Automobilista nel mirino per un presunto divieto di sosta, ma in contravvenzione viene riportata una segnaletica inesistente. Accusa pesante per l'agente di polizia municipale.
Da un lato, la richiesta di rinvio a giudizio, avanzata dal Pubblico Ministero, e, dall’altro, il «non luogo a procedere perché il fatto non costituisce reato per insussistenza dell’elemento soggettivo» deciso dal Giudice dell’udienza preliminare in ballo le accuse a un agente di polizia municipale per una multa per divieto di sosta falsa o, forse, più semplicemente, non esatta. La chiusura della vicenda, però, viene ritenuta prematura. Perché l’indagine sull’«elemento psicologico del reato», nel contesto dell’udienza preliminare, è legittima, mentre valutazioni sull’«effettiva direzione della volontà» e opzioni fra le «molteplici soluzioni aperte» - come chiarisce la Cassazione, con sentenza numero 43302/2011, Sesta sezione Penale, depositata ieri – sono riservate al giudice del dibattimento, alla luce dell’«effettivo contraddittorio fra le parti». Segnaletica fantasma. Divieto di sosta. Questa la violazione attribuita a un automobilista, con tanto di contravvenzione, aggravata anche dalla presenza, riportata dall’agente di polizia municipale, di un «divieto imposto con segnaletica verticale». Ma la multa viene contestata in toto dall’automobilista, denunciando un abuso da parte dell’agente di polizia municipale. E tale denuncia viene considerata fondata dal Pubblico Ministero, che chiede il rinvio a giudizio del vigile urbano perché «in realtà, sulla via ove era stata parcheggiata l’auto, non esisteva segnaletica di divieto di sosta», quindi la contravvenzione contestata era da considerare «abuso d’ufficio» capace di «arrecare un danno ingiusto» all’automobilista e «formare un atto ideologicamente falso». Voluntas in discussione. Di tutt’altro avviso, invece, il Giudice dell’udienza preliminare, che opta per il «non luogo a procedere». Su quali basi? Semplicemente «il fatto non costituisce reato per insussistenza dell’elemento soggettivo», perché mancano, nell’azione del vigile urbano, «la consapevole e volontaria rappresentazione di circostanze non corrispondenti al vero» e «il dolo intenzionale di produrre un danno ingiusto». Per il Giudice, quindi, si è trattato di un mero errore, non di una scelta consapevole finalizzata a penalizzare l’automobilista. Decisione prematura. La questione, però, torna ad essere in discussione alla luce del ricorso per cassazione presentato dall’avvocato dell’automobilista. Obiettivo del ricorso è contestare sia la regola di giudizio, utilizzata dal giudice, sia la motivazione. In premessa, però, per i giudici di piazza Cavour, è legittima la tutela richiesta dall’automobilista primo, perché sussiste l’interesse alla «repressione del fatto criminoso nella più accentuata tutela della posizione del titolare del bene leso dal reato» secondo, perché per il reato di abuso d’ufficio è possibile la lesione non solo dell’«interesse pubblico al buon andamento e alla trasparenza della Pubblica Amministrazione» ma anche dell’«interesse del privato a non essere turbato nei propri diritti, costituzionalmente garantiti, dal comportamento illegittimo e ingiusto del pubblico ufficiale». Passaggio successivo, e centrale, è quello della valutazione del ‘peso’ dell’udienza preliminare. Su questo fronte, i giudici ricordano che, nonostante gli ultimi ‘aggiornamenti’, resta intatta «la natura dell’udienza preliminare», ovvero «processuale e non di merito», e resta immutato lo scopo, ovvero «evitare i dibattimenti inutili, non accertare se l’imputato è colpevole o innocente». In questa ottica, «solo una prognosi d’inutilità del dibattimento relativa all’evoluzione, in senso favorevole all’accusa, del materiale probatorio può condurre a una sentenza di non luogo a procedere». Ma il caso sottoposto alla Cassazione evidenzia elementi differenti. Difatti, il Giudice dell’udienza preliminare ha adottato una decisione «tipicamente dibattimentale», fondata sulla «mancanza dell’elemento soggettivo del reato dovuto a errore consistente nel ritenere esistente un divieto che invece era del tutto insussistente». Ebbene, sottolineano i giudici di piazza Cavour, «il giudice dell’udienza preliminare non è legittimato a valorizzare, nell’ambito della pur necessaria indagine sull’elemento psicologico del reato, ipotetiche e incerte alternative concernenti l’effettiva direzione della volontà, né a operare scelte» riservate al giudice del dibattimento a chiusura del contraddittorio delle parti. Quindi, noblesse oblige, il ricorso presentato dall’automobilista va accolto, e la questione deve essere rimessa alla valutazione del Tribunale.
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 15- 23 novembre 2011, numero 43302 Presidente Agrò – Relatore Ippolito Ritenuto in fatto 1. Il pubblico ministero presso il tribunale di Sala Consilina richiese il rinvio a giudizio di F. S. per i reati di cui agli articolo . 81, 323 e 479 cod. penumero perché,, in qualità di vigile urbano del Comune di Sapri, aveva elevato nei confronti di M.L. verbale di accertamento per violazione dell'articolo 7, commi l e 14 del codice della strada, per aver lasciato in sosta il suo autoveicolo nonostante il divieto imposto con segnaletica verticale , mentre in realtà sulla via ove era stata parcheggiata l'auto non esisteva segnaletica di divieto di sosta, né verticale né orizzontale, abusando così del proprio ufficio, arrecando un danno ingiusto alla L. e formando un atto ideologicamente falso in quanto lo stesso faceva riferimento a un'inesistente segnaletica verticale di divieto di sosta . 2. Il giudice dell'udienza preliminare de! tribunale di Sala Consilina,. in data 17 dicembre 2010, ha dichiarato non luogo a procedere perché il fatto non costituisce reato per insussistenza dell’elemento soggettivo, costituito, quanto al reato di cui all’articolo 470 c.p., dalla consapevole e volontaria rappresentazione di circostanze non corrispondenti al vero e, quanto al reato di cui all'articolo 323 c.p., dal dolo intenzionale di produrre un danno ingiusto a L. M. . Ha ritenuto il giudice che il verbale di accertamento elevato dalla S. sia stato il frutto di un errore e non abbia dunque il carattere dell'intenzionalità . 3. Contro la sentenza ricorre per cassazione il difensore della parte civile, che deduce violazione dell’articolo 606.1 lett. b ed e in relazione agli articolo 429, 125, 192 c.p.p. con riferimento agli articolo 323 e 479 c.p. e 38 e 146 Cds, censurando sia la regola di giudizio utilizzata dal giudice sia la motivazione apodittica e avulsa rispetto al capo d'imputazione nel quale si contesta alla S. di avere illecitamente affermato la presenza cioè l'esistenza di segnaletica verticale di divieto di sosta laddove detta segnaletica era completamente assente 4. Il difensore della S. ha depositato una memoria volta alla declaratoria d'inammissibilità o, quanto meno, al rigetto del ricorso, assumendo, per un verso, che parte offesa nel delitto di cui all'articolo .323 c.p. è soltanto la pubblica amministrazione e, per altro verso, che in ogni caso manca l'interesse ad impugnane la sentenza che, all'esito dell'udienza preliminare, dichiara non luogo a procedere perchè essa, trattandosi di sentenza non dibattimentale, non prelude l'azione civile. Considerato in diritto 1. Disattendendo il contrario assunto difensivo dell'imputato, va innanzitutto affermata l'ammissibilità del ricorso, espressamente previsto dall'articolo 428.2 cod. proc. penumero , che attribuisce alla persona offesa costituita parte civile il potere di proporre ricorso per cassazione agli effetti penali avverso la sentenza di non luogo a procedere. E ciò in quanto sussiste l'interesse di tale soggetto alla repressione del fatto criminoso nella più accentuata tutela della posizioni del titolare del bene leso dal reato rispetto al mero danneggiato Cass. Se z. U,. numero 25695/2008, P.C. in proc. D'Eramo . 2. Infondato è pure il rilievo che, nel procedimento per il reato di abuso d'ufficio, la parte offesa sia costituita soltanto dalla pubblica amministrazione, essendo invece pacifico che il reato di cui all'articolo 323 cod. penumero , così come modificato dalla legge 16 luglio 1997 numero 234, è un reato plurioffensivo, giacché che è idoneo a ledere, oltre all'interesse pubblico al buon andamento e alla trasparenza della P.A., anche il concorrente interesse del privato a non essere turbato nei propri diritti costituzionalmente garantiti dal comportamento illegittimo e ingiusto del pubblico ufficiale. Ne consegue che il soggetto al quale tale condotta abbia arrecato un danno riveste la qualità di persona offesa dal reato, legittimato non solo a costituirsi parte civile quando il processo abbia inizio diritto spettante anche al solo danneggiato , ma anche a proporre sia opposizione avverso la richiesta di archiviazione del P.M. in applicazione degli articolo 409 e 410 cod. proc. penumero sia ricorso per cassazione! ai sensi dell'articolo 428.2 c.p p 3. Il ricorso della L. è anche fondato. Osserva il Collegio che, nonostante le modifiche via via apportate dal legislatore e dalla Corte costituzionale al codice di procedura penale,la natura dell'udienza preliminare resta prevalentemente processuale e non di merito e immutato rimane lo scopo cui l'udienza preliminare è preordinata quello di evitare i dibattimenti inutili, non di accertare se l'imputato è colpevole o innocente. Ne deriva che solo una prognosi d'inutilità del dibattimento relativa all'evoluzione, in senso favorevole all'accusa, del materiale probatorio raccolto - e non un giudizio prognostico in esito al quale il giudice pervenga a una valutazione d'innocenza dell’imputato - può condurre a una sentenza di non luogo a procedere. Essenziale è perciò che, all’esito dell'udienza preliminare, emerga un quadro probatorio e valutativo ragionevolmente e motivatamente ritenuto immutabile. Non è possibile deliberare il non luogo a procedere in tutti quei casi nei quali esista una prevedibile possibilità che il dibattimento possa pervenire ad una diversa soluzione Cass. numero 13163/2008, Cascane, numero 43483/2009, Pontessilli numero 22864/2009, Giacomin . Nel caso in esame, il g.u p. ha adottato una decisione tipicamente dibattimentale, esprimendo il suo convincimento, peraltro in maniera alquanto apodittica, sulla mancanza dell’elemento soggettivo del reato dovuto a soggettivo errore consistito nel ritenere esistente un divieto che invece era del tutto insussistente. Come questa Corte ha già affermato, il giudice dell'udienza preliminare non è legittimato a valorizzare nell'ambito della pur necessaria indagine sull'elemento psicologico del reato,, ipotetiche e incerte alternative concernenti l'effettiva direzione della volontà, né a operare scelte fra le molteplici soluzioni aperte, che sono riservate in via esclusiva al libero convincimento del giudice ciel dibattimento, in esito all’effettivo contraddittorio delle parti sulla prova Cass. numero 2875/1997, P.G. in proc. Mocera . 4. In accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata, con rinvio per nuova deliberazione al tribunale di Sala Consilina. P.Q.M. La Corte annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuova deliberazione al Tribunale di Sala Consilina