La minaccia dell’esercizio di un diritto, se fortemente intimidatoria, può sfociare in rapina

Ciò che distingue l’articolo 393 c.p. esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone dall’articolo 628 c.p. rapina è l’elemento soggettivo. Nel primo caso, esso consiste nella coscienza dell’agente che l’oggetto della propria pretesa gli competa giuridicamente, mentre nella rapina, l’agente ha la consapevolezza che quanto si pretende non compete e non è giuridicamente azionabile.

Questo è il principio di diritto ribadito dalla Corte di Cassazione nella sentenza numero 23678, depositata il 3 giugno 2015. Il caso. La Corte d’Appello di Roma, decidendo in sede di rinvio a seguito della sentenza della Corte di Cassazione, confermava la sentenza di primo grado che aveva qualificato il reato compiuto dall’imputato come rapina. Avverso la sentenza sopra citata ricorre in Cassazione il difensore dell’imputato, lamentando violazioni di legge e vizi motivazionali in riferimento agli artt.628 e 393 c.p Secondo il ricorrente, infatti, i giudici di secondo grado erroneamente escludevano il reato meno grave di cui all’art 393 c.p., fondandosi sull’asserita illiceità del credito vantato stupefacenti . La consapevolezza della non azionabilità in giudizio del credito vantato. La Corte Suprema ritiene coerente la conclusione a cui sono pervenuti i giudici di merito. Gli stessi infatti, escludevano la configurabilità del reato di cui all’articolo 393 c.p., in quanto la condotta violenta tenuta dal condannato nei confronti del padre del presunto debitore non risulta fondata su un credito riconosciuto dall’ordinamento giuridico acquisto di un motorino , bensì su un credito illecito cessione di stupefacenti . I giudici di legittimità colgono l’occasione per ricordare il consolidato principio di diritto che colloca l’elemento discriminante tra i due reati sopracitati nell’elemento psicologico. Infatti, come ribadito dalla S.C., il reato di rapina si concretizza nel fine di procurare a sé o ad altri un profitto ingiusto «con la consapevolezza che quanto si pretende non compete e non è giuridicamente azionabile» Cass., sez. II, numero 43325/2007, Rv. 238309 . La violenta “esecuzione” presso terzi delle pretese creditorie. Inoltre, è certamente da escludersi che la violenta “esecuzione” presso i terzi delle proprie pretese creditorie, come nel caso di specie, rientri nello schema tipico del delitto di cui all’art 393 c.p Infatti, sulla base di una consolidata giurisprudenza Cass., sez. III, numero 15245/2015, RV. 263019 , i giudici di legittimità evidenziano come, seppure in presenza di ragionevoli motivi di esercitare un proprio diritto, qualora la minaccia o la violenza si traducano in forme fortemente intimidatorie, allora la condotta risulta finalizzata al conseguimento di un profitto che in tal modo assume i caratteri dell’ingiustizia. Di conseguenza, tali modalità aggressive vanno a integrare gli estremi del reato di rapina. Esulando così dalla competenza della Corte Suprema una diversa lettura degli elementi posti a fondamento della decisione emessa dal giudice di merito, i giudici di legittimità rigettano il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 1 aprile – 3 giugno 2015, numero 23678 Presidente Ippolito – Relatore De Amicis Ritenuto in fatto 1. Con sentenza emessa in data 15 luglio 2014 la Corte d'appello di Roma, decidendo in sede di rinvio a seguito della sentenza della Corte di Cassazione in data 18 marzo 2014, ha confermato la sentenza del Tribunale di Cassino in data 1° agosto 2011, appellata da A.S., limitatamente alla contestazione del reato di rapina di cui al capo sub B , commesso in Cassino il 12 febbraio 2011, e ha determinato la relativa pena in anni tre, mesi sei di reclusione ed euro 1.000,00 di multa. 2. Avverso la sentenza sopra indicata ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'imputato, deducendo violazioni di legge e vizi motivazionali in relazione agli articolo 628 e 393 c.p., per avere la Corte d'appello erroneamente escluso il reato meno grave sulla base dell'asserita illiceità del credito vantato - quando invece nella precedente decisione di secondo grado la Corte aveva riconosciuto che il credito dello S. era legittimo e non riconducibile ad una cessione di stupefacente - ed aveva, altresì, correttamente ritenuto che la violenza può essere indirizzata a persona diversa da quella che si trova in conflitto d'interessi con l'agente, essendo evidente, nel caso di specie, la connessione tra condotta dell'imputato volta a far valere il preteso diritto e la pretesa violenza in danno del padre convivente di M.F Considerato in diritto 1. II ricorso è infondato e va dunque rigettato per le ragioni di seguito indicate. 2. Nel caso in esame, i Giudici di merito hanno congruamente osservato in punto di fatto che la violenta condotta posta in essere dall'imputato - consistita nell'entrare all'interno dell'abitazione dei coniugi M. Gino e Tafano Giuseppina, spingendo con forza la porta d'ingresso, spintonando contro il muro il M. e strappandogli di dosso la catenina d'oro al collo, del valore di circa trecento euro, di cui si impossessava sottraendola alla persona offesa - non è stata rivolta verso il presunto debitore, ossia F.M., ma verso i suoi stretti congiunti, del tutto estranei al presunto rapporto obbligatorio, per il solo fatto di averli trovati in casa. Sulla base della ricostruzione dei fatti operata dal Giudice di primo grado, inoltre, la Corte d'appello ha posto in rilievo, con adeguata e logica motivazione, il profilo della non azionabilità in giudizio dei preteso credito, in quanto riconducibile ad una cessione di stupefacenti, anziché ad un asserito, e non provato, prestito per l'acquisto di un motorino. 3. Del tutto coerente, dunque, deve ritenersi la conclusione cui sono pervenuti i Giudici di merito, nell'osservare che il diverso reato di cui all'articolo 393 c.p. avrebbe potuto configurarsi nella sola ipotesi, non riscontrata nel caso in esame, in cui la condotta, fondata su un credito riconosciuto dall'ordinamento giuridico, fosse stata indirizzata nei confronti della persona ritenuta in buona fede debitrice. Si tratta di una conclusione in linea con l'incontestato principio di diritto che pone l'elemento di differenziazione tra il delitto di rapina e quello di esercizio arbitrario nell'elemento soggettivo, che per il primo reato consiste nella ragionevole opinione dell'agente di esercitare un diritto con la coscienza che l'oggetto della pretesa gli competa giuridicamente, mentre per la rapina si concretizza nel fine di procurare a sè o ad altri un profitto ingiusto con la consapevolezza che quanto si pretende non compete e non è giuridicamente azionabile v. Sez. 2, numero 43325 del 18/10/2007, dep. 22/11/2007, Rv. 238309 . Al riguardo, peraltro, deve soggiungersi, come puntualmente rimarcato dai Giudici di merito, che nello schema tipico dei reato di ragion fattasi non rientra certamente una violenta esecuzione presso terzi delle proprie ragioni creditorie. Nella giurisprudenza di questa Suprema Corte da ultimo, v. Sez. 3, numero 15245 del 10/03/2015, dep. 14/04/2015, Rv. 263019 Sez. 2, numero 38517 del 23/09/2008, dep. 10/10/2008, Rv. 241460 Sez. 2, numero 43325 del 18/10/2007, dep. 22/11/2007, cit. Sez. 2, numero 8753 del 17/03/1987, dep. 28/07/1987, Rv. 176461 si è infatti evidenziato che, anche in presenza di una ragionevole opinione di esercitare un proprio diritto, allorché la violenza o la minaccia si estrinsecano in forme di tale forza intimidatoria che vanno al di là di ogni ragionevole intento di far valere un diritto, allora la condotta risulta finalizzata a conseguire un profitto che assume ex se i caratteri dall'ingiustizia, con la ulteriore conseguenza che le modalità violente di tale condotta vengono ad integrare gli estremi dei reato di cui all'articolo 628 c.p Pertanto, in determinate circostanze e situazioni, anche la minaccia dell'esercizio di un diritto, in sè non ingiusta, può diventare tale, se si estrinseca con modalità violente che denotano soltanto la volontà di impossessarsi comunque della cosa, e che fanno sfociare l'azione nel reato previsto dall'articolo 628 c.p., integrando tutti gli elementi costitutivi di tale figura delittuosa. 4. Per quel che attiene ai prospettati vizi motivazionali, deve rammentarsi che nel giudizio di legittimità deve essere accertata la coerenza logica delle argomentazioni seguite dal giudice di merito nel rispetto delle norme processuali e sostanziali. Ai sensi del disposto di cui all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lett. e , la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione devono risultare dal testo del provvedimento impugnato, sicché dedurre tale vizio in sede di legittimità comporta dimostrare che il provvedimento è manifestamente carente di motivazione o di logica, e non già opporre alla logica valutazione degli atti operata nel caso in esame dal giudice di merito una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica, degli atti processuali S.U. 19.6.96, De Francesco . Esula infatti dai poteri della Corte di Cassazione quello di una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata in via esclusiva al giudice di merito, senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali ritenute dal ricorrente più adeguate S.U. 2.7.97 numero 6402, Dessimone . 5. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente ex articolo 616 cod. proc. penumero al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.