Poliziotto tarocco, la presentazione non è reato: manca l’esercizio delle funzioni

Episodio ricostruito alla luce del racconto fatto dalla donna fermata dal falso agente. Nessun dubbio sui fatti, ma proprio questi permettono all’uomo di salvarsi. Perché la semplice presentazione come agente non è stata accompagnata da atti legati alle funzioni.

Presentazione da falso poliziotto, con tanto di contrassegno, anch’esso ‘tarocco’ of course. Ma non basta per contestare l’addebito penale. Ciò che conta, difatti, il concreto esercizio, ovviamente abusivo, di funzioni pubbliche Cassazione, sentenza numero 31427, sesta sezione penale, depositata oggi . Polizia! anzi no A segnalare l’episodio è una donna, avvicinata da un uomo presentatosi come agente della Polizia di Stato. Ma la realtà è completamente diversa E difatti all’uomo viene contestato il reato di usurpazione di funzioni pubbliche, punibile con la reclusione nessun dubbio, su questo punto, da parte dei giudici. Anche alla luce dell’attendibilità riconosciuta alla donna nella ricostruzione del fattaccio. Nessuna azione. E proprio l’episodio ‘incriminato’ viene richiamato, per l’ennesima volta, nel ricorso in Cassazione proposto dal legale dell’uomo. Fondamentale è l’analisi dei comportamenti tenuti dal falso poliziotto secondo il legale, difatti, «non vi è stato esercizio di funzioni pubbliche», quindi nessuna «usurpazione». Ebbene, tale prospettiva viene accolta dai giudici di terzo grado, i quali valutano i fatti contestati all’uomo come «esclusiva condotta di attribuzione di funzioni pubbliche», senza, però, «alcun concreto esercizio di tali funzioni». Ciò comporta la contestazione della «mera attribuzione indebita di un pubblico servizio», reato depenalizzato da dicembre del 1999. Possibile, invece, l’addebito dell’illecito amministrativo per l’essersi attribuito «una qualifica di pubblico funzionario, anche attraverso l’abusivo uso di contrassegno», perché ciò che va tutelato è «la pubblica fede che può essere tratta in inganno da false apparenze». Ecco perché, dunque, l’uomo si salva da ogni addebito «il fatto non è previsto dalla legge come reato», concludono i giudici.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 24 aprile – 1° agosto 2012, numero 31427 Presidente De Roberto – Relatore Carcano Ritenuto in fatto 1. La Corte d’appello di Firenze, con sentenza 14 marzo 2011, in riforma della decisione 24 aprile 2008 di primo grado, ha dichiarato P.B. responsabile del solo reato di cui all’art 347 c.p. per essersi attribuito la funzione di agente della polizia di Stato, in tal modo usurpando funzioni pubbliche fatto commesso il 19 settembre 2005. A fronte dell’impugnazione volta a contestare le conclusioni del giudice di primo grado circa l’attendibilità di quanto riferito dalla persona offesa, la Corte d’appello ha condiviso le conclusioni cui è giunto il giudice di primo grado sull’attendibilità della R.M. che ebbe in dettaglio a raccontare l’accaduto, e altresì condiviso la qualificazione giuridica attribuita alla condotta realizzata. 2. La difesa propone ricorso e deduce - Inosservanza di legge con riferimento alla condanna per il solo reato previsto dall’articolo 347 c.p. ancorché fosse stata esclusa la sussistenza del delitto di tentata violenza privata, che costituiva la parte della condotta mediante la quale, in base all’imputazione, fu commesso il reato di usurpazione di pubbliche funzioni quanto a tale ultima reato il ricorrente rileva che l’imputazione non fa cenno alcuno all’usurpazione bensì alla sola attribuzione di funzioni, condotta giuridicamente diversa rispetto a quello richiesta per la configurazione del reato. In conclusione, dovrebbe essere dichiarata la nullità della sentenza e la trasmissione degli atti al pubblico ministero. 2.1. il ricorrente ha presentato motivi nuovi con i quali pone in rilievo l’insussistenza del delitto dì usurpazione di funzioni perché in concreto non vi è stato esercizio di funzioni pubbliche. Considerato in diritto Il ricorso è fondato. Una volta circoscritta la dinamica dei fatti all’esclusiva condotta di attribuzione di funzioni pubbliche senza che vi si stato alcun concreto esercizio di tali funzioni, il fatto va ricondotto nell’ambito della fattispecie prevista dall’articolo 498 c.p. poiché in concreto vi è stato un mera attribuzione indebita di un pubblico servizio reato depenalizzato dall’articolo 43 della legge 43 d.lgs. 30 dicembre 1999 numero 507. Per la configurabilità del reato di usurpazione di funzioni pubbliche è infatti necessario che la condotta realizzi in concreto un indebito esercizio di funzioni pubbliche in assenza di una legittima investitura Sez. VI, 17 marzo 2009, dep. 23 giugno 2009, numero 26178 , situazione in concreto esclusa dalla ricostruzione dei fatti operata dal giudice d’appello. Mentre, ciò che rileva ai fini della fattispecie di cui all’articolo 498 - che ora integra solo un illecito amministrativo - è l’attribuirsi una qualifica di pubblico funzionario, anche attraverso l’abusivo uso di contrassegno senza alcun concreto esercizio di atti inerente a tali funzioni. In particolare, ciò che distingue le due fattispecie é dunque il bene tutelato l’una, quella prevista dall’articolo 347 c.p., tutela l’interesse volto a riservare l’esercizio di pubbliche funzioni a soggetti che ne abbiano effettiva e concreta investitura l’altra, quella descritta nell’articolo 498 c.p., tutela la pubblica fede che può essere tratta in inganno da false apparenze. 2. In conclusione, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio perché il fatto non è previsto dalla legge come reato. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata senza rinvio perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.