore di V.F., ritenendo eccessiva, rispetto alle condizioni di salute del suddetto, la misura dell’interdizione applicata dal Tribunale. La Corte d’appello di Venezia, con sentenza depositata il 19 aprile 2012, dichiarava inammissibile l’appello, per decorrenza del termine di impugnazione di trenta giorni dalla data di notifica della sentenza di primo grado. Essa ha ritenuto, infatti, che l’appello, erroneamente introdotto con ricorso anziché con atto di citazione, avrebbe comunque dovuto essere notificato alle controparti entro il suddetto termine, considerato perentorio. Contro tale decisione, ha proposto ricorso, basato su quattro motivi C.F., e si sono difesi con controricorso A.F. e M.F. La ricorrente sostiene, in pratica, che la costituzione dei convenuti avrebbe sanato l’eventuale tardività dell’appello, e che comunque la Corte d’appello avrebbe dovuto concedere termine per rinnovazione dell’atto introduttivo. L’appello contro la sentenza di interdizione va notificato, anche se introdotto erroneamente con ricorso, nel termine perentorio di 30 giorni. La Cassazione ha ritenuto infondato il ricorso e di conseguenza, l’ha rigettato. Per la Corte, infatti, il processo di interdizione e di inabilitazione ha per oggetto un accertamento della capacità di agire che incide sullo status della persona e si conclude con una pronuncia qualificata espressamente come sentenza, suscettibile di giudicato. Per la Cassazione detta sentenza, in mancanza di diversa indicazione normativa espressa, che in questo caso non esiste, doveva dunque essere proposto con atto di citazione, perché le regole speciali dettate per il giudizio di primo grado non possono ritenersi automaticamente estensibili anche a quello d’appello, come da giurisprudenza della Suprema Corte stessa numero 11305 del 30 dicembre 1994 . L’impugnazione avrebbe quindi dovuto essere proposta con atto di citazione da notificarsi nel termine di trenta giorni dalla notifica della sentenza del Tribunale, pena la decadenza insanabile dall’impugnazione. In ogni caso, ove per il principio di conservazione degli atti l’appello sia stato erroneamente avviato con ricorso, esso deve essere notificato improrogabilmente nel suddetto termine. Per stabilirne la tempestività, occorre avere riguardo quindi non alla data di deposito, ma alla data in cui lo stesso risulta notificato alla controparte, unitamente al provvedimento di fissazione dell’udienza. Nel caso che ci occupa, l’incontestato decorso del termine di impugnazione, in assenza di notificazione dell’appello alle controparti, ha comportato il passaggio in giudicato della sentenza, e la corretta dichiarazione di inammissibilità dell’appello. La costituzione dei convenuti non sana la nullità. Per la Cassazione, non vi è dubbio che i termini di impugnazione ex articolo 325 c.p.c. siano perentori, e vadano rispettati a pena della decadenza dell’impugnazione, come è avvenuto in questo caso. Nessuna rilevanza ha, per la Corte, la costituzione dei convenuti in appello, dato che la sentenza di primo grado si deve considerare come ormai passata in giudicato. Di conseguenza, in applicazione di detti principi, ha rigettato il ricorso, condannando la ricorrente al pagamento delle spese legali.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 1, sentenza 16 aprile - 13 settembre 2013, numero 21013 Presidente Luccioli – Relatore Bisogni Fatto e diritto Rilevato che 1. Con ricorso ex articolo 712 c.p.c., del 26 marzo 2010 al Tribunale di V A. e Ma Fe. chiedevano venisse dichiarata l'interdizione del fratello maggiore Fe.Vi. ritenendo che la vigente misura dell'amministrazione di sostegno non fosse più sufficiente per l'aggravarsi delle sue condizioni di salute e capacità cognitive che avevano indotto il fratello a manifestare l'intenzione di contrarre matrimonio civile con F.C. senza avere una vera consapevolezza della scelta che andava a compiere. 2. Si costituiva Al Fe. , nella sua qualità di amministratore di sostegno provvisorio, e interveniva in causa C F. . Nel corso del giudizio Al Fe. chiedeva al Procuratore della Repubblica di Vicenza di sospendere le pubblicazioni del matrimonio fra Vi Fe. e F.C. , matrimonio che veniva invece celebrato il OMISSIS . 3. Con sentenza del 3 giugno - 25 giugno 2010 il Tribunale di Vicenza dichiarava l'interdizione di Vi Fe. . Proponeva appello la F. e alla richiesta di riforma della decisione di primo grado aderiva il tutore che riteneva sproporzionata alle condizioni di salute di Vi Fe. la dichiarazione di interdizione. 4. La Corte di appello di Venezia ha dichiarato inammissibile l'appello per decorrenza del termine di impugnazione di trenta giorni dalla data di notifica della sentenza di primo grado. Ha ritenuto infatti che l'appello, erroneamente proposto con ricorso, per poter evitare la formazione del giudicato avrebbe dovuto comunque essere notificato entro il predetto termine di trenta giorni. 5. Ricorre per cassazione C F. affidandosi a quattro motivi di ricorso. 6. Si difendono con controricorso Fe.Al. e Ma. . 7. Depositano memorie difensive C F. e Fe.Ma. . 8. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli articolo 156, 163, 164, 342, 359 c.p.c La ricorrente ritiene che la Corte di appello avrebbe dovuto considerare sanata dalla costituzione di tutti i controinteressati, nei termini assegnati dalla Corte di appello con l'ordinanza di fissazione dell'udienza di comparizione, i vizi della vocatio in jus . 9. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell'articolo 164 quinto e ultimo comma c.p.c La ricorrente ritiene che la Corte di appello avrebbe dovuto assegnare il termine previsto dal quinto comma dell'articolo 164 per la rinnovazione dell'atto introduttivo o, in caso di costituzione del convenuto, come avvenuto nella specie, un termine per l'integrazione della domanda e una nuova udienza di trattazione della causa. 10. Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli articolo 325, 326, 327 e 719 c.p.c La ricorrente contesta la affermazione della Corte di appello per cui la proposizione del gravame con ricorso avrebbe potuto impedire il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado solo ove fosse stato anche notificato entro trenta giorni dalla notifica della sentenza stessa. La ricorrente invoca la decisione delle Sezioni Unite di questa Corte sentenza numero 5629 del 19 giugno 1996 secondo cui il termine breve per appellare è rispettato con il tempestivo deposito in cancelleria del ricorso entro trenta giorni dalla notifica della sentenza. 11. Con il quarto motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione della legge numero 6 del 9 gennaio 2004 e degli articoli 404, 414, 418 comma 3 c.c La ricorrente lamenta l'omessa delibazione da parte della Corte di appello della opportunità di far luogo all'amministrazione di sostegno anziché alla interdizione disattendendo così la ratio della legge numero 6 del 2004 che ha profondamente rimodellato il sistema di protezione delle persone prive di autonomia di cui agli articolo 404 e seguenti c.c Ritenuto che 12. Vanno esaminati preliminarmente e unitariamente, per la loro stretta connessione logico-giuridica, i primi tre motivi di ricorso. 13.Essi sono infondati per le seguenti ragioni. La giurisprudenza di questa Corte è da tempo orientata nel ritenere che il processo di interdizione o inabilitazione ha per oggetto un accertamento della capacità di agire che incide sullo status della persona e si conclude con una pronuncia qualificata espressamente come sentenza, suscettibile di giudicato. Le peculiarità di detto procedimento, determinate dalla coesistenza di diritti soggettivi privati e di profili pubblicistici, dalla natura e non disponibilità degli interessi coinvolti, e specificamente segnate dalla posizione dei soggetti legittimati a presentare il ricorso, i quali esercitano un potere di azione, ma non agiscono a tutela di un proprio diritto soggettivo articolo 417 cod. civ. , dalla previsione che essi possono impugnare la sentenza, pur se non abbiano partecipato al giudizio articolo 718 cod. proc. civ. , e dagli ampi poteri inquisitori del giudice articolo 419 cod. civ. e articolo 714 cod. proc. civ. , non escludono che esso si configuri, pur con tali importanti deviazioni rispetto al rito ordinario, come un procedimento contenzioso speciale, ritenuto dal legislatore come il più idoneo ad offrire garanzie a tutela dell'interesse dell'interdicendo e dell'inabilitando e ad assicurare una più penetrante ricerca della verità, e che quindi esso resti disciplinato, per quanto non previsto dalle regole speciali, dalle regole del processo contenzioso ordinario, ove non incompatibili cfr. fra le altre Cass. civ., sezione I, numero 17256 del 24 agosto 2005 . 14. Il giudizio di appello avverso la sentenza del Tribunale di Vicenza dichiarativa dell'interdizione di Fe.Vi. doveva dunque essere proposto con atto di citazione perché le regole speciali dettate per il giudizio di primo grado non possono ritenersi automaticamente estensibili anche a quello d'appello, in mancanza di una espressa previsione normativa in tal senso cfr. Cass. civ., sezione I, numero 11305 del 30 dicembre 1994 secondo cui l'impugnazione della sentenza che ha pronunciato l'interdizione o l'inabilitazione, in mancanza di diverse indicazioni legislative, deve essere proposta, non già con ricorso, bensì, secondo il principio generale stabilito dall'articolo 342 cod. proc. civ., con citazione da notificare alle persone indicate dall'articolo 719 cod. proc. civ. nel termine di trenta giorni dalla notifica della sentenza del tribunale . 15. Non può essere messo in discussione che i termini di impugnazione di cui agli articolo 325 e seguenti c.p.c. siano perentori e che la loro inosservanza comporti la decadenza dall'impugnazione. È quindi del tutto improprio parlare di regolarità della vocatio in jus , di raggiungimento dello scopo dell'atto, di efficacia sanante della costituzione degli appellati atteso che nei procedimenti nei quali l'appello, in base al principio di cui all'articolo 342 cod. proc. civ., va proposto con citazione, ai fini della vocatio in ius , vale la regola della conoscenza dell'atto da parte del destinatario. Ne consegue che se, erroneamente, l'impugnazione, anziché con citazione, venga proposta con ricorso, per stabilirne la tempestività occorre avere riguardo non alla data di deposito di quest'ultimo, ma alla data in cui lo stesso risulta notificato alla controparte unitamente al provvedimento del giudice di fissazione dell'udienza Cass. civ. III sezione numero 4498 del 25 febbraio 2009 e, nella specie, l'incontestato decorso del termine di impugnazione, in assenza di notificazione del gravame alle controparti, ha comportato il passaggio in giudicato della sentenza. 16. Il rigetto dei primi tre motivi di ricorso comporta l'assorbimento del quarto mentre va respinta la tesi sostenuta in tale motivo dalla ricorrente secondo cui la ricognizione della inutilità del deposito del ricorso nel termine di trenta giorni e la conseguente pronuncia di decadenza dall'impugnazione confliggerebbero con l'assetto, la struttura e le finalità proprie dell'attuale sistema di protezione delle persone prive di autonomia di cui agli articolo 404 e segg. c.c., come rimodellato dalla legge numero 6 del 2004. La normativa introdotta nel 2004 mira ad articolare maggiormente la tutela delle persone prive di autonomia introducendo l'istituto dell'amministratore di sostegno, cui attribuisce un ruolo centrale e un impatto meno invasivo nella vita della persona. Ciò non significa evidentemente che al prevalere nel giudizio della opzione legislativa per l'amministrazione di sostegno deve essere informata anche l'interpretazione di norme processuali che trovano la loro coerenza nel sistema dei principi generali del processo civile quale deve ritenersi quello della perentorietà dei termini di impugnazione e della certezza dei presupposti di formazione del giudicato. 17. Al rigetto del ricorso consegue la condanna alle spese del giudizio di cassazione. 18. Non può essere accolta infine la richiesta di cancellazione della frase contenuta a pagina 20 del controricorso di Fe.Ma. trattandosi di una espressione strumentale alla difesa, svolta in merito alla rappresentazione della opportunità o meno del ricorso alla tutela interdittale, una frase che, se pure formulata con un tono non elegante e sicuramente non apprezzabile, non sembra comunque contrastante con le strategie dialettiche dell'ambiente processuale e, in generale, con le esigenze della funzione difensiva. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione. liquidate quanto a Fe.Ma. in 3.000 Euro oltre 200 Euro per esborsi e accessori di legge e quanto ad Al Fe. in 2.500 Euro oltre 200 Euro per esborsi e accessori di legge. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'articolo 52 del decreto legislativo numero 196/2003.