Vittoria, in particolare, per quel lavoratore che si è schierato contro l’azienda egli si vede riconosciuto il diritto alla reintegra e al risarcimento. Scorretta la condotta della società, che ha operato una riduzione del personale limitatamente alla struttura soppressa, senza tener conto della ‘catena’ di supermercati in ambito regionale.
Contesto territoriale limitato una città del Meridione da appena 65mila abitanti. Gli effetti della crisi economica sono ancora più evidenti, e testimoniati dalla contrazione dei consumi. A risentirne, a livello di incassi, è la società – una s.p.a. – proprietaria di una catena di supermercati. Consequenziale è la decisione di chiudere un ‘punto vendita’ nel contesto territoriale. Ma a scatenare polemiche è soprattutto la decisione di licenziare i relativi dipendenti. Tale scelta, però, si rivela illegittima. Vittoria, perciò, per uno dei lavoratori che aveva contestato le scelte aziendali, e che ora vede sancito il proprio diritto alla reintegra – anche tenendo presente la presenza di numerosi supermercati della società in tutta la regione – e ad un adeguato risarcimento Cassazione, sentenza numero 13953, sez. Lavoro, depositata oggi . Chiusura. Chiaro il programma della società, proprietaria della catena di supermercati «soppressione del ‘punto vendita’ ristrutturazione» e, soprattutto, «programma di riduzione del personale», limitato però solo ai dipendenti della struttura commerciale destinata ad essere chiusa. Numerose le proteste – testimoniate anche da uno sciopero – da parte degli «addetti» del ‘punto vendita’. Ma è un lavoratore, in particolare, a scendere in campo, a livello giudiziario, per battagliare con l’azienda. Per i giudici di primo grado il «licenziamento» è da ritenere «legittimo». Di avviso completamente opposto, invece, i giudici d’Appello, condannano la s.p.a. a «reintegrare il dipendente nel posto di lavoro e a risarcirgli i danni». Decisiva la constatazione della assoluta mancanza dei «motivi per i quali l’esubero del personale comportava una limitazione della platea dei lavoratori da licenziare a quelli della sola unità di vendita soppressa». Licenziamento. Ad avviso dei giudici di secondo grado, in sostanza, sarebbe stato più logico allargare il discorso della «riduzione del personale» anche all’«altro supermercato» presente in città e agli «altri supermercati» presenti nella regione. Tale visione, ovviamente, è duramente contestata dall’azienda. In questa ottica viene richiamato il fatto che «il progetto di ristrutturazione riguardava esclusivamente una unità produttiva dell’azienda» – dotata, peraltro, di «autonomia» – , destinata a chiudere in maniera definitiva, con il conseguente «licenziamento di tutti i suoi addetti». Per i giudici della Cassazione, però, ogni obiezione è inutile. Rilevante, difatti, l’aspetto evidenziato in Appello, ossia il fatto che «l’autonomia tecnico-amministrativa» del supermercato soppresso «non escludeva l’esistenza di aspetti di relazione e sinergia» con «altri ‘punti vendita’» della società, e in particolare con «quelli collocati nell’area cittadina» e, più in generale, nell’area regionale. A rendere ancora più forte questo dato, poi, la specifica «vicenda lavorativa» del dipendente, connotata «dall’assunzione con mansioni di ‘ausiliario alle vendite’ nel 1981 e con assegnazione, nel corso degli anni, a molteplici ‘punti vendita’» – tra cui quattro in quattro diversi contesti territoriali – e col riconoscimento, infine, della «qualifica di ‘capo reparto’ del ‘settore ortofrutticolo’». Tutto ciò conduce alla conferma della vittoria del lavoratore, con «reintegra» e «risarcimento».
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 10 marzo – 7 luglio 2015, numero 13953 Presidente Stile – Relatore Berrino Svolgimento dei processo Il caso di cui si controverte concerne il licenziamento intimato il 31/12/2008 dalla società G.S. s.p.a. a P.L. per soppressione dei punto vendita di via Cassella in Benevento, ove egli era addetto, nell'ambito di un programma di riduzione del personale e di ristrutturazione della società datrice di lavoro. Con sentenza dei 6/3 - 22/3/2012 la Corte d'appello di Napoli, riformando la sentenza di primo grado che aveva respinto l'impugnativa dei licenziamento, ha dichiarato l'illegittimità dello stesso ed ha condannato la predetta società a reintegrare il P. nel posto di lavoro e a risarcirgli i danni consequenziali. A sostegno di tale decisione la Corte di merito ha spiegato che nella comunicazione di cui all'articolo 4, comma 3, della legge numero 223 del 1991 non vi era traccia dei motivi per i quali l'esubero del personale comportava una limitazione della platea dei lavoratori da licenziare a quelli della sola unità di vendita soppressa, non avendo la parte datoriale operato il doveroso scrutinio dei criteri legali applicabili per la selezione dei personale da considerare in eccesso. Per la cassazione della sentenza propone ricorso la società G.S. s.p.a. con due motivi, illustrati da memoria ai sensi dell'articolo 378 c.p.c. Resiste con controricorso P.L Motivi della decisione Col primo motivo, dedotto per violazione e falsa applicazione degli articolo 4 e 5 della legge 23 luglio 1991 numero 223, la ricorrente contesta la decisione impugnata, laddove si è ritenuto che la scelta dei lavoratori da licenziare, e per essa la procedura, avrebbe dovuto riguardare anche l'altro supermercato di Benevento, se non addirittura gli altri supermercati della Campania appartenenti alla società, facendo rilevare che il progetto di ristrutturazione riguardava nel caso in esame esclusivamente una unità produttiva dell'azienda. Aggiunge la ricorrente che per la stessa ragione per la quale nel caso in esame veniva a cessare l'intera unità produttiva con il licenziamento di tutti i suoi addetti non poteva trovare ingresso la norma di cui all'articolo 5 della legge numero 223/91, secondo cui la scelta dei lavoratori da licenziare deve osservare i criteri delle anzianità di servizio, dei carichi di famiglia e delle esigenze tecnico-produttive, criteri, questi, che valgono nei casi in cui rimane ancora in servizio parte del personale in organico. Col secondo motivo, proposto per vizio di motivazione, la ricorrente rileva la contraddittorietà della motivazione nella parte in cui, da un lato, si dà atto dell'autonomia del supermercato in cui operava l'odierno intimato e, dall'altro, si osserva che la procedura di mobilità avrebbe potuto essere limitata allo stesso solo se specifiche esigenze aziendali avessero giustificato una tale limitazione, senza che si sia tenuto, però, conto del fatto che tali esigenze erano state indicate nella nota d'avvio della procedura di mobilità. Osserva la Corte che per ragioni di connessione i due motivi possono essere trattati congiuntamente. Entrambi i motivi sono infondati. Invero, per quel che concerne la questione di diritto posta col primo motivo, si osserva che questa Corte ha avuto già occasione di esprimersi al riguardo affermando che in tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale, qualora il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo ad un'unità produttiva dell'azienda, la platea dei lavoratori interessati può essere limitata agli addetti a tale unità sulla base di oggettive esigenze aziendali ed il datore di lavoro deve indicare nella comunicazione ex articolo 4, comma 3, della legge numero 223 del 1991 sia le ragioni alla base della limitazione dei licenziamenti ai dipendenti dell'unità o settore in questione, sia le ragioni per cui non ritiene di ovviare ad alcuni licenziamenti con il trasferimento ad unità produttive geograficamente vicine a quella soppressa o ridotta, onde consentire alle organizzazioni sindacali di verificare l'effettiva necessità dei programmati licenziamenti. Cass. sez. lav. numero 22655 dell'1111212012 . Più di recente si è ribadito che in tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale, qualora il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo ad un'unità produttiva o ad uno specifico settore dell'azienda, la platea dei lavoratori interessati può essere limitata agli addetti ad un determinato reparto o settore solo sulla base di oggettive esigenze aziendali, in relazione al progetto di ristrutturazione aziendale. Tuttavia il datore di lavoro non può limitare la scelta dei lavoratori da porre in mobilità ai soli dipendenti addetti a tale reparto o settore se essi siano idonei - per il pregresso svolgimento della propria attività in altri reparti dell'azienda - ad occupare le posizioni lavorative di colleghi addetti ad altri reparti, con la conseguenza che non può essere ritenuta legittima la scelta di lavoratori solo perché impiegati nel reparto operativo soppresso o ridotto, trascurando il possesso di professionalità equivalente a quella di addetti ad altre realtà organizzative. Cass. sez. lav. numero 203 del 12/1/2015 . Si è, altresì, statuito che ai fini dell'esclusione della comparazione con i lavoratori di equivalente professionalità addetti alle unità produttive non soppresse e dislocate sul territorio nazionale, ove sia mancato l'accordo sui criteri di scelta con le organizzazioni sindacali, operano i criteri legali sussidiari previsti dall'articolo 5, comma 1, della legge 23 luglio 1991, numero 223, che non contempla tra i suoi parametri la sopravvenienza di costi aggiuntivi connessi al trasferimento di personale o la dislocazione territoriale delle sedi, rispondendo la regola legale all'esigenza di assicurare che i procedimenti di ristrutturazione delle imprese abbiano il minor impatto sociale possibile e non potendosi aprioristicamente escludere che il lavoratore, destinatario del provvedimento di trasferimento a seguito del riassetto delle posizioni lavorative in esito alla valutazione comparativa, preferisca una diversa dislocazione alla perdita dei posto di lavoro Cass. sez. lav. numero 17177 dell'11/712013 . Orbene, la Corte d'appello di Napoli si è attenuta a tali principi allorquando, con motivazione adeguata ed esente da rilievi di ordine logico-giuridico, ha rilevato che la società aveva omesso di elaborare il doveroso scrutinio dei criteri legali applicabili per la selezione del personale da licenziare, la qual cosa avrebbe comportato la valutazione in via concorrente, oltre che delle esigenze tecnico produttive ed organizzative aziendali, di quelle inerenti l'anzianità ed i carichi di famiglia, il tutto sulla base di una platea di lavoratori non limitata, come di fatto accaduto, alla sola unità di vendita soppressa. A tal riguardo la Corte di merito ha, infatti, osservato che l'evidenziata autonomia tecnico-amministrativa non escludeva l'esistenza di aspetti di relazione e sinergia fra altri punti vendita della G.S. s.p.a., in special modo fra quelli collocati nell'area di Benevento e, più in generale, in Campania, avendo le prove testimoniali e la produzione documentale consentito di accertare la frequenza di passaggi del personale fra le unità di Benevento e di Avellino. In ogni caso, la stessa Corte ha rilevato che nella comunicazione di cui all'articolo 4, comma 3, non vi era traccia dei motivi per i quali l'esubero di personale comportasse una limitazione della platea dei lavoratori oggetto della scelta e tale carenza si saldava con l'omessa dimostrazione della infungibilità tra le professionalità applicate ai diversi punti vendita interessati alla fase di ristrutturazione aziendale. A ciò doveva aggiungersi, secondo la Corte partenopea, la considerazione che la vicenda lavorativa del ricorrente era stata connotata dall'assunzione con mansioni di ausiliario alle vendite nel 1981 e con assegnazione, nel corso degli anni, a molteplici punti vendita, fra i quali quelli di Napoli, Caserta, Cava dei Tirreni e Benevento, rivestendo, infine, la qualifica di capo reparto del settore ortofrutticolo. Pertanto, il ricorso va rigettato. Le spese di lite del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio nella misura di € 3500,00 per compensi professionali e di € 100,00 per esborsi, oltre accessori di legge.