C'è la giusta causa per il dipendente che minaccia i superiori

Tenere un atteggiamento intimidatorio verso i responsabili di reparto e minacciarli configura un reato e giustifica il licenziamento disciplinare.

Con l'ordinanza numero 12679 del 9 giugno, la Corte di Cassazione si pronuncia su un'ipotesi di licenziamento disciplinare, richiamando la norma contrattuale collettiva che prevede, appunto, il licenziamento per giusta causa in presenza di fatti che integrano delitto, come nel caso di minacce ai superiori. La fattispecie. Un operaio ricorreva contro il licenziamento per giusta causa, consistente nell'aver tenuto atteggiamenti intimidatori nei confronti dei responsabili di reparto, chiedendo la reintegrazione nel posto di lavoro. La domanda veniva rigettata, anche in sede d'appello e il lavoratore proponeva ricorso per cassazione.Il licenziamento è legittimo la minaccia è rilevante anche penalmente. Il ricorso del dipendente attiene fondamentalmente a motivi di decadenza della domanda d'appello, mentre nel merito, rileva il Collegio, il decisum dei giudici di merito appare pienamente condivisibile. I fatti contestati al lavoratore, quali ad esempio l'insubordinazione e l'aver minacciato i propri superiori, sono rilevanti anche in sede penale, essendo configurabili anche come reato almeno di minaccia, come puntualizzato nella sentenza d'appello . E il CCNL prevede il licenziamento per giusta causa anche in ipotesi di condotte dei lavoratori integranti delitto.C'è la giusta causa. Deve, quindi, concludersi per l'assoluta legittimità del licenziamento, basata su una serie di dati oggettivamente risultanti e tra di loro conseguenzialmente collegati, quali il titolo della contestazione la minaccia , la sua qualificazione penale come delitto e l'esistenza di una norma collettiva che legittima il recesso per giusta causa di fronte a fatti integranti delitto o insubordinazione .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 14 aprile - 9 giugno 2011, numero 12679Presidente Battimiello - Relatore MammoneRitenuto in fatto e diritto1.- M. F., ricevuta in data 18.1.06 dal datore FIAT Powertrain Technologies s.p.a. comunicazione di licenziamento per giusta causa, consistente nell'aver tenuto atteggiamento intimidatorio nei confronti dei responsabili di reparto, con ricorso per provvedimento di urgenza ex articolo 700 c.p.c. chiese al giudice del lavoro di Larino la reintegrazione nel posto di lavoro.2.- Rigettata la richiesta cautelare, il M. ricorreva nuovamente al giudice del lavoro in via ordinaria, chiedendo l'annullamento del licenziamento per mancanza di giusta causa o giustificato motivo e chiedendo la reintegrazione nel posto di lavoro.Eccepito da FIAT che il licenziamento non era stato impugnato nel termine di cui alla L. 15 luglio 1966, numero 604, articolo 6 il giudice del lavoro riteneva intempestiva l'impugnazione del recesso e rigettava la domanda.3.- Proposto appello da M., con sentenza 20.6.09 la Corte di appello di Campobasso rigettava l'impugnazione della sentenza, rilevando che sarebbe stato onere del lavoratore provare di aver impugnato il licenziamento nei 60 gg. dalla data di ricevimento della lettera di licenziamento.A tale scopo rilevava che non risultava in atti ne' era indicato nel ricorso introduttivo la data in cui era stato notificato alla controparte il ricorso per provvedimento di urgenza, non potendo tale dato desumersi dal corpo del provvedimento di rigetto del giudice del provvedimento cautelare, ove era menzionata solamente la data di deposito del relativo ricorso. Solo con l'atto di appello era stata depositata la copia del ricorso per provvedimento di urgenza notificata alla controparte in data 8.3.06 e della memoria di costituzione di FIAT nel procedimento cautelare, ove si dava atto di tale notifica tale produzione era, tuttavia, tardiva ai sensi dell'articolo 437 c.p.c., essendo il documento nella disponibilita' dell'interessato da epoca anteriore al ricorso introduttivo.4.- Proponeva ricorso per cassazione M. con unico complesso motivo, con il quale deduceva violazione della L. numero 604 del 1966, articolo 5 e degli articolo 421 e 437 c.p.c., nonche' carenza di motivazione, censurando a l'affermazione che sarebbe irrilevante la circostanza che il primo giudice avesse indicato che il ricorso cautelare era stato depositato in data 11.3.06 e non 22.2.06 b la mancata considerazione delle contestazioni mosse dalla difesa del lavoratore all'eccezione di decadenza e contenute nel verbale del giudizio di primo grado c-d la mancata attivazione dei poteri officiosi del giudice per l'accertamento della tempestiva impugnazione.Si difendeva con controricorso FIAT Powertrain Technologies s.p.a.5.- Il Consigliere relatore ai sensi dell'articolo 380 bis c.p.c. depositava relazione che, assieme al decreto di fissazione dell'adunanza della camera di consiglio, era comunicata al Procuratore generale ed era notificata ai difensori costituiti.Entrambe le parti hanno depositato memoria.6.- Con la sua relazione il Consigliere relatore ha posto in evidenza che il giudice sia nel primo che nel secondo grado non poteva rispondere all'eccezione di parte convenuta circa la decadenza dall'impugnazione, ne' era in condizione di azionare i suoi poteri istruttori, atteso che, se e' vero che nel rito del lavoro il rigoroso sistema delle preclusioni regolante l'ammissione delle prove costituite e di quelle costituende trova contemperamento nei poteri d'ufficio del giudice in materia di ammissione di nuovi mezzi di prova, ai sensi dell'articolo 421 c.p.c., e dell'articolo 437 c.p.c., comma 2, ove essi siano indispensabili ai fini della decisione della causa, e' pur vero anche che gli stessi poteri debbano essere esercitati pur sempre con riferimento a fatti allegati dalle parti ed emersi nel processo a seguito del contraddittorio delle parti stesse riferimento a Cass. 24.10.07 numero 22305, Cass. 9.11.06 numero 23882 e numerose altre .7.- Rileva il Collegio che la circostanza dell'avvenuta tempestiva notifica del ricorso per provvedimento d'urgenza ex articolo 700 c.p.c. era stata dedotta e comprovata dal ricorrente nel corso del giudizio di secondo grado, mediante deposito dell'atto in questione e della pedissequa relazione di notificazione al datore di lavoro avvenuta in data 8.3.06 , nonche' di un estratto della comparsa di costituzione dello stesso datore nel procedimento cautelare, in cui si evidenziava che anche controparte dava atto della stessa data.Di fronte a questa produzione il giudice di appello, nel declinare l'esercizio dei poteri istruttori previsti dall'are. 437 c.p.c., ha ritenuto che l'esercizio stesso fosse inibito dalla tardivita' della produzione documentale. Tale motivazione e' insufficiente in quanto non da conto dell'avvenuta valutazione di un particolare aspetto che la giurisprudenza di legittimita' ritiene connaturato all'esercizio dei poteri officiosi del giudice del lavoro, quale il parametro della indispensabilita' del mezzo di prova nella specie della produzione documentale ai fini della decisione della causa, nella prospettiva dell'adozione di una consapevole e non meramente formale decisione della causa argomenti da Cass. S.u. 20.4.05 numero 8202 e Cass. 22.5.06 numero 11922 .8.- La rilevata carenza di motivazione in cui e' incorso il giudice di appello non e' tuttavia sufficiente a procurare l'accoglimento del ricorso.Il giudice di appello, infatti, nella parte finale della sentenza, pur rilevando che ogni valutazione sul merito dell'appello e della domanda giudiziale e' da ritenere assorbita dalla decadenza, afferma anche che non puo' non segnalarsi che i fatti ascrittigli al ricorrente M. sono configurabili quali delitto almeno di minaccia e che la norma contrattualcollettiva che qui rileva prevede il licenziamento per giusta causa anche in ipotesi di fatti integranti delitto, oltreche' indicare in via esemplificativa la insubordinazione ai superiori .Tale affermazione - nonostante la terminologia adottata dal giudice - costituisce una vera e propria affermazione di legittimita' del licenziamento, basata su una serie di dati oggettivamente risultanti e tra di loro consequenzialmente collegati, quali il titolo della contestazione la minaccia , la sua qualificazione penale come delitto e l'esistenza di una norma collettiva che legittima il recesso per giusta causa di fronte a fatti integranti delitto o insubordinazione.L'affermazione non risulta censurata dall'odierno ricorrente, il quale ha mirato il suo complesso mezzo di impugnazione contro la parte della pronunzia in punto di decadenza, senza curarsi dell'ulteriore affermazione che investe il merito della domanda.9.- In conclusione, deve ritenersi che l'impugnazione sia inidonea a colpire il decisum del giudice di appello nella sua interezza e che, pertanto, la rilevata carenza motivazionale della sentenza impugnata non pregiudichi la statuizione circa la legittimita' del licenziamento.Il ricorso deve essere pertanto rigettato.Le spese del giudizio di legittimita' seguono la soccombenza.P.Q.M.LA CORTErigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese che liquida in Euro 30,00 trenta/00 per esborsi ed in Euro 1.000,00 mille/00 per onorari, oltre spese generali, Iva e Cpa.