La confisca va disposta anche in caso di prescrizione maturata anteriormente alla sentenza di primo grado

La giurisprudenza italiana è davvero unica nel trovare motivazioni adeguate al caso, per giustificare decisioni, in astratto condivisibili, ma che se utilizzate come “modello” per casi analoghi risultano essere pericolosissime.

Nella specie, l’imputato, prosciolto per prescrizione dai reati di contrabbando e di evasione dell’IVA acquistati in Svizzera, ha lamentato il fatto che il giudice d’appello avesse comunque confermato l’applicazione della confisca prevista dalla legge doganale articolo 301 d.P.R. numero 43/1973 . La questione nella sostanza può essere sintetizzata nei seguenti quesiti la confisca obbligatoria di cui si tratta è una pena? Il proscioglimento per intervenuta prescrizione, anche alla luce della giurisprudenza della CEDU, è equiparabile ad una sentenza di condanna? Nulla poena sine iudicio si insegna, ma questo vuol dire che si può applicare una sanzione anche in caso di proscioglimento? La risposta, chiaramente enunciata nelle motivazioni in questione, è positiva. Le ragioni sono presto dette a parere del Supremo consesso la confisca obbligatoria può avere funzione afflittiva e, dunque, essere considerata pena , ma ha anche una ragione “preventiva” e, dunque, non può di per sé essere equiparata ad una pena. Inoltre, la sentenza di proscioglimento per prescrizione è o può essere considerata una «condanna in senso “sostanziale”» nella quale vi sarebbe un «accertamento incidentale della colpevolezza dell’imputato». Sicché ogni lamentela sul punto dovrebbe cadere di per sé tenuto conto che le sentenze della CEDU, delle Sezioni Unite e della Corte Costituzionale sul punto richiamate dal ricorrente , se ben interpretate, confermerebbero l’assunto o quanto meno non lo contraddirebbero. Che dire innanzi a simili ragionamenti? Che sono viziati o contraddittori? Non è un giudizio che compete a quest’ambito, ma si può quanto meno rilevare la caducità dei presupposti in questione, partendo da semplici ed “inattaccabili” principi di diritto. Che la confisca obbligatoria in tema di reati doganali sia una sanzione “penale”, cioè connessa alla realizzazione di una fattispecie di reato, è evidentissimo. Che poi la sua natura sia afflittiva non può essere negata, posto che essa si applica per il “mancato versamento” di una imposta e/o tassa che si determina proporzionalmente al valore del bene dunque, lo Stato si prende il tutto, avendo diritto solo ad una parte e il “contribuente”, per non aver pagato una parte, perde il tutto oltre a mantenere il dovere di pagare le imposte “evase od eluse”. Inoltre, la funzione di deterrenza della pena così detta prevenzione generale e/o speciale è in re ipsa nel nostro quadro costituzionale, sicché far riferimento ad esigenze di “prevenzione” ha davvero poca forza persuasiva. Più di tutto, però, sconvolge l’affermazione secondo cui la sentenza di proscioglimento per prescrizione sarebbe da considerarsi, a tali effetti, una sentenza di condanna in senso “sostanziale”. Che la prescrizione processuale id est che avviene nel corso del giudizio piaccia poco alla magistratura nostrana è evidente ma che ciò giustifichi il sovvertimento di ogni concetto processuale questo sinceramente sconforta l’interprete. Il giudice, terminata la discussione, si ritira in Camera di Consiglio quindi, legge il dispositivo. Le motivazioni possono essere lette contestualmente ovvero depositate nei termini di legge. Ciò che vale è il dispositivo, che non può essere integrato dalla motivazione. E’ principio consolidato che nel contrasto tra motivazione e dispositivo prevalga quest’ultimo, perché è questo che rappresenta il decisum proprio del giudice ciò è ammesso dalla stessa Corte di cassazione nella sentenza de qua . Se ciò è, come può ricavarsi una decisione di condanna dalla motivazione? L’obbligo di motivazione, invero piuttosto modesto, per la declaratoria di non punibilità per intervenuta prescrizione è dato al fine di verificare che non vi sia evidenza della prova di innocenza e non per dimostrare una colpevolezza – ahimè – non punibile. La non punibilità del fatto, infatti, discende dalla legge per il solo fatto che è intervenuta la prescrizione, sicché l’affermazione di una condanna seppur nelle sole motivazioni sarebbe contra legem il giudice, infatti, non deve prima condannare e poi prosciogliere, ma prosciogliere e spiegare perché non ha ritenuto di applicare una formula assolutoria più favorevole. Da qui, come può sostenersi seriamente, da un punto di vista squisitamente tecnico, che ci sia stata una affermazione di colpevolezza e, dunque, di condanna in una sentenza, il cui dispositivo è assolutorio? Il fatto è che, come una attenta lettura della sentenza in questione testimonia, che non interessa più tanto il dispositivo, quanto ricavare dalla sentenza elementi che possano in qualche modo giustificarne l’inattaccabilità giuridica in caso di condanna. Tale incertezza è evidente, come ancora più evidente è l’esegesi ormai diffusissima delle sentenze pronunciate a livello della CEDU, della Sezioni unite e della Corte costituzionale. Vi è sempre di più la propensione nell’interpretarle contra reum , nel vedere in esse non già l’esigenza di una certezza del diritto e la necessità di evitare l’applicazione di sanzioni in contesti ambigui, ma la conferma di propri assunti, purché “opportunamente” modulati. Sinceramente, per quanti sforzi esegetici possano farsi, il proscioglimento non è condanna e la condanna non è proscioglimento. Affermare che, essendo stato prosciolto, in realtà sono stato comunque condannato non è una bella affermazione. Si dirà ma allora è questione di gusto? Tutto pare opinabile, in effetti, ma in fondo la realtà ha pure un senso insopprimibile ed ineliminabile. Nel mondo del diritto, fatto di parole, le parole sono tutto sicché quando queste perdono pregnanza, la confusione regna sovrana e con essa l’arbitrio ed in definitiva l’ingiustizia. L’incertezza del diritto è sempre stata biasimata, ma ormai è superata dall’incertezza delle sentenze nell’ascoltarle, quando sono pronunciate nel nome del Popolo italiano, non si può mai sapere cosa dicono

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 21 aprile – 14 luglio 2017, numero 34537 Presidente Amoresano – Relatore Molino Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Sondrio in data 25.11.2014, ha dichiarato non doversi procedere, per intervenuta prescrizione, nei confronti di Z.L. per il reato di cui agli articolo 282 e 295, comma terzo, D.P.R. 23.1.1973, numero 43 e all’articolo 70 D.P.R. 26.10.1972, numero 633, in relazione alla illecita introduzione di merce del territorio nazionale, confermando la rimanente statuizione in ordine alla confisca di quanto in sequestro. 2. Ha interposto ricorso per cassazione l’imputato, per mezzo dei difensori di fiducia, affidando il gravame a due motivi. 3. Con il primo motivo si deduce l’erronea applicazione e inosservanza della legge penale, nonché mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione, con riferimento alla ritenuta sussistenza dell’elemento oggettivo del reato. Secondo il ricorrente, il giudice di appello, nel ravvisare la ricorrenza della causa di estinzione ritenendo mancanti i presupposti per una declaratoria di assoluzione dell’imputato nel merito, avrebbe illegittimamente rovesciato quanto ritenuto dal primo giudice - che aveva circoscritto l’ambito del contrabbando alla sola violazione dei dazi doganali - dapprima riconoscendo che la mera inosservanza dei dazi non integra più il reato di contrabbando ove riguardi merce proveniente come nella fattispecie dalla Confederazione Svizzera, in virtù dell’accordo di libero scambio trasfuso nel regolamento CEE numero 1972/2840, ma poi ravvisando la violazione dell’Iva che invece il giudice di prime cure aveva escluso - muovendo dall’assunto che la documentazione prodotta dall’imputato in ordine all’acquisto della merce introdotta in Italia non comproverebbe l’effettivo assolvimento di tale imposta in Svizzera. Tale argomentazione contrasterebbe con quanto emerge documentalmente nel fascicolo del dibattimento, in specie nella fattura emessa in data 13.11.2016 e relativa all’acquisto di tre orologi in particolare, sarebbe illogica la motivazione della Corte territoriale nel ritenere, anche sulla scorta di quanto affermato dal teste di Polizia Doganale sentito in appello, che tale fattura, in quanto mancante della indicazione letterale della corrispondente voce di imposta, ne comproverebbe il mancato versamento in territorio elvetico secondo il ricorrente, non essendo ammessi in sede penale ragionamenti presuntivi quali quelli adottati dall’organo di vigilanza doganale, la Corte meneghina avrebbe dovuto compiere ulteriori accertamenti, assumendo informazioni presso la dogana svizzera o acquisendo informazioni presso la venditrice, laddove invece non è stato neppure accertato se l’imputato avesse o meno richiesto l’esenzione dall’Iva al momento dell’uscita dal territorio svizzero. 4. Con il secondo motivo, si deduce l’erronea applicazione e inosservanza della legge penale e di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale, nonché la mancanza o manifesta illogicità della motivazione, con riferimento alla ritenuta sussistenza di una precedente pronuncia di condanna atta a fondare la conferma della disposta confisca. Ad avviso del ricorrente, il reato contestato è prescritto sin dalla data del 6.7.2014, considerando il termine di anni sette e mesi sei decorrente dalla data di commissione del fatto che deve collocarsi, secondo lo stesso capo di imputazione, al 6 gennaio 2007 e non, come erroneamente ritenuto dal giudice di primo grado al 6 gennaio 2009 per effetto di tale inspiegabile collocazione temporale, il giudice di primo grado, anziché emettere sentenza ai sensi dell’articolo 129 cod. proc. penumero , ha abnormemente condannato l’imputato alla pena di mesi otto di reclusione, disponendo la confisca dell’orologio in sequestro alla declaratoria di intervenuta prescrizione ha proceduto invece per la prima volta la Corte di appello di Milano, che però ha confermato la misura di sicurezza prevista dall’articolo 301, comma primo, del D.P.R. numero 43 del 1973. Tale statuizione è sottoposta a critica dal ricorrente, che ricorda come il principio di diritto statuito da questa Corte Sez. 3, numero 429 del 28/09/2011, dep. 11/01/2012, PG in proc. Trefalt - secondo cui la disposizione di cui al D.P.R. 23 gennaio 1973, numero 43, articolo 301, comma 1, come sostituito dalla L. 30 dicembre 1991, numero 413, articolo 11, comma 19 , per la quale il giudice procedente per il delitto di contrabbando doganale deve sempre ordinare la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono l’oggetto ovvero il prodotto o il profitto , deroga alla disciplina generale posta dall’articolo 240 c.p. e rende obbligatoria l’applicazione della confisca tanto nel caso in cui l’imputato sia stato dichiarato colpevole e condannato, tanto nel caso in cui il medesimo sia stato assolto o prosciolto per cause che non riguardano la materialità del fatto e non interrompono il rapporto tra le cose ed il fatto della loro introduzione nel territorio dello Stato - è stato espressamente superato dalla giurisprudenza della Corte Europea dei diritto dell’uomo casi Varvara c. Italia caso Paraponias c. Grecia , che ha ripetutamente ammonito sulla incompatibilità dell’ordine di confisca con una contestuale sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione. Il ricorrente ricorda gli approdi successivamente raggiunti dalla giurisprudenza costituzionale Corte cost., sentenza numero 49 del 2015 e di questa stessa Corte di legittimità nella sua più autorevole composizione Sez. U., numero 31617 del 26.6.2015, Lucci , ma osserva che la Corte d’appello territoriale, nel fare riferimento proprio a tale ultimo insegnamento nomofilattico laddove afferma che il giudice, nel dichiarare la estinzione del reato per intervenuta prescrizione, può disporre, a norma dell’articolo 240, comma secondo, numero 1 cod. penumero , la confisca del prezzo e, ai sensi dell’articolo 322 ter cod. penumero , la confisca diretta del prezzo o del profitto del reato a condizione che vi sia stata una precedente pronuncia di condanna e che l’accertamento relativo alla sussistenza del reato, alla penale responsabilità dell’imputato e alla qualificazione del bene da confiscare come prezzo o profitto rimanga inalterato nel merito nei successivi gradi di giudizio avrebbe posto a fondamento della conferma della misura di sicurezza quello stesso accertamento di responsabilità che aveva poco prima definitivo impreciso e sbrigativo quanto alla esclusione della violazione del regime Iva. Infine, la sentenza impugnata sarebbe errata nel momento in cui omette di considerare che, proprio stando al percorso motivazionale della stessa richiamata sentenza delle Sezioni Unite che assimila la pronuncia in materia di confisca alla decisione sugli effetti civili in caso di sopravvenuta declaratoria di estinzione del reato per prescrizione - l’accertamento che la prescrizione del reato imputato allo Z. è maturata prima della pronuncia di primo grado, così come non avrebbe potuto determinare la conferma delle eventuali statuizioni civili in quella contenute, preclude la conferma della confisca applicata dal primo giudice. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato e va rigettato. 2. Il primo motivo - con il quale si censura la declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione, laddove invece la Corte di appello di Milano avrebbe dovuto assolvere l’imputato con formula di merito - è manifestamente infondato. 2.1. Come costantemente ribadito da questa Corte fra le tante Sez. 6, numero 48527 del 18/11/2003, Tesserin e altro, Rv. 228505 , in presenza della causa estintiva della prescrizione del reato, l’obbligo del giudice di immediata declaratoria ex articolo 129 cod. proc. penumero postula che le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la rilevanza penale di esso e la non commissione del medesimo da parte dell’imputato emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, senza necessità di ulteriore accertamento, sicché la valutazione che in proposito deve essere compiuta appartiene più al concetto di constatazione che a quello di apprezzamento consegue, pertanto, che qualora le risultanze processuali siano tali da condurre a diverse ed alternative interpretazioni, senza cioè che risulti evidente la prova dell’estraneità dell’imputato al fatto criminoso, non può essere applicata la regola di giudizio ex articolo 530, comma secondo cod. proc. penumero che equipara la prova incompleta, contraddittoria od insufficiente alla mancanza di prova, ma deve essere dichiarata la causa estintiva della prescrizione. Ancora in anni recenti Sez. 6, numero 10284 del 22/01/2014, Culicchia, Rv. 259445 è stato affermato che la formula di proscioglimento nel merito prevale sulla dichiarazione di improcedibilità per intervenuta prescrizione soltanto nel caso in cui sia rilevabile, con una mera attività ricognitiva, l’assoluta assenza della prova di colpevolezza a carico dell’imputato ovvero la prova positiva della sua innocenza, e non anche nel caso di mera contraddittorietà o insufficienza della prova che richiede un apprezzamento ponderato tra opposte risultanze. 2.2. Tale situazione ricorre precisamente nella fattispecie, nella quale lo stesso ricorrente sollecita una riconsiderazione delle conclusioni raggiunte dai giudici di merito lamentando addirittura il mancato compimento, da parte della Corte territoriale, degli accertamenti istruttori necessari a stabilire l’effettivo assolvimento degli obblighi di versamento dell’IVA, a dimostrazione plastica che in nessun modo il giudice territoriale avrebbe potuto e dovuto procedere ad una mera constatazione dell’esistenza di un motivo di proscioglimento nel merito, la cui supposta rilevazione implicava proprio quella attività di valutazione ponderata anche mediante l’esercizio di eventuali poteri istruttori integrativi preclusa dall’emersione della causa di estinzione del reato. 3. È invece solo infondato il secondo motivo di ricorso, con il quale si eccepisce la nullità della confisca disposta, a fronte della dichiarata prescrizione del reato. 3.1. Deve innanzitutto preliminarmente escludersi la fondatezza di quanto osservato dalla difesa, in sede di discussione orale, in ordine al fatto che, avendo il giudice di primo grado escluso in motivazione la condotta di evasione dell’imposta sul valore aggiunto e non essendoci stata impugnazione dell’organo di accusa sul punto, su tale profilo la Corte di appello non avrebbe potuto statuire per effetto del perfezionarsi del giudicato. L’assunto non corrisponde a quanto emerge dalla lettura del dispositivo della sentenza di primo grado, al quale deve essere assegnata logica prevalenza, in caso di contrasto da ultimo, Sez. 6, numero 7980 del 01/02/2017, Esposito, Rv. 269375 , sulla motivazione - le cui lacune e imprecisioni, nella fattispecie, sono state in effetti sottolineate dalla Corte di appello milanese risultando infatti che l’imputato è stato condannato dal Tribunale di Sondrio per l’illecita introduzione di merce del territorio nazionale sotto il duplice profilo della violazione sia dei diritti di confine articolo 282 e 295, d.P.R. numero 43 del 23 gennaio 1973 , quanto dell’Iva articolo 70, d.P.R. numero 633 del 26 ottobre 1972 sicché in nessun modo può dirsi che lo Z. sia stato assolto in primo grado su tale secondo profilo e che la Corte di appello, nel dichiarare la prescrizione, abbia statuito su un capo della sentenza sul quale si era formato il giudicato a seguito della mancata impugnazione del PM. 3.2. Chiarito ciò, occorre affrontare le ulteriori doglianze difensive in ordine alla argomentata impossibilità di disporre la confisca, prevista dall’articolo 301 del d.P.R. 43/1973, delle cose in sequestro in quanto oggetto ovvero prodotto o profitto del reato di contrabbando, per effetto degli approdi raggiunti dalla giurisprudenza convenzionale EDU, che avrebbero sancito definitivamente la non esperibilità della misura ablatoria in assenza di condanna conclusione secondo la difesa - tanto più sostenibile nel caso di specie, in relazione ad una prescrizione che avrebbe dovuto essere dichiarata come in effetti rilevato dalla Corte di appello sin dal primo grado, essendo maturata in data 6 luglio 2014 e cioè in epoca antecedente alla pubblicazione della sentenza del Tribunale di Sondrio, avvenuta in data 25 novembre 2014. Orbene, contrariamente a quanto opinato in ricorso, la sentenza impugnata non risulta affetta da alcun errore nella applicazione della legge penale né da vizio motivazionale, avendo la Corte milanese correttamente ricordato con puntuale e articolata motivazione che la confisca dei beni introdotti con evasione di imposta - applicabile in forza del richiamo operato dall’articolo 70 del Testo Unico sull’Iva d.P.R. 633/1972 a tutte le disposizioni delle leggi doganali relative ai diritti di confine, e dunque anche alla confisca prevista dall’articolo 301 del D.P.R. 43/1973 - può essere disposta anche in caso di prescrizione del reato. Questa Corte ha già affermato, proprio in una fattispecie di introduzione di merce proveniente dalla Confederazione Elvetica senza pagamento dell’IVA, che nel caso di reato di cui all’articolo 70 del d.P.R. numero 633 del 1972 illecito sul quale non incide l’Accordo tra la Confederazione Elvetica e la Comunità Europea del 19 dicembre 1972, che ha sì abolito i dazi doganali tra le due Parti, ma non ha anche incluso la Svizzera nel territorio doganale della comunità , la confisca di tale merce è obbligatoria ai sensi dell’articolo 301 del d.P.R. numero 43 del 1973, richiamato dal citato articolo 70 del d.P.R., numero 633 del 1972 Sez. 3, numero 17835 del 03/03/2005, Santoro, Rv. 231836 osservando altresì a più riprese che, in tema di contrabbando, deve essere disposta, in deroga alla previsione generale dell’articolo 240 cod. penumero , la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne siano state l’oggetto ovvero il prodotto o il profitto, anche nel caso in cui l’imputato sia stato prosciolto o assolto per cause che non incidono sulla materialità del fatto da ultimo, Sez. 2, numero 8330 del 26/11/2013, dep. 21/02/2014, Antonicelli, Rv. 259009 in precedenza, Sez. 3, numero 3549 del 29/10/1997, P.M. in proc. Ratti, Rv. 209052 Sez. 3, numero 4739 del 26/11/2001, Vanni, Rv. 221054 Sez. 3, numero 25887 del 26/05/2010, Petrol Service Srl, Rv. 248057 Sez. 3, numero 38724 del 21/09/2007, P.G. in proc. Del Duca, Rv. 237924 . Non colgono allora nel segno le critiche difensive, allorché sottolineano l’omessa considerazione, da parte della Corte milanese, della impossibilità di accedere alla confisca affermata in più occasioni in particolare, nella nota sentenza Varvara dalla Corte EDU, e ciò per un duplice ordine di argomenti. In primo luogo, per la ragione - ricordata nella sentenza impugnata - che i principi convenzionali fanno riferimento ai casi nei quali alla confisca può essere assegnata natura prevalentemente sanzionatoria, ipotesi nella quale non pare ricadere la confisca obbligatoria prevista dal Testo Unico Doganale, in cui risalta la funzione di misura di sicurezza tendente ad evitare l’ulteriore impiego o circolazione di beni segnati da illiceità e che quindi trova la propria ragion d’essere in una valutazione del legislatore non incentrata almeno non in maniera preponderante sulla necessità di sanzionare l’autore del reato. Secondariamente, in quanto, anche volendo - per comodità di ragionamento - accedere ad una lettura della misura prevista dall’articolo 301 del D.P.R. 43/1973 che ne privilegi la funzione afflittiva, è del tutto controvertibile l’assunto difensivo che afferma l’impraticabilità per l’assenza di una pronuncia definitiva di condanna e, nel caso di specie, all’intervenuto proscioglimento per prescrizione. Senza infatti voler richiamare tutte le questioni insorte all’indomani della decisione assunta dalla Corte EDU in data 29 ottobre 2013 nella causa Varvara c. Italia, è sufficiente considerare le indicazioni espresse dalla Corte Costituzionale nella ben nota sentenza numero 49 del 26 marzo 2015 in tema di confisca urbanistica, nella quale il Giudice delle leggi - tenuto anche conto di quanto affermato dal giudice convenzionale - ha precisato che di per sé non è escluso che il proscioglimento per prescrizione possa accompagnarsi alla più ampia motivazione sulla responsabilità, ai soli fini della confisca del bene lottizzato misura, quest’ultima, che il giudice penale è tenuto a disporre con la sentenza definitiva che accerta che vi è stata lottizzazione abusiva ai sensi del D.P.R. numero 380 del 2001, articolo 44, comma 2 , rilevando, altresì, che allo stato, e salvo ulteriori sviluppi della giurisprudenza Europea, deve perciò ritenersi erronea la tesi che la sentenza Varvara sia univocamente interpretabile nel senso che la confisca urbanistica possa essere disposta solo unitamente ad una formale sentenza di condanna da parte del giudice per il reato di lottizzazione abusiva lasciando invece aperta la strada ad una accezione di condanna in senso sostanziale , soddisfatta dall’accertamento incidentale della colpevolezza dell’imputato, pur prosciolto all’esito del giudizio in conseguenza della rilevata prescrizione del reato. Tale convincimento, in quanto spendibile anche per le ipotesi in cui la norma interna che prevede la confisca richieda espressamente una sentenza di condanna sul punto, la Consulta ha testualmente affermato nell’ordinamento giuridico italiano la sentenza che accerta la prescrizione di un reato non denuncia alcuna incompatibilità logica o giuridica con un pieno accertamento della responsabilità , non trova ostacoli nemmeno per la confisca prevista dall’articolo 301 del Testo Unico in materia doganale, confisca che, allorquando richiede come semplice presupposto il caso di contrabbando , ricalca, nella sua formulazione, lo stesso schema, rintracciabile nella confisca urbanistica, di misura obbligatoria indipendente dalla condanna. D’altra parte, già con le Sezioni Unite De Maio Sez. U, numero 38834 del 10/07/2008, PM in proc. De Maio, Rv. 240565 questa Corte, nella sua più autorevole composizione, ha individuato, tra le altre, proprio l’ipotesi della confisca di cui al citato articolo 301 quale paradigma per dimostrare che l’ordinamento non esclude affatto che la confisca possa essere disposta sebbene il reato venga dichiarato estinto per prescrizione, sempre che non venga escluso il rapporto tra la res ed il reato in questo caso fra la merce oggetto di introduzione nel territorio nazionale e il fatto di contrabbando , e che dunque non può considerarsi anomalo il provvedimento con cui il giudice, pur prosciogliendo l’imputato, contestualmente proceda anche ad accertamenti relativi alla confiscabilità delle cose in sequestro. Non può poi sottacersi che le Sezioni Unite Lucci Sez. U, numero 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264434 , nel ribadire che la prescrizione non è concettualmente incompatibile con un accertamento di responsabilità idoneo a legittimare l’applicazione di una misura ablatoria, in presenza di una misura che venga qualificata come pena , alla luce dei criteri elaborati dalla Corte di Strasburgo, hanno osservato che a maggior ragione un simile approdo non può non essere valorizzato nell’ipotesi - cui sembra ascriversi la fattispecie in esame - la misura in questione non attinga o quanto meno non in forma prevalente siffatte connotazioni sanzionatorie. Nella stessa sentenza Lucci, la Corte ha anche indicato i termini esatti dell’accertamento di responsabilità sufficiente a legittimare la confisca anche in presenza di successiva dichiarazione di estinzione del reato, chiarendo che tale accertamento deve confluire in una pronuncia che, non solo sostanzialmente, ma anche formalmente, la dichiari, con la conseguenza che l’esistenza del reato e la colpevolezza dell’imputato devono aver formato oggetto di una condanna, i cui termini essenziali non abbiano, nel corso del giudizio, subito mutazioni quanto alla sussistenza di un accertamento al di là dì ogni ragionevole dubbio di modo che l’intervento della prescrizione, dunque, per poter consentire il mantenimento della confisca, deve rivelarsi quale formula terminativa del giudizio anodina in punto di responsabilità . 3.3. Ciò posto, rileva allora il Collegio che, nel caso in esame, la Corte territoriale ha ampiamente ed adeguatamente motivato in ordine alla responsabilità del ricorrente per il reato contestato in relazione alla evasione del tributo Iva, confermando, all’esito di tale disamina, la confisca già disposta dal primo giudice il fatto che sia poi intervenuta la declaratoria di estinzione per intervenuta prescrizione, così come l’ulteriore circostanza che tale dichiarazione avrebbe potuto effettuarsi già in primo grado non rende meno legittimo l’accertamento giudiziale, nel pieno contraddittorio, del reato di contrabbando, tanto sotto il profilo della condotta quanto sotto il profilo soggettivo, il che giustifica la confisca obbligatoria prevista dalla norma speciale. Il ricorrente contesta tale conclusione, invocando la giurisprudenza in tema di decisione sugli effetti civili ex articolo 578 cod. proc. penumero , secondo cui non è consentito provvedere su detti effetti se la prescrizione - come nella fattispecie - sia maturata anteriormente alla sentenza di primo grado da ultimo, Sez. 3, numero 15245 del 10/03/2015, P.C. e C in proc. C e altri, Rv. 263018 nel passato, tra le altre, Sez. 2, Sentenza numero 5705 del 29/01/2009, Somma e altro, Rv. 243290, per le quali Il giudice dell’impugnazione, accertata che la causa estintiva del reato - prescrizione o amnistia - è intervenuta prima dell’emissione della sentenza oggetto di gravame ed erroneamente non è stata rilevata da quel giudice, deve annullare le statuizioni civili da questi pronunciate . Tale regola dovrebbe valere - secondo la difesa - anche per la confisca disposta con la sentenza di primo grado che abbia erroneamente condannato l’imputato omettendo di dichiarare invece l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione e ciò sulla base di una lettura delle citate Sezioni Unite Lucci secondo cui la pronuncia in materia di confisca sarebbe da assimilare alla decisione sugli effetti civili in caso di sopravvenuta declaratoria di estinzione del reato per prescrizione. La tesi difensiva, pur suggestiva, non è però convincente. Nella sentenza Lucci , l’assimilazione della odierna situazione a quella relativa alla decisione sugli effetti civili nel caso di sopravvenuta declaratoria di estinzione del reato per prescrizione è prospettata, in un passaggio argomentativo già parzialmente sopra citato, al fine di affermare che, per poter consentire il mantenimento della confisca, la prescrizione deve rivelarsi quale formula terminativa del giudizio anodina in punto di responsabilità, finendo in tal modo per confermare la preesistente e necessaria pronuncia di condanna. Ad avviso del Collegio, tale affermazione sta certamente a significare che la prescrizione dichiarata nel giudizio di appello deve essere neutra , nel senso che, sulla base del contenuto motivazionale della sentenza di secondo grado, l’accertamento sulla sussistenza del reato e sulla sua attribuzione all’imputato, già operato in primo grado, deve risultare integralmente ribadito e non scalfito da ragionevoli dubbi, di modo che la declaratoria di estinzione non altro significhi se non una oggettiva presa d’atto del rintocco prescrizionale su una fattispecie altrimenti destinata alla conferma della condanna. Al contrario, è dubbio che la sentenza Lucci abbia voluto espressamente affermare che la regola di cui alla riportata giurisprudenza di legittimità - circa appunto il dovere di annullamento in appello delle statuizioni civili, qualora si accerti che la causa estintiva del reato è intervenuta prima dell’emissione della sentenza oggetto di gravame e per errore non è stata rilevata dal giudice di primo grado - debba essere automaticamente trasposta alla statuizione di confisca disposta dal giudice di primo grado che, accertata non incidentalmente la sussistenza del reato e la colpevolezza dell’imputato, abbia omesso di rilevare l’intervenuta prescrizione ed abbia condannato l’imputato. Una tale ricostruzione, infatti, finisce per attribuire al pronunciamento delle Sezioni Unite una conclusione - quella secondo cui, in definitiva, il giudice di primo grado che incroci l’avvenuto decorso del termine prescrizionale del reato non potrebbe mai pervenire alla confisca, anche quando abbia comunque acclarato, non attraverso un mero accertamento incidentale dal momento che ciò si tradurrebbe in una non consentita trasformazione della confisca in una tipica actio in rem ma nella pienezza dell’accertamento principale in contradditorio, la sussistenza del reato e la responsabilità del suo autore - non dimostrata, ed anzi opinabile alla luce dei valori costituzionali e pubblicistici che le stesse Sezioni Unite Lucci hanno ricordato ispirare le finalità preventive sottostanti alla confisca non punitiva e che ben possono giustificare una regolamentazione differente rispetto a quanto avviene per le statuizioni civili tenuto anche conto - quanto a queste ultime - della accessorietà dell’azione civile del processo penale che ne giustifica all’interno del sistema, in più di una occasione, un minor grado di tutela . 4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.