E’ consentito al giudice dell'esecuzione revocare, ai sensi dell'articolo 673 c.p.p., una sentenza di condanna pronunciata dopo l'entrata in vigore di una legge che ha abrogato la fattispecie incriminatrice, allorché detta legge non è stata oggetto di esame da parte del giudice della cognizione? Lo diranno le Sezioni Unite Penali.
Con l'ordinanza numero 24399/15, depositata l'8 giugno, la I Sezione Penale ha promosso la soluzione del contrasto inerente i rapporti tra l'istituto disciplinato dall'articolo 673 c.p.p. e l'errore del giudice di cognizione sull'applicazione della legge penale vigente. Viene demandata una questione di particolare complessità, poiché caratterizzata dal sovrapporsi di piani sostanziali e processuali, afferenti la sede idonea a decretare l'indebita applicazione di un precetto oggetto di parziale o totale abrogazione. Interessano, altresì, le sue non sottovalutabili ricadute operative, non solo – e non tanto – per lo specifico caso di novella legislativa, quanto, piuttosto, per la definizione del ruolo del giudice dell'esecuzione, la cui estensione è stata spesso sollecitata negli ultimi tempi. Il caso. Il processo di legittimità riguarda l'ordinanza del Tribunale di Bergamo che rigettava la richiesta di revoca della sentenza di applicazione della pena nei confronti di una cittadina extracomunitaria, irregolarmente soggiornante in Italia, per svariati reati previsti dal T.U. immigrazione, ivi compreso quello punito dall'articolo 6, comma 3, già abrogato dalla l. numero 94/09. La decisione riposava sul fatto che tale interpretazione non avrebbe costituito un vero e proprio errore, essendo stata ripudiata solo successivamente, soccombendo nell'esegesi della disposizione condotta dalle Sezioni Unite. La norma coinvolta, è utile ricordarlo, sanzionava la mancata ingiustificata esibizione, agli ufficiali ed agenti di pubblica sicurezza che ne facciano richiesta nell'esercizio legittimo delle proprie funzioni, di un valido documento d’identificazione o attestante la regolare presenza nel territorio dello Stato, ora non più contestabile – diversamente dalle altre fattispecie previste dalla disciplina speciale – a chi versi in condizione di irregolarità. Il Procuratore della Repubblica di Bergamo – che aveva richiesto la revoca in prima istanza – proponeva ricorso, nell'interesse della condannata, lamentando violazione di legge penale e processuale, in relazione al c.d. articolo 2 c.p. e 673 c.p.p Il quesito. La Corte – su parere difforme del Procuratore generale, che aveva insistito per l'inammissibilità – rimette la decisione alle Sezioni Unite, chiedendo che si pronuncino sulla possibilità di rilevare in executivis l'omesso esame, in sede di cognizione, della legge origine dell'effetto abrogativo. Più in dettaglio, il quesito risulta formulato nei seguenti termini «se è consentito al giudice dell'esecuzione revocare, ai sensi dell'articolo 673 c.p.p., una sentenza di condanna pronunciata dopo l'entrata in vigore di una legge che ha abrogato la fattispecie incriminatrice, allorché detta legge non è stata oggetto di esame da parte del giudice della cognizione». Giova evidenziare sin d'ora come l'attenzione dei Giudici s'appunti sulla laconica motivazione del provvedimento impugnato – il Tribunale orobico si limita a scrivere «non avendo ottemperato all'ordine di esibizione del passaporto o di altro documento identificativo» – dalla cui lettura emerge come non sia stata in alcun modo considerata la modifica di legge. L' iter motivo descrive ritualmente gli indirizzi ermeneutici in conflitto, citando i precedenti di riferimento dei diversi filoni ed arricchendo l'analisi con le posizioni espresse dalla dottrina e dalla Consulta. Il primo orientamento. Una prima corrente di pensiero – per la quale militano pronunce rese tra il 2013 ed il 2014 – sostiene che, essendo intervenuta l'abrogazione della norma prima della decisione, si verterebbe in ipotesi di errore di giudizio, rimediabile esclusivamente con gli ordinari mezzi di impugnazione, con conseguente inapplicabilità della revoca in sede esecutiva, preordinata a sanare abrogazioni sopravvenute della norma incriminatrice. Sul punto, l'Estensore soggiunge come l'eventuale mutamento di indirizzo giurisprudenziale sulla portata abrogativa di un dato fenomeno normativo non possa, di per sé, costituire jus superveniens , neppure quando espresso dalle Sezioni Unite richiamando, Cass., Sez. I Penumero , 11.7.2006, numero 27121, Aliseo, RV. 235265 . Il secondo indirizzo. Secondo la tesi opposta, invece, la revoca dovrebbe essere disposta anche nei confronti di condanne erroneamente pronunciate dopo l'intervento abrogativo, in ragione della mancata differenziazione delle due ipotesi da parte delle disposizioni coinvolte. Due i gruppi di pronunce individuabili in parte qua il primo, più recente, che sottolinea come si tratti di sentenze riguardanti reati commessi prima della novella legislativa, seppur giudicati dopo l'abolizione il secondo, relativamente più risalente, che non attribuisce alcun rilievo al tempus commissi delicti , concentrandosi unicamente sul provvedimento. La posizione della Sezione rimettente. Svolto il riepilogo delle due tendenze in conflitto, il Collegio esprime – timidamente, per vero – il proprio punto di vista, muovendo dagli spunti forniti dalla dottrina e, non di meno, da una più accorta lettura della giurisprudenza costituzionale. Segnala, infatti, che il giudizio a quo si riferisce ad un caso non già di successione nel tempo di legge penale, ma di successione di «diverse interpretazioni giurisprudenziali della medesima norma di legge» Corte Costituzionale numero 230/10 . Diverrebbe risolutiva, dunque, la verifica d'esistenza di un effettivo errore interpretativo e/o valutativo del giudice di cognizione, ovvero di “semplice” vizio di percezione, legato all'omessa constatazione dell'abrogazione del crimine contestato. Nel primo caso, si tratterebbe di sindacato esorbitante la competenza esecutiva nel secondo, troverebbe applicazione l'istituto processuale della revoca. Conclusioni. L'ordinanza in commento sviluppa linearmente un tema articolato, esponendo le posizioni in campo ed offrendo utili spunti di riflessione, che comprendono anche una poco accentuata possibile soluzione al contrasto. Si connota per la completezza della ricostruzione fornita, pur non propendendo troppo esplicitamente legittimamente per una specifica ipotesi, che peraltro, ad avviso di chi scrive, sembrerebbe giuridicamente fondata restando coerente con il sistema processuale e pragmaticamente ragionevole limitando disparità di trattamento . Rimane da capire per quale tra i due indirizzi in campo propenderanno le Sezioni Unite Penali, con una decisione che potrebbe alimentare il novero degli arresti tendenti ad aumentare, in via ermeneutica, le prerogative del giudice dell'esecuzione.
Corte di Cassazione, sez. I Penale, ordinanza 27 marzo – 8 giugno 2015, numero 24399 Presidente Cortese – Relatore Di Tomassi Ritenuto in fatto 1. Con l'ordinanza in epigrafe il Tribunale di Bergamo ha respinto la richiesta avanzata dal Pubblico ministero, volta alla revoca della sentenza emessa, ex articolo 444 e 448 cod. proc. penumero , il 9 giugno 2010 nei confronti di M.A. , cittadina extracomunitaria irregolarmente soggiornante, limitatamente alla applicazione di pena per il reato di cui all'articolo 6, comma 3, d.lgs. numero 286 del 1998. Osservava, a ragione, che la sentenza era stata emessa dopo che la norma incriminatrice era stata già modificata dalla legge numero 94 del 2009 ed era frutto di una interpretazione solo successivamente ritenuta erronea da Sez. U, numero 16453 del 2011, non emendabile perciò dal giudice dell'esecuzione. 2. Ha proposto ricorso il Pubblico ministero, che nell'interesse della condannata chiede l'annullamento dell'ordinanza impugnata denunziando violazione di legge. Osserva che la modifica legislativa del 2009 aveva prodotto una abrogazione parziale della fattispecie incriminatrice e che andava perciò fatta applicazione degli articolo 2 cod. penumero e 673 cod. proc. penumero anche al fine di evitare evidenti disparità di trattamento. 3. Con memoria depositata nell'interesse di M.A. , il difensore di ufficio di questa, avv. Dario Paolucci, sostiene il ricorso del Pubblico ministero. Considerato in diritto 1. Il ricorso pone la questione della revocabilità, in sede di esecuzione, della sentenza di condanna o equiparata pronunziata nei confronti di cittadino extracomunitario, non regolarmente soggiornante, per il reato di cui all'articolo 6, comma 3, d.lgs. numero 286 del 1998, nonostante la già intervenuta abolitio criminis della fattispecie incriminatrice, per effetto dell'articolo 1, comma 22, lett. h , legge 15 luglio 2009, numero 94, limitatamente alle condotte poste in essere, appunto, da stranieri in posizione irregolare. Nel caso in esame la contestazione aveva ad oggetto, unitamente ad altri reati, la contravvenzione di cui all'articolo 6, comma 3, d.lgs. numero 286 del 1998 commessa il 28 maggio 2010 e la sentenza di applicazione della pena, divenuta irrevocabile in data 24 settembre 2010, è stata pronunciata in data 9 giugno 2010. Sia il fatto sia la sentenza erano dunque successivi alla legge che ha abrogato la fattispecie in contestazione. Ciò nonostante, la sentenza si limitava ad affermare, in motivazione, che l'imputata andava dichiarata responsabile anche del reato di cui si discute “non avendo ottemperato all'ordine di esibizione del passaporto o di altro documento identificativo”, applicando per esso, in continuazione, la pena di tre mesi e dieci giorni di reclusione. Si tratta dunque non di ipotesi in cui il giudice della cognizione ha considerato e poi escluso un fenomeno di successione di leggi produttivo di abolitio parziale , ma di mera omessa rilevazione della sopravvenuta disposizione modificatrice della fattispecie. 2. Occorre tuttavia ricordare che l'aspetto di rilievo che caratterizza l’ abolitio criminis in esame è che, a fronte di un contrasto giurisprudenziale sulla valenza dell'intervento legislativo che nel 2009 aveva modificato la fattispecie incriminatrice, solo con sentenza delle Sez. U, numero 16453 del 24/02/2011, Alacev, Rv. 249546, è stato definitivamente riconosciuto che la modifica dell'articolo 6, comma 3, d.lgs. numero 286 del 1998, recata dalla citata legge numero 94 del 2009, ha comportato una abolitio criminis della preesistente fattispecie per la parte relativa agli stranieri in posizione irregolare. Solo da tale momento la giurisprudenza di merito e di legittimità risulta assolutamente consolidata nel senso che il reato di inottemperanza all'ordine di esibizione del passaporto o di altro documento di identificazione e del permesso di soggiorno o dell'attestazione della regolare presenza nel territorio dello Stato è configurabile soltanto nei confronti degli stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio dello Stato. In relazione agli effetti della abolitio sulle sentenze divenute irrevocabili dopo la legge abrogatrice, si è però prodotto un ulteriore contrasto. 3. Secondo un primo orientamento, nei casi in cui l'abrogazione della norma incriminatrice interviene prima della decisione del giudice, l'istituto della revoca della sentenza ex articolo 673 cod. proc. penumero non sarebbe mai applicabile, perché si verterebbe in ipotesi di errore del giudice, cui non é possibile rimediare in sede esecutiva. Si esprimono in questo senso, con riguardo alla fattispecie sostanziale in esame Sez. 1, numero 34154 del 04/07/2014, Torpano, non massimata che, richiamando Sez. 1, numero 27121 del 2006 e Sez. 1, numero 31311 del 2013, afferma “se [ ], nonostante l'intervenuta innovazione legislativa, il giudice da un'errata interpretazione alla norma [ ], all'errore può porsi rimedio solo attraverso gli ordinari mezzi di impugnazione previsti per la fase della cognizione. Dopo il passaggio in giudicato della sentenza, non si può in sede esecutiva rimediare all'errore del giudice con l'istituto della revoca del provvedimento di cui all'articolo 673 c.p.p., in quanto detto istituto si applica solo se l'abrogazione della norma incriminatrice o la dichiarazione di incostituzionalità della stessa interviene dopo la decisione del giudice” Sez. 1, numero 34153 del 04/07/2014, Angelo Gomes, non massimata identica alla precedente Sez. 1, Sentenza numero 13411 del 21/02/2013, Arpaia, Rv. 255364 secondo cui l'articolo 673 cod. proc. penumero opera soltanto nel caso in cui, a seguito di innovazione legislativa o di declaratoria di incostituzionalità, si verifichi un'ipotesi di abrogazione esplicita o implicita di una norma, non potendo, invece, la predetta disposizione trovare applicazione, quando l'eventuale abrogazione implicita derivi da un mutamento di indirizzo giurisprudenziale, che non può costituire ius superveniens neppure a seguito di pronuncia delle sezioni unite della Corte di cassazione Sez. 1, numero 40296 del 22/05/2013, Mbaye, non massimata secondo cui, in situazione quale quella in esame, di fatto commesso dopo l'entrata in vigore della nuova formulazione incriminatrice, ricorre “l'errata applicazione da parte del giudice della cognizione di una norma preesistente al fatto da giudicare, che è stato sanzionato in dissonanza con l'interpretazione del d.lgs. 25 luglio 1998, numero 286, articolo 6, comma 3, autorevolmente sostenuta, dopo alcune pronunce discordanti delle sezioni semplici, dalle sezioni unite di questa Corte nella più recente sentenza numero 16453 del 24/02/2011, imputato Alacev, [ ] integra un errore di giudizio rimediabile con gli ordinari mezzi di impugnazione [ ] ma esula dai casi per cui è ammessa la revoca della sentenza per abolizione del reato a norma dell'articolo 673 cp.p ” , che espressamente si rifà, per altro, a Corte cost. numero 230 del 2012, ricordando che con detta sentenza era stato per l'appunto dichiarato non fondato il dubbio di costituzionalità dell'articolo 673 cod. proc. penumero , sollevato nell'ambito di giudizio concernente l'articolo 6, comma 3, d.lgs. numero 286 del 1998, “nella parte in cui non include tra le ipotesi di revoca della sentenza di condanna anche il mutamento giurisprudenziale determinato da una decisione delle Sezioni unite della Corte di cassazione che escluda la rilevanza penale del fatto giudicato”. Avevano, d'altronde, già affermato analogo principio, ponendo in particolare l'accento sul fatto che l'eventuale mutamento di indirizzo giurisprudenziale sulla portata abrogativa di un dato fenomeno normativo non può di per sé costituire ius superveniens , neppure se consacrato da pronuncia delle Sezioni Unite, tra le altre Sez. 1, numero 27121 del 11/07/2006, Aliseo, Rv. 235265 Sez. 1, numero 27858 del 13/07/2006, La Cara, Rv. 234978 entrambe in tema di possibile concorso del reato di ricettazione di supporti audiovisivi non conformi alle prescrizioni legali con la violazione amministrativa prevista dall'articolo 16 l. numero 248 del 2000, oggetto di contrasto risolta da Sez. U, numero 47164 del 20/12/2005, Marino, rv. 232303 . 4. Altre decisioni sostengono, invece, che la revoca della sentenza di condanna per abolizione del reato, prevista dall'articolo 673 cod. proc. penumero , deve essere disposta anche in caso di condanna erroneamente pronunciata dopo l'intervenuta abrogazione, sostanzialmente sull'assunto che né la disciplina di cui all'articolo 673 cod. proc. penumero né quella dell'articolo 2, secondo comma, cod. penumero distinguono tra giudicato formatosi prima ovvero successivamente all' abolitio criminis. 4.1. Nell'ambito di tale gruppo, riferiscono che il caso in esame concerne reato commesso prima, anche se oggetto di sentenza pronunciata dopo la legge abolitrice Sez. 1, numero 1611 del 02/12/2014, dep. 2015, Santiago Peralta, Rv. 261984 secondo cui “la disposizione in tema di revoca della sentenza per abolizione del reato, di cui all'articolo 673 c.p.p., [ ] va applicata indipendentemente dal tempo della sentenza di condanna, se emessa prima o dopo l'abrogazione stessa, poiché esprime l'interesse superiore dell'ordinamento a che nessuno risulti condannato per un reato non più previsto come tale dalla legge e, quindi, anche nel caso di giudicato formatosi successivamente al tempo dell'intervenuta abrogazione Sez. 5, numero 38773 del 17/06/2014, Lahmar, non massimata che espressamente sottolinea che, trattandosi di fatto commesso anteriormente alla legge abrogatrice, non si verterebbe in ipotesi analoga a quella esaminata da Corte cost. numero 230 del 2012 Sez. 1, numero 37976 del 15/07/2013, Guerez, non massimata che osserva “Contrariamente a quanto sostenuto nel provvedimento impugnato, la citata pronunzia delle Sez. U, numero 16453 del 24/02/2011, Rv. 249546, non si limita a stabilire la corretta interpretazione di una norma penale avente contenuto precettivo invariato, ma afferma espressamente che, a seguito della modifica del D.Lgs. 25 luglio 1998, numero 286, articolo 6, comma 3, recata dalla L. 15 luglio 2009, numero 94, articolo 1, comma 22, lett. h , si è determinata una abolitio criminis parziale, ai sensi dell'articolo 2 c.p., comma 2, della preesistente fattispecie per la parte relativa alla incriminazione degli stranieri in posizione irregolare. Ne consegue l'applicabilità dell'articolo 673 c.p.p.” 4.2. Non pongono invece attenzione alla data del commesso reato, e comunque non la riportano Sez. 1, numero 12982 del 29/01/2014, Janovic, non massimata che osserva che l'articolo 673 “non distingue il tempo dell'avvenuta abrogazione legislativa, né se la sentenza di condanna per una condotta di reato non più considerata di rilevanza penale sia intervenuta prima o dopo l'abrogazione stessa, dappoiché ritenuta di superiore interesse per l'ordinamento la regola secondo cui nessuno può essere condannato per un reato non contemplato dall'ordinamento. Se ciò accade, come nel caso in esame anche se formatosi un giudicato contrario successivamente al tempo dell'intervenuta abrogazione, l'ordinamento ha provveduto alla predisposizione del rimedio dell'incidente di esecuzione di cui all'articolo 673 c.p.p.” Sez. 1, numero 35851 del 09/02/2012, El Hajjaji Rachid, non massimata che afferma “Per l'applicazione dell'articolo 2/2 c.p. [ ] non è richiesta una abrogazione espressa della norma incriminatrice, ma è necessario e sufficiente che il fatto per il quale un soggetto ha riportato condanna non costituisca più reato per l'entrata in vigore di una nuova legge, nella specie la legge 94/2009, a nulla rilevando che la nuova legge sia intervenuta in data antecedente al passaggio in giudicato della sentenza, perché questa deve comunque essere revocata se il fatto giudicato non è previsto dalla legge come reato” Sez. 1, numero 1000 del 06/12/2011, dep. 2012, Bolla Diope, non massimata ancora nel senso che “la disciplina di cui all'articolo 673 c.p.p. non distingue tra giudicato formatosi prima ovvero successivamente all' abolitio criminis , avendo l'ordinamento privilegiato il principio secondo cui nessuna sanzione penale può essere eseguita in relazione ad una condotta per la quale è stata esclusa la rilevanza penale anche in costanza di titolo definitivo” . Analogo indirizzo risultava, per altro, già affermato, seppure obiter, da Sez. 1, numero 5480 del 02/11/1995, dep. 12/07/1996, Magnani, Rv. 205318 che, in tema di detenzione di stupefacenti per uso personale, affermava che doveva ritenersi che l'istituto della revoca ex articolo 673 cod. proc. penumero potesse operare anche quando l’ abolitio criminis fosse intervenuta prima ancora della sentenza irrevocabile di condanna . 5. Gli orientamenti espressi dalle sentenze del secondo gruppo paragrafi 4.1. e 4.2. paiono rifarsi alle osservazioni della Dottrina allorquando, all'indomani dell'entrata in vigore dell'attuale codice di rito, osservava che, in deroga al principio di intangibilità del giudicato, l' abolitio criminis , già ai sensi dell'articolo 2, secondo comma, cod. penumero , comportava la cessazione dell'esecuzione e degli effetti penali anche quando si fosse verificata prima della irrevocabilità della condanna ma non fosse stata rilevata dal giudice della cognizione e che, sotto tale profilo, la disciplina recata dal nuovo codice di rito con l'articolo 673 non comportava, dunque, innovazioni, salva una ancor più radicale deroga al principio dell'autorità del giudicato in ragione della cancellazione del provvedimento di condanna o di proscioglimento con formule meno favorevoli . A favore del primo indirizzo sembra militare invece, come anticipato, la sentenza numero 230 del 2010 della Corte costituzionale. Non può non rilevarsi, tuttavia, che la soluzione alla quale la Corte è addivenuta prende le mosse dall'osservazione che, riferendosi la questione a fatto commesso dopo la legge modificatrice della fattispecie, “Il problema dirimente, nella prospettiva del giudice a quo, [era] unicamente quello del modo in cui la norma incriminatrice già vigente al momento della realizzazione del fatto, e tuttora in vigore, debba essere interpretata”, con la conseguenza che non poteva “ritenersi implausibile l'assunto sulla cui base il giudice a quo reputa rilevante la questione sollevata ossia che la richiesta di revoca sottoposta al suo vaglio si basa sulla successione nel tempo, non già di leggi, ma di diverse interpretazioni giurisprudenziali della medesima norma di legge”. Le osservazioni della Corte costituzionale potrebbero, pertanto, essere superate movendo dal presupposto che si verte, al contrario, in ipotesi di effettiva successione di leggi nel tempo e di reale fenomeno di abrogazione parziale prodotta dall'intervento della legge numero 94 del 2009 sulla previgente fattispecie incriminatrice, pur se erroneamente non immediatamente riconosciuto. Come sottolineano alcuni Autori, dirimente dovrebbe essere, per conseguenza, la rilevazione della esistenza di un effettivo errore interpretativo valutativo del giudice della cognizione, non rimediabile dal giudice dell'esecuzione a cui non è consentito “rimettere in discussione il giudicato” Sez. U, numero 6240 del 12/02/2015, Basile, Rv. 262327 . Mentre, seguendo le ragioni esposte dal secondo gruppo di decisioni, può dubitarsi che alle stesse conclusioni debba necessariamente pervenirsi allorché la condanna riferita a fatto non più previsto dalla legge come reato è attribuibile a mero errore percettivo, alla semplice - in altri termini - omessa rilevazione della esistenza di una legge successiva ad effetto abrogativo. Se si accoglie, d'altronde, la tesi della irrilevanza della anteriorità o posteriorità della sentenza rispetto alla legge abrogatrice quando il giudice della cognizione mostra di averla semplicemente ignorata, non sembrano rinvenibili ragioni per circoscrivere le ipotesi di revoca per abolitio disciplinate dall'articolo 673 cod. proc. penumero ai casi previsti dall'articolo 2, secondo comma, cod. penumero , e non anche a quelli del primo comma, che riflettono valore cogente dall'articolo 25 Cost 6. Occorre per tali ragioni, a norma dell'articolo 618 cod. proc. penumero , rimettere alle Sezioni Unite il quesito se è consentito al giudice dell'esecuzione revocare, ai sensi dell'articolo 673 cod. proc. penumero , una sentenza di condanna pronunciata dopo l'entrata in vigore di una legge che ha abrogato la fattispecie incriminatrice, allorché detta legge non è stata oggetto di esame da parte del giudice della cognizione . P.Q.M. Rimette il ricorso alle Sezioni Unite.