Alcol venduto a minorenni, la dipendente del bar non sempre è responsabile

L’articolo 689 c.p. somministrazione di bevande alcoliche a minori o a infermi di mente prevede una fattispecie penale qualificabile come reato proprio, che può essere commesso dall’esercente del locale pubblico, dai soggetti che possono risponderne a titolo di concorso col primo ai sensi dell’articolo 110 c.p. pena per coloro che concorrono nel reato e anche dal dipendente che assuma di fatto il ruolo e l’iniziativa dell’esercente.

Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza numero 25480, depositata il 17 giugno 2015. Il caso. Il gdp di Vipiteno condannava un’imputata ai sensi dell’articolo 689 c.p. somministrazione di bevande alcoliche a minori o a infermi di mente . Secondo le accuse, la donna, in qualità di dipendente di un locale pubblico, aveva somministrato a due minori delle birre. L’imputata ricorreva in Cassazione, deducendo di aver servito delle bevande soltanto per aiutare il titolare del locale, un suo amico, il quale era stato ugualmente deferito all’autorità giudiziaria. Richiamando la sentenza numero 27706/2011, ricordava il dipendente può essere chiamato a rispondere della contravvenzione contestata, insieme all’esercente del locale, soltanto se abbia agito di sua esclusiva iniziativa. Nel caso di specie, invece, il titolare somministrava bevande alcoliche o ne seguiva la somministrazione senza mai abdicare a tale qualità. Inoltre, lamentava la mancata valutazione della circostanza che i ragazzi avevano un’età prossima a quella consentita e che, all’entrata del locale, un altro dipendente si occupava di verificare l’età degli avventori. Perciò, non poteva riscontrarsi alcuna colpa nella sua condotta. Chi può rispondere della contravvenzione? La Corte di Cassazione ricorda che l’articolo 689 c.p. prevede una fattispecie qualificabile come reato proprio, che può essere commesso dall’esercente del locale pubblico, dai soggetti che possono risponderne a titolo di concorso col primo ai sensi dell’articolo 110 c.p. pena per coloro che concorrono nel reato e anche dal dipendente che assuma di fatto il ruolo e l’iniziativa dell’esercente. Nel caso di specie, la ricorrente somministrava le bevande in qualità di cameriera al banco, in presenza del titolare, per cui l’unica contestazione possibile nei suoi confronti poteva essere eventualmente quella ai sensi dell’articolo 110 c.p., cioè per avere concorso in modo consapevole. Consapevolezza e volontà. I giudici di legittimità ricordano che la norma sul concorso personale, la quale implica la configurazione dell’elemento soggettivo doloso, impone la specifica disamina della possibilità di individuare, nel comportamento della concorrente, gli indici di consapevolezza e volontà riguardanti tutte le componenti del reato contestatole, compresa quella dell’età dei giovani a cui aveva somministrato la bevanda alcolica, anche se in esecuzione di disposizioni del titolare. Contestata la colpa. Secondo gli Ermellini, nella ricostruzione dell’atteggiamento psicologico degli agenti, nel caso in commento il reato era stato attribuito a titolo di colpa, in quanto nessuno degli imputati poteva dirsi incorso in errore incolpevole a proposito dell’età infatti, nessun controllo serio era stato effettuato per verificare l’età dei ragazzi. Tale atteggiamento colposo, compatibile in linea di principio con la natura contravvenzionale del reato, è tuttavia in contrasto con la contestazione della condotta alla ricorrente, a titolo di concorso con l’esercente ai sensi dell’articolo 110 c.p Si poteva ritenere verificata la contestazione, solo se fosse stato provato che la condotta dell’imputata, chiamata a rispondere in qualità di dipendente che agiva sotto le direttive del titolare ed alla sua presenza, fosse stata caratterizzata da una cosciente e volontaria condivisione del comportamento di rilievo penale dell’esercente, in tutte le sue frazioni. Ciò, però, era stato proprio escluso dagli stessi giudici di merito. Per questi motivi, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso ed annulla senza rinvio la sentenza impugnata per non aver commesso il fatto.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 12 marzo – 17 giugno 2015, numero 25480 Presidente Palla – Relatore Vessichelli Fatto e diritto Con atto depositato il 23 aprile 2014 , ha proposto ricorso per cassazione S.T. avverso la sentenza del Giudice di pace di Vipiteno, in data 13 gennaio 2014 , con la quale essa è stata condannata alla pena pecuniaria ritenuta di giustizia in ordine alla contravvenzione di cui all'articolo 689 c.p. L'imputata è stata ritenuta responsabile di avere, il 10 agosto 2011, nella qualità di dipendente dei locale pubblico Sternbach , somministrato a due minori degli anni sedici delle bevande alcoliche birre . Deduce 1 l'inosservanza dell'articolo 689 c.p. e il vizio della motivazione. Rileva il difensore impugnante che non vi è prova che la bevanda somministrata ai due ragazzi infra -sedicenni fosse birra alcoolica e non invece una bevanda analcolica, essendo stato accertato esclusivamente, dai Carabinieri operanti, che la marca della birra in questione era Corona . Ed è fatto notorio che tale marca di birra viene prodotta anche nella versione analcolica 2 ancora, la violazione dell'articolo 689 cp. È stato accertato che l'imputata aveva servito delle bevande soltanto per aiutare il titolare del locale che era un suo amico ed era stato ugualmente deferito all'autorità giudiziaria. Al riguardo la giurisprudenza riconosce che può essere chiamato a rispondere della contravvenzione, unitamente all'esercente del locale, anche il dipendente e soltanto se abbia agito di sua esclusiva iniziativa cita sentenza numero 27706 del 2011 . Nel caso di specie invece il titolare del locale somministrava le bevande alcoliche oppure ne seguiva la somministrazione senza mai abdicare a tale qualità 3 il vizio della motivazione in ordine alla consapevolezza dell'età minore dei giovani ai quali fu somministrata la birra. Il giudice non aveva adeguatamente valorizzato il fatto che i ragazzi avevano un'età prossima a quella consentita ed inoltre che, all'entrata del locale, si trovava un dipendente dei titolare che verificava l'età degli avventori. Ne sarebbe dovuto discendere il riconoscimento che nessuna colpa, neppure lieve, potesse essere ravvisata nella condotta dell'imputata. Il ricorso è fondato . Invero il primo motivo deve essere qualificato come manifestamente infondato. Dalla motivazione della sentenza impugnata si evincono prove del fatto che nel locale visitato dai Carabinieri il giorno dell'accertamento del reato, venivano somministrate bevande alcoliche a soggetti minorenni i quali davano segno di alterazione anche significativa. Appare pertanto tardiva e contrastante con l'accertamento di fatto del giudice del merito il dubbio sollevato dalla difesa a proposito della natura delle bevande oggetto della condotta illecita, non risultando da nessuno degli elementi acquisiti che nella occasione dei controlli di P.G. fossero state somministrate birre analcoliche. Devono invece ritenersi fondati e meritevoli di accoglimento gli ulteriori motivi di ricorso. Effettivamente la giurisprudenza di questa Corte e segnatamente la sentenza numero 27706 del 2011 citata dal ricorrente riconosce la natura di reato proprio da ascriversi alla contravvenzione contestata la quale può essere commessa dall'esercente del locale pubblico ove si somministrino le bevande ovvero dai soggetti che possono risponderne a titolo di concorso col primo ai sensi dell'articolo 110 c.p. e, infine, anche dal dipendente che assuma di fatto il ruolo e l'iniziativa dell'esercente. Escluso che nel caso di specie ricorra la prima o la terza ipotesi, dal momento che risulta dalla sentenza impugnata come l'imputata somministrasse le bevande in qualità di cameriera al banco, in presenza del titolare del locale, la questione rilevante posta dalla difesa ricorrente è solo quella del se la condotta dell'imputata debba o meno ritenersi di rilievo penale alla stregua del disposto dell'articolo 110 cp e cioè per avere, quella, concorso in modo consapevole, con la iniziativa contestuale dell'esercente la birreria. La norma sul concorso personale che implica la configurazione dell'elemento soggettivo doloso nella specie espressamente evocata nel capo di imputazione, impone infatti la specifica disamina della possibilità o meno di individuare, nel comportamento della prevenuta concorrente, gli indici della consapevolezza e volontà relativi a tutte le componenti del reato del quale è stata chiamata a rispondere compresa quella della età dei giovani ai quali ha somministrato la bevanda alcoolica, sia pure in esecuzione di disposizioni del gestore. Ebbene, deve considerarsi al riguardo che, nella ricostruzione dell'atteggiamento psicologico degli agenti la odierna ricorrente unitamente al titolare del locale, L. M. , il reato è stato invece attribuito a titolo di colpa, perché nessuno degli imputati poteva dirsi incorso in errore incolpevole a proposito della età dei giovani infrasedicenni. Infatti non era risultato realizzato alcun serio controllo sulla loro età ed in particolare il teste della difesa H. aveva detto di avere solo occasionalmente controllato i documenti dei giovani avventori ma anche tale sporadico controllo non era stato verificato dagli agenti operanti. Questo atteggiamento dichiaratamente considerato dai giudici come colposo v.pag. 4 e in quanto tale compatibile, in linea di principio, con la natura contravvenzionale del reato contestato, non si concilia tuttavia ed anzi è in contrasto con la materiale contestazione della condotta, alla ricorrente, a titolo di concorso ex articolo 110 cp con l'esercente con una contestazione cioè che potrebbe dirsi verificata, come già anticipato, solo se fosse rimasto provato che la imputata, chiamata a rispondere come dipendente che agiva sotto le direttive del titolare e alla presenza di costui, si è determinata in virtù di una condotta di cosciente e volontaria condivisione del comportamento di rilievo penale dell'esercente in tutte le sue frazioni. Ma una simile conclusione è proprio quella esclusa, sul piano fattuale, dai giudici del merito. La insuperabilità del contrasto rilevato e la impossibilità di apprezzare la compatibilità della ipotesi fatto, comunque, diverso di una ipotetica cooperazione colposa della ricorrente, con la contravvenzione constatata, avente pur sempre natura di reato proprio , impone l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per non avere commesso il fatto.