Nel distinguere tra evasione contributiva e la meno grave fattispecie della omissione contributiva l’onere di provare la buona fede tocca al datore di lavoro.
Lo ha stabilito la Cassazione, sez. Sesta-L, con la sentenza numero 16921/12. Il caso. Condanna in primo grado e conferma in appello per una società che non aveva pagato all’Inps la somma indicata dalla cartella di pagamento opposta, avente ad oggetto contributi previdenziali. Queste le premesse al giudizio per cassazione promosso dalla società contro l’Inps e con la partecipazione della Serit Sicilia agente per la riscossione per la provincia di Agrigento . Avviso bonario. La società ricorrente lamenta la mancata considerazione nella sentenza impugnata del difetto di interesse ad impugnare l’avviso bonario. In particolare, la società aveva interessa a far accertare l’erroneità dell’avviso bonario per la mancata detrazione delle somme già versate in acconto. La Cassazione, che rigetta il ricorso, sottolinea come correttamente i giudici di merito hanno ritenuto irrilevante la pronuncia sul difetto di interesse ad impugnare l’avviso bonario, dato che la società ricorrente di fatto non ha contestato la pretesa dell’Inps, ma si è limitata a lamentare l’omesso computo dell’acconto versato. Evasione od omissione? La ricorrente censura inoltre la classificazione dell’irregolarità come ‘evasione contributiva’ anziché come meno grave ‘omissione contributiva’, sulla base del fatto che era assente la volontà di occultare i rapporti di lavoro. Sul punto la S.C. afferma che l’ipotesi dell’omissione si configura solo quando il datore ometta di pagare i contributi ma abbia provveduto a tutte le denunce e registrazioni obbligatorie. Nel caso di specie, invece, è integrata la fattispecie di cui all’articolo 116, comma 8, lett. b l. numero 388/2000, poiché i lavoratori non risultavano denunciati all’Inps, il che fa presumere la volontà del datore di occultare il rapporto in modo da non versare i contributi.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile-L, ordinanza 19 settembre – 4 ottobre 2012, numero 16921 Presidente Battimiello – Relatore La Terza Con la sentenza impugnata la Corte d'appello di Palermo confermava la statuizione di primo grado concernente la condanna della S. srl al pagamento all'Inps di euro 32.508,82 di cui alla cartella di pagamento opposta, avente ad oggetto contributi previdenziali. Avverso detta sentenza la S. propone ricorso l’lnps e la Serit resistono con controricorso. La ricorrente si duole essere stata rigettata la opposizione proposta avverso la cartella di pagamento nonostante la illegitlimità dell'iscrizione a ruolo, perché essa società aveva in precedenza proposto opposizione avverso l'avviso bonario di pagamento. Letta la relazione resa ex articolo 380 bis cod. proc. civ. di manifesta infondatezza del ricorso Ritenuto che i rilievi di cui alla relazione sono condivisibili Infatti la legittimità della pretesa dell' Istituto è stata ormai definitivamente accertata dalla sentenza di questa Corte numero 11261 del 10 maggio 2010. Questo è il testo della citata sentenza 11261/2010 « Con ricorso del 21.5.2002 la S. s.r.l. chiedeva al Tribunale di Agrigento di accertare che l'avviso bonario del 18.04.2002 - con il quale l'Inps aveva chiesto il pagamento della somma di L. 47.321.000 per contributi non versati per tre lavoratori, nonché il pagamento della somma di L. 28.832.954 per sanzioni, sulla base del verbale ispettivo numero 517 del 3.08.2001 - era nullo ed illegittimo per non avere l'Istituto considerato i versamenti effettuati il 7.11.2001 ed il 3.12.2001, ammontanti a L. 14.541.000. L'Inps, in proprio e quale rappresentante della SCC, si costituiva e resisteva chiedendo in via riconvenzionale la condanna della ricorrente al pagamento dei contributi e delle sanzioni dovuti, detratta la somma di Euro 7.569,71 già versata. Il Tribunale, con sentenza del 3.06.2003, dichiarava il difetto di interesse ad agire della soc. S. contro l'avviso bonario e in accoglimento della domanda riconvenzionale dell'Inps condannava la società al pagamento delle somme indicate nel verbale di accertamento del 3.08.2001, maggiorate dei relativi oneri accessori, detratto l'acconto già versato di Euro 7.546,71. L'appello proposto dalla S. s.r.l. veniva respinto dalla Corte di Appello di Palermo con sentenza depositata il 9.12.2005. Per quanto qui ancora interessa la Corte territoriale osservava a che l'appellante non aveva ragione di dolersi del rigetto del ricorso per difetto di interesse ad impugnare l'avviso bonario, in quanto la sussistenza del debito contributivo era stata comunque accertata dal Tribunale, nel contraddittorio delle parti, in relazione alla domanda riconvenzionale proposta dall'lnps b che la società nel ricorso introduttivo non aveva contestato la pretesa contributiva di cui al verbale ispettivo del 3.08.2001, essendosi limitata a dedurre l'omesso computo dell'acconto e l'errata determinazione delle sanzioni, nonché a chiedere l'accertamento del proprio diritto al pagamento rateizzato di conseguenza la non contestazione del debito aveva reso lo stesso non controverso, mentre l'acconto versato era stato computato e dedotto dal debito complessivo c che l'omessa denuncia all'Inps di lavoratori dipendenti, benché registrati nei libri paga e matricola, configurava l'ipotesi delta evasione contributiva di cui alla L. numero 388 del 2000, articolo 116, comma 8, lett. b , e non la meno grave figura della omissione contributiva di cui alla lettera a della norma predetta d che la rateizzazione del debito ai sensi della L. numero 388 del 2000, articolo 116, non era una conseguenza automatica della domanda presentata dall'interessato, ma era subordinata ad un provvedimento di ammissione da parte dell'Inps a seguito della verifica della sussistenza dei requisiti richiesti dalla vigente disciplina. Per la cassazione di tale sentenza la S. s.r.I. ha proposto ricorso sostenuto da due motivi. L'Inps ha resistito con controricorso. Motivi della decisione Con il primo motivo di ricorso la ricorrente denuncia violazione degli articolo 112, 434 e 437 c.p.c, nonché violazione della L. numero 388 del 2000, articolo 116, e censura la sentenza impugnata per aver affermato che la dichiarazione di difetto di interesse ad impugnare l'avviso bonario, benché errata. fosse comunque irrilevante. In realtà la società, che aveva fatto lo domanda di rateizzazione con lettera raccomandata del 25.5.2002 respinta dall'lnps in data 13.6.2002 e nuovamente formulato la domanda di rateizzazione con il ricorso introduttivo, aveva interesse a far accertare l'erroneità dell'avviso bonario per la mancata detrazione delle somme già versate in acconto, nonché a far accertare il suo diritto alla rateizzazione del solo debito residuo, detratto l'acconto versato. La società censura altresì la sentenza impugnata per aver ritenuto provato il debito contributivo di cui al verbale ispettivo del 3.08.2001, benché l'Inps non avesse prodotto alcun documento idoneo a provare il suo credito. Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia violazione della L. 23 dicembre 2000, numero 388, articolo 116, comma 8, e sostiene che nel caso di specie, in cui i lavoratori erano stati regolarmente registrati nei libri paga e matricola ed i libri predetti esibiti agli ispettori, si verserebbe nell'ipotesi meno grave della omissione contributiva di cui alla lettera a della norma citata, essendo palese che mancava la volontà di occultare i rapporti dì lavoro. I vari profili di censura del primo motivo di ricorso sono infondati atteso che a i giudici di merito, a seguito delle contrapposte domande delle parti, hanno preso in esame il problema della sussistenza del credito contributivo vantato dall'Inps e indicato nell'avviso bonario impugnato, di modo che, di fatto, la pronuncia di difetto di interesse ad impugnare l'avviso bonario è rimasta del tutto irrilevante b i giudici di merito hanno ritenuto provato il predetto credito contributivo sul rilievo che la società, con il ricorso introduttivo, non ha affatto contestato la pretesa dell'Inps di cui al verbale ispettivo del 3.8.2001 - limitandosi a lamentare l'omesso computo dell'acconto versato, a contestare il criterio di determinazione delle sanzioni ed a sostenere il proprio diritto al pagamento rateizzato -sicché la non contestazione del debito ha reso lo stesso non controverso e non bisognoso di prova tale argomentazione del giudice di appello non è stata in alcun modo censurata dal ricorrente c il giudice di appello ha affermato che il regime di rateizzazione non è una conseguenza automatica della domanda presentata dall'interessato, ma segue ad un provvedimento di ammissione da parte dell'Istituto subordinato ad una valutazione discrezionale circa la sussistenza dei requisiti richiesti dalla legge, mentre nel caso di specie la società non aveva neppure allegato i requisiti in relazione ai quali riteneva di poter essere ammessa al beneficio della rateizzazione anche questa affermazione della Corte territoriale non ha formato oggetto di alcuna specifica censura da parte della ricorrente. Parimenti infondato è il secondo motivo di ricorso. L'omessa denuncia all'Inps di lavoratori, benché registrati nei libri paga e matricola, configura l'ipotesi di evasione contributiva di cui alla L, 23 dicembre 2000, numero 388, articolo 116, comma 8, lett. B, e non la meno grave fattispecie di omissione contributiva di cui alla lettera A della stessa norma, limitata alle sole ipotesi in cui il datore di lavoro, pur avendo provveduto a tutte le denunce e registrazioni obbligatorie, ometta di pagare i contributi. L'omessa denuncia dei lavoratori all'Inps, infatti, fa presumere l'esistenza della volontà del datore di lavoro di occultare i rapporti di lavoro al fine di non versare i contributi, restando così a carico del perseguito l'onere di provare la sua buona fede, onere nella specie non assolto dalla ricorrente. A tal fine non è certo sufficiente la registrazione dei lavoratori nei libri paga e matricola, documenti che restano nella disponibilità del datore di lavoro e che sono controllati dall'Istituto previdenziale solo in occasione di ispezioni, come è provato dalla stessa vicenda in esame, in cui il datore di lavoro ha omesso di versare i contributi dovuti benché avesse registrato i dipendenti nei predetti libri. In definitiva, il ricorso deve esser respinto con conseguente condanna della ricorrente al pagamento in favore dell'Inps delle spese del giudizio di cassazione, come liquidate in dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 10,00, per esborsi ed in Euro duemila per onorari, oltre accessori di legge. Cosi deciso in Roma, il 21 aprile 2010.» Ne consegue che il presente ricorso è inammissibile per difetto di interesse, essendo appunto stata ritenuta definitivamente legittima la pretesa dell'Inps al pagamento della somma di euro 32.508,82, e quindi va rigettato. Le spese a favore dell' Inps seguono la soccombenza. Nulla per le spese della Serit stante la tardività del controricorso. notifica ricorso 14.3.2011, notifica controricorso 29.4.2011 . P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese dell'Inps, liquidate in euro quaranta per esborsi e duemilaseicento per compensi professionali, oltre accessori di legge.